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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

💝

 

 
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Per meditare

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2012 20:44
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La Croce: collocazione provvisoria

Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra. Coraggio. La tua Croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della Croce. “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Coraggio, tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.

Servo di Dio Tonino Bello






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Simone di Cirene: sento la Sua mano sulla spalla

Ero in cammino, diretto ai campi, quando lo vidi; portava la croce e lo seguiva una gran folla. Anch’io allora presi a camminare al suo fianco. Più di una volta la croce che portava lo costrinse a fer­marsi, perché il suo corpo era stremato. Allora mi si avvicinò un soldato romano, e disse: “Tu, che sei saldo e robusto, porta la croce di quest’uomo”. A quelle parole il cuore mi si gonfiò nel petto e provai gratitudine. E portai la croce. Era pesante, fatta di pioppo impregnato di piogge inver­nali. E Gesù mi guardò. E il sudore della fronte gli scorreva sulla barba. Ancora mi guardò, e disse: “Bevi anche tu questo calice? Vi accosterai le labbra insieme a me fino alla fine del tempo”. Così dicendo pose la mano sulla mia spalla libera. E pro­cedemmo insieme verso la Collina del Cranio. Ma io non sentivo più il peso della croce. Sentivo sola la sua mano. Come ala di uccello sulla mia spalla. E arrivammo in cima alla collina, e là dovevano crocifig­gerlo. Fu allora che avvertii il peso della croce. Non disse parola mentre gli conficcavano i chiodi nelle mani e nei piedi, e dalle sue labbra non uscì un lamento. E non tremarono le sue membra sotto il martello. Sembrava quasi che le sue mani e i suoi piedi fossero morti, per rivivere solo nel bagno di sangue. E lui sembrava desiderare queí chiodi, come un principe desidera lo scettro, e sembrava implorare che lo innalzassero alle vette. E il mio cuore non lo compiangeva: ero troppo preso da meraviglia. Ora, l’uomo al quale ho portato la croce è divenuto la mia croce. Se mi dicessero ancora: “Porta la croce di quest'uomo”, io la porterei fino a quando la mia strada si chiudesse nel sepolcro. Ma gli chiedereí di tenermi la mano sulla spalla. Accadde molti anni fa; e ancora oggi, seguendo i solchi del campo, e in quel sopore che precede il sonno, rivolgo spesso il pensiero a quell’uomo che amo. E sento la Sua mano alata, qui, sulla spalla sinistra.  

Gibran Khalil Gibran


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Venerdì Santo

Gesù, nel Getzemani, ha sofferto

la solitudine, l’abbandono,

soprattutto da quelli che più amava.

Il tradimento di uno solo

lo ha portato alla condanna più infame e infamante.

L’unica corona che l’uomo è stato capace di dare al Re

è stata una corona di spine!

Il Re è rimasto solo. Il Re è messo a morte.

Il Re è morto!!!

Questo è il Venerdì Santo!

Un Re spodestato dal Trono,

deposto anche dal legno...

Non può restare appeso il nostro Dio!

Ci lascia la Sua Croce,

da accogliere, da amare, da adorare.

Abbassiamo la nostra testa,

pieghiamo le nostre ginocchia.

Chiediamogli perdono…

La folla l’ha deriso,

gli ha sputato addosso.

Qualcuno gli ha dato una spinta.

Qualcuno l’ha inchiodato al legno.

Qualcuno gli ha trafitto il Cuore.

Eravamo anche noi con Gesù?

Sì, eravamo li.

Noi lo abbiamo abbandonato.

Noi lo abbiamo offeso.

Noi abbiamo tenuto le sue mani

mentre il chiodo penetrava la carne.

Venerdì Santo!

Perché tutto ci parla di solitudine, di abbandono?

Perché il cuore sembra vuoto?

Perché questa ansia nell’anima?

Arriverà un’alba nuova?

Sì, arriverà la mattina della Pasqua

e ritroveremo il nostro Re.

Ritroveremo il nostro Dio.

No! Non ci ha abbandonato...

sta nascondendo

tra le pieghe del nostro peccato,

per accoglierlo nella Sua Misericordia.

Grazie, Gesù! Grazie!

Con Te, il Venerdì Santo,

è solo un passaggio...

Possiamo arrivare al mattino di Pasqua

solo partendo dall’Ultima Cena,

mangiando con Te,

cibandoci di Te.

Poi è dura la strada.

È duro il Venerdì Santo!

È dura la Croce!

Ma con Te la Pasqua è una meta sicura...

Angela Magnoni


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20/11/2010 17:03
 
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Il Calvario tre giorni dopo

I Vangeli ci raccontano numerose apparizioni del Risorto avvenute nel giorno di Pasqua. Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l’apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto.

Le si avvicina Gesù e le dice: “Perché piangi?”. Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore. Vedi: la collina del Calvario, che l’altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d’erba. I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni. No, non misurare sui calendari dell’uomo la distanza che separa quest’alba luminosa dal tramonto livido dell’ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un’eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.

Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch’io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: “Perché piangi?”. Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l’ultimo rigagnolo di un pianto antico. O l’ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi. Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando. Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia. Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione. Lo so.

Forse rischio di restare in silenzio anch’io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell’umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza. Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.

Forse rimarrò suggestionato anch’io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescienza di barbarie tra i minori della nostra città.

Forse mi arrenderò anch’io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.

Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trentacinque anni, sta morendo di cancro. O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello. O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più. O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.
Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all’ultima, tutte le carte dell’incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.

La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l'acquedotto.

Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”. Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor. Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell'agonia, ma i travagli del parto.

E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo!


Buona Pasqua!

Servo di Dio Tonino Bello


 


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20/11/2010 17:05
 
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Guardando il Crocifisso

O Gesù, mi fermo pensoso ai piedi della Croce

anch’io l’ho costruita con i miei peccati!

La Tua bontà, che non si difende e si lascia crocifiggere,

è un mistero che mi supera e mi commuove profondamente.

Signore, Tu sei venuto nel mondo per me,

per cercarmi, per portarmi l’abbraccio del Padre.

Tu sei il volto della bontà e della misericordia:

per questo vuoi salvarmi!

Dentro di me ci sono le tenebre:

vieni con la Tua limpida luce.

Dentro di me c’è tanto egoismo:

vieni con la Tua sconfinata carità.

Dentro di me c’è rancore e malignità:

vieni con la Tua mitezza e la Tua umiltà.

Signore, il peccatore da salvare sono io:

il figliol prodigo che deve ritornare sono io!

Signore concedimi il dono delle lacrime

per ritrovare la libertà e la vita,

la pace con Te e la gioia in Te. Amen!

Card. Angelo Comastri



 


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20/11/2010 17:07
 
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Aiutami a credere

Cosa capitò quella mattina? Fu facile alla Chiesa nascente, a Pietro, agli apostoli, ai discepoli convincersi che Cristo era risor­to? E da che cosa veniva la convinzione? Dall’aver visto? E perché non credettero alle donne che avevano visto? (cf. Lc24,11). Dall’aver visto? Che cosa hanno visto, se perfino la Maddalena scambiò Gesù per l’ortolano? Dall’aver visto? Com'è possibile vedere quando si passa una mezza giornata assieme sulla strada di Emmaus senza riconoscerlo? No, non è con gli occhi che si vede la Resurrezione di Cristo: è nella fede. Gli occhi sono troppo ingannevoli, semmai vedono il segno. Sarà più facile della parola? Certamente. Soprattutto quando la parola è Parola di Dio: “E comin­ciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. Ma anche nel caso della Parola ci vuole la fede perché è nella fede che Dio rivela la Sua presenza. “E lo riconobbero allo spezzare del pane. Ma lui sparì dalla loro vista”. È nella fede l’incontro con Dio. E la fede è oscura. La speranza è dolorosa. La carità è crocifissa. Aiutami, Maria, a credere. Dammi la Tua fede.

fratel Carlo Carretto



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Il vero segreto

Che esista Dio non è un segreto: è talmente visibile! Che Dio sia buono non è un segreto: è esperimentato da tutti i cuori ben fatti. Che Dio sia bello non è un segreto: è scritto su tutti i fiori, sul mare e sui monti. Che Dio sia immenso non è un segreto: basta guardare il cosmo. Che Dio sia vicino non è un segreto: basta guardare due sposi in viaggio di nozze o due amici che si parlano o una mamma che attende. Ma dove sta allora il segreto? Sta qui: Dio è un Dio crocifisso. Dio è il Dio che si lascia sconfiggere, Dio è il Dio che si è rivelato nel povero. Dio è il Dio che mi ha lavato i piedi, Dio è Gesù di Nazareth. A questo Dio non eravamo abituati. Nella nostra infanzia, che è l’infanzia del popolo di Dio, cercavamo un Dio potente, un Dio che ci risolvesse i problemi, un Dio che eliminasse i cattivi, che vincesse i nemici in modo visibile a tutti. E invece? Apparve come un bambino. Si realizzò come un povero operaio, non si servì del divino per trovare il pane. Non si alleò coi potenti per dominare i popoli. Non si buttò giù dal tempio per fare i miracoli inopportuni che noi attendevamo per aumentare le nostre sicurezze. E quando venne la prova non scappò. E non si fece nemme­no aiutare dai suoi angeli. Come un uomo, uomo vero, uomo uomo, accettò il proces­so, accettò la condanna, prese la croce sulle spalle, marciò pian­gendo verso il luogo del cranio dove stava per essere crocefisso. Questo Dio era nuovo.

fratel Carlo Carretto



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Dalla testa ai piedi

Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi.

Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.

Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all'acqua, più che alle parole. Non c'è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.

È difficile, per esempio, sottrarsi all'urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all'unica cosa che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”. Peccato che non tutti conoscono la rubrica del Messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d'ulivo benedetti nell'ultima Domenica delle Palme. Se no, le allusioni all’impegno per la pace, all'accoglienza del Cristo, al riconoscimento della Sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del Cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione. Quello “shampoo alla cenere”, comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.

Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell'acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l'abbiamo “udita con gli occhi”, pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.
Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle Ostie Consacrate.
Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell'attesa di Cristo? “Una tantum” per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane? Potenza evocatrice dei segni!

Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.

La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l'ardore, mettiamoci alla ricerca dell'acqua da versare... sui piedi degli altri.

Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.
Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.

Un grande augurio.

Servo di Dio Tonino Bello


 




 


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20/11/2010 17:14
 
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Dio è morto

Ho visto
la gente della mia età andare via,
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia,
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già,
dentro le notti che dal vino son bagnate,
dentro le stanze da pastiglie trasformate,
dentro le nuvole di fumo,
nel mondo fatto di città,
essendo contro ed ingoiare
la nostra stanca civiltà.
È un Dio che è morto,
ai bordi delle strade, Dio è morto,
nelle auto prese a rate, Dio è morto,
nei miti dell’estate, Dio è morto.

Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede,
nei miti eterni della patria e dell’eroe,
perché è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità,
le fedi fatti di abitudini e paura,
una politica che è solo far carriera,
il perbenismo interessato,
la dignità fatta di vuoto,
l’ipocrisia di chi sta sempre
con la ragione e mai col torto.
È un Dio che è morto,
nei campi di sterminio, Dio è morto,
coi miti della razza, Dio è morto,
con gli odi di partito, Dio è morto.

Io penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perché noi tutti ormai sappiamo
che se Dio muore è per tre giorni
e poi risorge.
In ciò che noi crediamo, Dio è risorto.
In ciò che noi vogliamo, Dio è risorto.
Nel mondo che faremo, Dio è risorto!

Nomadi / Francesco Guccini, 1967


 




 


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Adamo e Cristo, Eva e Maria

Hai visto l’ammirabile vittoria? Hai visto la nobilissima impresa della Croce? Potrò mai dirti qualcosa di più meraviglioso? Considera il modo con cui ha vinto e resterai ancora più ammirato. Cristo infatti ha vinto il diavolo con gli stessi mezzi con cui aveva ottenuto vittoria il diavolo. Lo sbaragliò con le stesse armi usate da lui. Senti in che modo. Una vergine, un legno e la morte furono i simboli della nostra sconfitta. La vergine era Eva, non aveva infatti ancora coabitato col marito. Il legno era l’albero. La morte la pena di Adamo. Ma ecco ancora una vergine, un legno e la morte, già simboli della sconfitta, diventare ora simboli della Sua vittoria. Infatti al posto di Eva c’è Maria, al posto dell’albero della scienza del bene e del male c’è l’albero della Croce, al posto della morte di Adamo la morte di Cristo. Vedi come colui che aveva vinto viene ora sconfitto con gli stessi suoi mezzi? Presso l’albero il diavolo abbatté Adamo, presso l’albero Cristo sconfisse il diavolo. E quell’albero mandava all’inferno, questo invece richiama dall’inferno anche coloro che vi erano già scesi. Inoltre un altro albero nascose l’uomo vinto e nudo, questo invece innalza agli occhi di tutti il vincitore spoglio. E quella morte colpì tutti coloro che erano nati dopo di essa, questa morte invece risuscita anche coloro che erano nati prima di essa. “Chi può narrare i prodigi del Signore?”. Siamo stati resi immortali da una morte: queste sono le gloriose imprese della Croce. Hai compreso la vittoria? Hai capito il modo con cui ha vinto? Apprendi ora come questa vittoria fu riportata senza nostra fatica e sudore. Noi non abbiamo bagnato di sangue le armi, non siamo stati in battaglia, non siamo stati feriti, la battaglia non l’abbiamo nemmeno vista, eppure abbiamo riportato vittoria. Del Signore è stato il combattimento, nostra la corona. Poiché la vittoria è anche nostra, imitiamo i soldati e, con voci di gioia, cantiamo oggi le lodi e l’inno della vittoria. Diciamo, lodando il Signore: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”. Tutto questo ci è stato procurato dalla Croce gloriosa: la Croce, trofeo eretto contro il demonio, arma contro il peccato, spada con cui Cristo ha trafitto il serpente; la Croce volontà del Padre, gloria dell’Unigenito, gaudio dello Spirito Santo, onore degli Angeli, presidio della Chiesa, vanto di Paolo, difesa dei Santi, luce di tutto il mondo.

dalle “Omelie” di  San  Giovanni  Crisostomo,  Il cimitero e la croce




 


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“Cristo si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9)

Quanto sia forte la suggestione delle ricchezze materiali, e quanto netta debba essere la nostra decisione di non idolatrarle, lo afferma Gesù in maniera perentoria: “Non potete servire a Dio e al denaro” (Lc 16,13). L’elemosina ci aiuta a vincere questa costante tentazione, educandoci a venire incontro alle necessità del prossimo e a condividere con gli altri quanto per bontà divina possediamo…

…Secondo l’insegnamento evangelico, noi non siamo proprietari bensì amministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati come esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo.

 Benedetto XVI, dal Messaggio per la Quaresima 2008




 


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Il Risorto

Non lasciare mai
che le tue preoccupazioni
crescano fino al punto di farti dimenticare
la gioia del Cristo risorto.
Tutti noi aneliamo al paradiso,
ma possiamo essere sin da ora con Gesù
e comunicare la sua gioia.
Questo significa:
amare come Lui ama;
aiutare come Lui aiuta;
dare come Lui dà;
servire come Lui serve;
salvare come Lui salva.
Significa essere con lui ventiquattro
ore al giorno e toccarlo
nel suo aspetto più malandato.

ser




 


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La croce di Pietro

San Pietro non ce la fece più: era troppo pesante la sua croce! Andò a lamentarsi da Gesù, con la sua, quasi sfacciata, familiarità. Gli disse: “Maestro mio, non ti sembra d’aver dato proprio a me, tuo primo apostolo, una croce troppo pesante? È vero che io ti ho rinnegato, ma è anche vero che ti amo più degli altri. E perché allora agli altri, Signore, hai dato piccole croci e invece a me un crocione enorme?”. Rispose Gesù: “Pietro, devo dirti due cose. Prima: non sono io che fabbrico le croci degli uomini. Seconda: Ti pensavo più generoso. Se è vero che mi ami più degli altri, non brontolare!”. Pietro, quasi umiliato, cercò di scusarsi così: “Signore, forse mi sono spiegato male. Non ti ho chiesto di togliermi la croce, ma di darmene una un po’ più leggera, almeno come quella degli altri apostoli!”. Si dice che il Signore a queste parole si mostrò commosso e abbia detto a Pietro: “Mi hai convinto. Vieni con me a scegliere la croce che ti piace”. Lo portò in un grandissimo magazzino, dove erano raccolte le croci di tutti gli uomini. Pietro si scaricò subito la sua croce e incominciò la ricerca. Ne provò parecchie: tutte avevano qualche noioso difetto: o troppo piccole, o troppo spigolose, o troppo lunghe, o troppo taglienti. Pietro frugò ovunque in cerca di una croce più adatta alle sue spalle. Non riusciva a trovarla. Gesù sorrideva. Ma eccone, finalmente, una, buttata li proprio vicino alla porta. Pietro se la provò e riprovò subito e alla fine poté dire: “Signore, hai poco da sorridere. Hai visto che, alla fin fine, mi sono trovato la croce adatta a me. Prendo questa”. Gesù allora sorrise ancor più e fece notare: “Pietro, hai veramente fatto una buona scelta! Senza accorgerti ti sei di nuovo caricato sulle spalle la tua croce quella che hai buttato via, entrando!”. E concluse: “Mio caro Pietro, io non fabbrico le croci per gli uomini; ma se sapessi con che cura, con che amore, mi adopero perché siano adatte alle spalle e al cuore di ciascun uomo! Ho provato di persona e perciò so cosa significa portare la croce!”.




 


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La Croce è troppo pesante per Te

Signore, la Croce è troppo pesante per Te
e tuttavia Tu la porti
perché il Padre lo vuole, per noi.
Il suo carico è superiore alle Tue forze
e tuttavia Tu non la rifiuti.
Cadi, ti rialzi e prosegui ancora.
Insegnami a capire che ogni vera sofferenza
presto o tardi, in un modo o nell’altro
risulterà alla fine troppo pesante
per le nostre spalle,
perché non siamo creati per il dolore,
ma per la felicità.
Ogni Croce sembrerà superiore alle forze.
Sempre si udirà il grido stanco
e pieno di paura: “Non ne posso più!”.
Signore, aiutami in quell’ora
con la forza della Tua pazienza e del Tuo Amore
affinché non mi perda d’animo.
Tu sai quanto grande può essere
il peso di una Croce.
Non ci imputare il diventar deboli,
ma aiutaci a rialzarci.
Rinnovami nella pazienza,
infondimi la Tua forza nell’anima.
Allora mi rialzerò di nuovo,
accetterò il mio peso e andrò oltre.

Romano Guardini





 


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20/11/2010 17:29
 
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La Parola ha sopportato

 

La Parola ha sopportato
che la Sua Carne fosse appesa al legno.
La Parola ha sopportato
che i chiodi fossero piantati nella Sua Carne.
La Parola ha sopportato
che la Sua Carne fosse trafitta dalla lancia.
La Parola ha sopportato
che la Sua Carne fosse deposta nella tomba.
La Parola ha risuscitato la Sua Carne,
l’ha offerta allo sguardo dei suoi discepoli,
s’è prestata a essere toccata dalle loro mani...
Essi toccano e gridano:
“Mio Signore e mio Dio!”.
Ecco il giorno che ha fatto il Signore!

Sant’Agostino d’Ippona





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ert

Chi è il più povero?

Un uomo, camminando, parlava con se stesso come fanno di solito coloro che nella vita non hanno amici con cui confidarsi. “Ecco”, diceva, “nessuno è più povero di me; avevo un cappello e me l’ha portato via il vento; avevo un mantello e me l’hanno rubato; avevo un bastone e ho dovuto bruciarlo per farne fuoco; avevo una ciotola per il cibo e la bevanda e il fiume me l’ha portata via; non ho che le mani per raccogliere acqua da bere. C’è al mondo qualcuno più povero di me?”. “Io, fratello”. L’uomo si volta e vede davanti a sé il Signore in abito da pellegrino. “Io sono più povero di te. Tu, se hai sete, puoi raccogliere acqua con le mani: io no, perché me le hanno trafitte”.

padre Johannes Tauler (Taulero)






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dfg

Questa umanità, non di rado ferita dall’odio e dalla violenza, ha più che mai bisogno di sperimentare l’efficacia del Sangue redentore di Cristo. Quel Sangue che, sparso non invano, porta in sé tutta la potenza dell’amore di Dio ed è pegno di speranza, di riscatto. Di riconciliazione. Ma per attingere da questa sorgente bisogna tornare alla Croce di Cristo, fissare lo sguardo sul Figlio di Dio, su quel Suo Cuore trafitto, su quel Sangue versato.


Giovanni Paolo II




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asd

Amare costa

Costa dire: “Hai ragione”.
Costa dire: “Perdonami”.
ed anche dire: “Ti perdono” costa.

Costa la confidenza, costa la pazienza.
Costa fare una cosa
che non hai voglia di fare
ma che lui o lei vuole.
Costa cercare di capire.
Costa tenere il silenzio.

La fedeltà costa
e sorridere al cattivo umore
e trattenere le lacrime che fanno soffrire.

A volte costa impuntarsi,
a volte cedere.
Costa dir sempre: “ È colpa mia”.

Costa confidarsi
e ricevere confidenze.
Costa sopportare i difetti,
costa cancellare le piccole ombre,
costa condividere i dolori.

Costa la lontananza
e costano i distacchi.
Costano le nubi passeggere.
Costa avere opinioni differenti,
costa dir sempre di sì.

Eppure a questo prezzo si genera l'amore.
Gli spiccioli non servono.
Ci vuole un legno pesante
come la Croce.




[Modificato da Mara_b 20/11/2010 17:41]

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asd


Credere nella Resurrezione

Credere al Cristo Risorto significa ancora qualcosa.

Significa per Madre Teresa di Calcutta sollevare il moribon­do e per te fare altrettanto.

Significa per Luilier King affrontare la morte e per te non aver paura di affrontare la morte per i tuoi fratelli.

Significa per l’Abbé Schutz, il priore di Taizé, aprire il suo convento alla speranza e per te di aprire la tua casa alla speranza.

Ogni lebbrosario che si apre è un credo nella Resurrezione.

Ogni trattato di pace è un atto di fede nella Resurrezione.

Ogni impegno accettato è un atto di fede nella Resurrezione.

Quando perdoni al tuo nemico, quando sfami l'affamato, quando difendi il debole, credi nella Resurrezione.

Quando hai il coraggio di sposarti, quando accetti il figlio che nasce, quando costruisci la tua casa, credi nella Resurrezione.

Quando ti alzi sereno al mattino, quando canti al sole che nasce, quando vai al lavoro con gioia, credi nella Resurrezione.

Credere nella Resurrezione significa permeare la vita di fiducia, significa dar credito al fratello, significa non aver paura di nessuno.

Credere nella Resurrezione significa pensare che Dio è padre, Gesù tuo fratello e Maria tua sorella e se vuoi, tua Madre.

fratel Carlo Carretto




 



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Nella misura in cui scopriamo il volto paterno di Dio la nostra umanità diventa veramente se stessa, perché diventa dimora dell’Amore di Dio e quindi riflesso della Sua libertà. Sant’Agostino all’inizio delle Confessioni scrive: “Tu ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”. Questo è il mio e il vostro bisogno! Solo nella misura in cui il nostro cuore si aprirà all’amore di Dio attraverso il silenzio, la preghiera e la carità e lasceremo che il mistero del Suo Amore entri nella nostra vita, sperimenteremo la verità delle parole tratte dal libro del profeta Isaia: “Ecco, infatti io creo nuovi cieli e nuova terra”. (Is 65,17)

Mons. Gianni Danzi,




 



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