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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 20:04
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21/04/2011 20:02
 
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CAPITOLO 19
Capitolo 19
Eccoci arrivati a un periodo importantissimo della storia di Israele. Il popolo è venuto ai piedi del «monte che si toccava con la mano, avvolto nel fuoco» (Ebrei 12:18). La scena di gloria millenaria che il capitolo precedente ci ha presentato, è sparita. Quella viva immagine del regno, rischiarata, per un momento, da un raggio di sole, è svanita, lasciando il posto alle dense nuvole che vanno accumulandosi intorno a questa montagna che non può essere toccata, dove Israele, spinto da uno spirito di legalismo, cieco e insensato, abbandona il patto di grazia dell’Eterno per il patto delle opere dell’uomo. Avvenimento fatale, seguito da funesti risultati. Fin qui, come abbiamo visto, nessun nemico aveva potuto sussistere davanti a Israele; nessun ostacolo aveva potuto fermare la sua marcia vittoriosa. Gli eserciti di Faraone erano stati distrutti; Amalek e i suoi, passati a fil di spada; tutto era stato vittoria, poiché Dio interveniva in favore del suo popolo, in virtù delle promesse fatte ad Abrahamo, Isacco e Giacobbe.

Al principio di questo capitolo, l’Eterno riassume in modo commovente ciò che ha fatto per Israele. «Di’ così alla casa di Giacobbe e annunzia questo ai figliuoli d’Israele: Voi avete veduto quello che ho fatto agli Egiziani e come io v’ho portati sopra ali d’aquila e v’ho menato a me. Or dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa» (vv. 3-6).

L’Eterno dice «la mia voce» e il «mio patto». Cosa diceva quella voce? E quel patto cosa implicava? Aveva l’Eterno parlato per imporre le leggi e gli ordinamenti di un legislatore inflessibile e severo? Tutt’altro. Egli era intervenuto per richiedere la libertà dei prigionieri, per procurar loro un rifugio dinanzi alla furia del distruttore, per preparare un cammino ai suoi riscattati, per far scendere pane dal cielo e sgorgare l’acqua dalla roccia. È così che la voce dell’Eterno, intelligibile e piena di grazia, aveva parlato fino al momento in cui Israele venne «ai piedi del monte» (v. 17).

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21/04/2011 20:03
 
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Il patto dell’Eterno era un patto di pura grazia. Non poneva alcuna condizione, non chiedeva nulla, non imponeva giogo né fardello. Quando l’Iddio di gloria apparve ad Abrahamo (Atti 7:2) a Ur dei Caldei, non si rivolse a lui dicendo: Fa’ questo e non fare quello. Un linguaggio così non è secondo il cuore di Dio. Egli preferisce mettere sul capo del peccatore una tiara pura, piuttosto che un giogo di ferro (Zaccaria 3:5; Deuteronomio 28:48). Ad Abrahamo la sua parola fu: «Io ti darò». La terra di Canaan non la si poteva conquistare con opere d’uomo; essa doveva essere un dono della grazia di Dio. E, al principio di questo libro dell’Esodo, vediamo Dio visitare il suo popolo in grazia, per compiere la promessa che aveva fatto in favore della progenie di Abrahamo. La condizione in cui l’Eterno trovò questa progenie, non rappresentava un ostacolo al compimento dei suoi disegni di grazia, dato che il sangue dell’Agnello gli forniva un fondamento perfettamente giusto in virtù del quale poteva compiere ciò che aveva promesso. Evidentemente l’Eterno non aveva promesso la terra di Canaan alla progenie di Abrahamo in base a qualcosa che s’aspettava da essa; se così fosse stato, il vero carattere della promessa sarebbe andato distrutto; Dio avrebbe fatto un contratto, non una promessa; ma Dio ha fatto dono ad Abrahamo per mezzo d’una promessa, non d’un contratto reciproco (vedere Galati 3).

Per questo, all’inizio del capitolo, l’Eterno ricorda al suo popolo la grazia usata fino allora verso di lui; e, nello stesso tempo, gli assicura che sarà sempre così, s’egli persevera nell’obbedienza alla voce della grazia dall’alto e rimane nel «fatto» della grazia. «Voi sarete tra tutti i popoli il mio tesoro particolare». A quale condizione gli Israeliti potevano essere questa preziosa proprietà dell’Eterno? Era forse salendo a fatica il cammino della propria giustizia e del legalismo? La maledizione di una legge violata, violata prima ancora della sua promulgazione, potevano forse condurli fin là? Certamente no. Come potevano dunque godere di una posizione così gloriosa? Soltanto restando nella posizione nella quale l’Eterno li vedeva dal cielo allorché costrinse il profeta, che aveva amato il salario d’iniquità, a gridare: «Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israele! Esse si estendono come valli, come giardini in riva ad un fiume, come aloe piantati dall’Eterno, come cedri vicini alle acque. L’acqua trabocca dalle sue secchie, la sua semenza è bene adacquata, il suo re sarà più in alto di Agag e il suo regno sarà esaltato. Iddio che l’ha tratto d’Egitto gli dà il vigore del bufalo» (Numeri 24:5-8).

Tuttavia Israele non era disposto a occupare questa beata posizione. Invece di rallegrarsi nella santa promessa di Dio, osò prendere l’impegno più presuntuoso che labbra umane potessero mai formulare. «E tutto il popolo rispose concordemente e disse: Noi faremo tutto quello che l’Eterno ha detto» (v. 8). Era temerario parlare così. Gli Israeliti non dicono nemmeno: speriamo di fare o cercheremo di fare, linguaggio che avrebbe mostrato un certo grado di sfiducia in loro stessi. Si pronunciano in modo assoluto: «Noi faremo». Chi parlava così non era solo qualche carattere vanitoso, pieno di fiducia in se stesso, che si distingueva da tutti gli altri; no; «tutto il popolo rispose concordemente». Erano unanimi nell’abbandonare «la santa promessa», il «santo patto».

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21/04/2011 20:03
 
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Quale fu il risultato? Dal momento in cui Israele ebbe pronunciato il suo voto e intrapreso di «fare», le cose cambiarono completamente aspetto. «E l’Eterno disse a Mosè: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola... E tu fisserai attorno dei limiti al popolo, e dirai: Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne il lembo. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte» (versetti 9-12). Era un cambiamento evidente. Colui che aveva detto «vi ho portato sopra ali d’aquila e v’ho menato a me», s’avvolge ora nell’oscurità d’una nube e dice «fisserai attorno dei limiti al popolo». I dolci accenti della grazia hanno ceduto il posto ai tuoni e ai lampi della montagna in fiamme (v. 16). L’uomo aveva osato parlare delle sue miserabili opere in presenza della grazia magnifica di Dio. Israele aveva detto di voler fare e deve essere messo a una certa distanza perché si veda ciò che è in grado di fare. Dio prende una posizione di distanza morale e il popolo è fin troppo disposto ad allontanarsi perché pieno di terrore e di spavento; e non dobbiamo stupircene poiché ciò che vedeva era terribile; «E tanto spaventevole era lo spettacolo che Mosè disse: Io sono tutto spaventato e tremante» (Ebrei 12:21). Chi avrebbe potuto sopportare la visione di questo fuoco consumante, giusta espressione della santità divina? «L’Eterno è venuto dal Sinai e s’è levato su loro da Seir; ha fatto risplendere la sua luce dal monte di Paran, è giunto dal mezzo delle sante miriadi; dalla sua destra usciva per essi il fuoco della legge» (Deuteronomio 33:2). L’espressione fuoco, applicata alla legge, esprime la santità di questa legge. «Il nostro Dio è anche un fuoco consumante» (Ebrei 12:29) che non collera il male né in pensiero, né in parola, né in azioni.

Israele commise dunque un errore fatale dicendo: «Noi faremo». Era prendere un impegno senza essere capaci di mantenerlo, pur volendolo; e sappiamo chi ha detto «meglio è per te non far voti che farli e poi non adempierli» (Ecclesiaste 5:5). La natura stessa di un voto implica la capacità di adempierlo, e qual è la capacità dell’uomo? Un peccatore senza forza può fare un voto proprio come un uomo in fallimento può chiedere un prestito a una banca! Chi fa un voto nega la verità quanto alla sua natura e alla sua condizione. Se è rovinato, che può fare? Privo d’ogni forza non può né volere né fare alcunché di buono. Israele ha mantenuto l’impegno? Ha forse fatto tutto ciò che l’Eterno ha detto? Il vitello d’oro, le tavole spezzate, il sabato profanato, gli ordinamenti disprezzati e negletti, i messaggeri lapidati, il Cristo rigettato e crocifisso, lo Spirito Santo contristato, ne fanno fede!

Lettore cristiano, non siete felice al pensiero che la vostra salvezza eterna non riposi sui vostri miserabili voti e le vostre chimeriche risoluzioni ma «nell’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre?» (Ebrei 10:10). Certo, qui sta la nostra gioia; essa non può venir meno. Cristo ha preso su di sé i nostri voti e li ha eternamente e gloriosamente adempiuti. La vita di risurrezione scorre nei membri del suo corpo e produce in loro risultati che né i voti né le esigenze della legge avrebbero mai potuto ottenere. È Lui la nostra vita, la nostra giustizia. Possa il suo Nome essere caro ai nostri cuori e la causa sua domini e diriga la nostra vita. Che sia nostro cibo e nostra bevanda darci interamente al suo beato servizio!

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21/04/2011 20:04
 
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Prima di terminare questo capitolo vorrei fare menzione di un passo del Deuteronomio che a qualcuno potrebbe presentare delle difficoltà e che ha rapporto diretto con l’argomento che stiamo trattando. «E l’Eterno udì le vostre parole, mentre mi parlavate; e l’Eterno mi disse: Io ho udito le parole che questo popolo ti ha rivolte; tutto quello che hanno detto sta bene» (Deuteronomio 5:28). Potrebbe sembrare che l’Eterno approvasse il voto fatto dai figliuoli di Israele; ma se si legge l’insieme del passo, dal v. 24 al 27, vediamo che non si tratta del voto ma del terrore del popolo in seguito ad esso e a causa d’esso. Essi non potevano sopportare ciò ch’era loro comandato. «Se continuiamo a udire ancora la voce dell’Eterno, dell’Iddio nostro, noi morremo; poiché qual è il mortale, chiunque egli sia, che abbia udito come noi la voce dell’Iddio vivente parlare di mezzo al fuoco e sia rimasto vivo? Accostati tu e ascolta tutto ciò che l’Eterno, il nostro Dio, dirà; e ci riferirai tutto quello che l’Eterno, l’Iddio nostro, ti avrà detto, e noi lo ascolteremo e lo faremo». Era la confessione della loro incapacità ad incontrare l’Eterno sotto lo spaventevole aspetto che il loro orgoglioso legalismo lo aveva costretto a prendere. È impossibile che l’Eterno avesse potuto approvare l’abbandono di una grazia gratuita e immutabile per sostituirla col fondamento inconsistente delle «opere della legge».

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