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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 20:27
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CAPITOLO 30
Capitolo 30
Vista l’istituzione del sacerdozio nei due precedenti capitoli, passiamo ora a ciò che riguarda il culto e la comunione sacerdotale. L’ordine dell’insegnamento è notevole e istruttivo, e, inoltre, corrisponde esattamente con l’ordine che esiste nell’esperienza del credente. All’altare di rame il credente vede i suoi peccati ridotti in cenere; poi si vede unito a Colui che, personalmente puro e senza macchia tanto da poter essere unto senza il sangue, ci ha tuttavia associati a sé nella sua vita, nella sua giustizia e nel favore ch’egli ha presso Dio; si vede poi, nell’altare di rame, il valore di Cristo come la sostanza di cui si nutrono le affezioni divine.

È sempre così: bisogna che vi sia un altare di rame e un sacerdote, prima che vi possa essere un altare d’oro e dell’incenso. Molti figli di Dio non hanno mai superato l’altare di rame; non sono mai entrati, in ispirito, nella potenza e nella realtà del vero culto dei sacerdoti. Non si rallegrano nel perfetto sentimento e nella divina intelligenza del perdono e della giustizia; non sono mai pervenuti all’altare d’oro. Sperano d’arrivarvi quando moriranno, mentre il loro privilegio è di essere già là ora. L’opera della croce ha tolto tutto ciò che poteva chiudere loro il cammino, per rendere a Dio un culto libero e intelligente. La posizione attuale di tutti i veri credenti è l’altare d’oro del profumo.

La presenza dinanzi a questo altare offre, in figura, una posizione di grande benedizione. È là che si gode della realtà e dell’efficacia dell’intercessione di Cristo. Con l’io e con tutto ciò che gli è connesso l’abbiamo fatta finita; non aspettiamo nulla di buono da quelle cose; siamo chiamati ad occuparci di ciò che Cristo è davanti a Dio. Nell’io non troveremo altro che contaminazione; ogni manifestazione dell’io contamina; esso è stato condannato e messo da parte nel giudizio di Dio, e non ve ne resta, né potrebbe restarvene, alcun atomo nell’incenso puro e nel fuoco puro, sull’altare d’oro puro. «Il sangue di Gesù» ci ha dato accesso al santuario, santuario del servizio e del culto dei sacerdoti, in cui non c’è traccia di peccato. Vediamo così la tavola pura, il candeliere puro e l’altare puro; ma non c’è nulla che ricordi l’io e la sua miseria. Se fosse possibile che l’io, in qualche modo, si presentasse alla nostra vista, ciò non farebbe altro che intralciare il nostro culto, guastare il nostro nutrimento di sacerdoti, oscurare la nostra luce. La natura umana non ha posto nel santuario di Dio: essa è stata consumata e ridotta al nulla, in cenere; e ora le anime nostre sono chiamate a godere del buon odore di Cristo che sale a Dio come un piacevole profumo; in questo Dio si compiace. Tutto ciò che presenta Cristo nell’eccellenza della sua persona è buono e gradevole a Dio. La più debole manifestazione di Cristo nella vita o nel culto di un santo è un profumo di soave odore, del quale Dio si compiace.

Troppo spesso, ahimè, dobbiamo occuparci delle nostre infermità. Se permettiamo al peccato che è in noi di fare il suo corso, abbiamo a che fare con Dio, perché Dio non può tollerare il male. Egli può perdonare e purificarci; può ristorare le anime nostre col ministero del nostro grande e misericordioso Sommo Sacerdote ma non può associarsi con un solo pensiero colpevole. Un pensiero leggero come una concupiscenza o un pensiero impuro bastano per turbare la nostra comunione e interrompere il nostro culto. Se sorge in noi uno di questi pensieri, bisogna che sia confessato e giudicato prima che possiamo godere di nuovo delle gioie sante del santuario. Un cuore nel quale la concupiscenza agisce, non gode di ciò che si trova nel santuario. Quando siamo nella nostra vera condizione di sacerdoti, la natura umana è come se non esistesse e possiamo nutrirci di Cristo; possiamo gustare la divina gioia d’essere liberati di noi stessi e interamente assorbiti da Cristo.

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Tutto ciò non può essere prodotto se non per la potenza dello Spirito. È superfluo cercare di eccitare i sentimenti naturali di devozione con i mezzi al servizio dei sistemi e delle religioni degli uomini; ci vuole il fuoco puro e l’incenso puro. Gli sforzi che si fanno per rendere culto a Dio per mezzo delle facoltà non santificate della natura rientrano nella categoria del «fuoco strano» (Levitico 10:1 e 16:12). Dio è l’oggetto del culto, Cristo ne è il fondamento e la sostanza, lo Spirito Santo la potenza.

Così, come l’altare di rame ci presenta Cristo nel valore del suo sacrificio, l’altare d’oro ci presenta Cristo nel valore della sua intercessione. Questo duplice fatto farà capire meglio al lettore perché il sacerdozio (cap. 28 e 29) è introdotto fra i due altari. Fra questi due altari c’è naturalmente una relazione intima, poiché l’intercessione di Cristo è fondata sul suo sacrificio. «E Aaronne farà una volta all’anno l’espiazione sui corni d’esso; col sangue del sacrificio d’espiazione per il peccato vi farà l’espiazione una volta l’anno, di generazione in generazione. Sarà cosa santissima, sacra all’Eterno» (v. 10). Tutto si basa sul fondamento immutabile del sangue sparso. «E, secondo la legge, quasi ogni cosa è purificata col sangue e senza spargimento di sangue non c’è remissione. Era dunque necessario che le cose raffiguranti quelle nei cieli fossero purificate con questi mezzi, ma le cose celesti stesse dovevano esserlo con sacrifici più eccellenti di questi. Poiché Cristo non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio per noi» (Ebrei 9:22-24).

Nei versetti da 11 a 16 è trattato del denaro del riscatto per l’Assemblea. Ogni Israelita doveva pagare mezzo siclo. «Il ricco non darà di più né il povero darà di meno del mezzo siclo quando si farà l’offerta all’Eterno per il riscatto delle vostre persone». Per ciò che riguarda il riscatto tutti sono posti sullo stesso livello. Ci può essere molta differenza nella misura di conoscenza, d’esperienza, di capacità, di progresso, di zelo, di devozione, ma il fondamento del riscatto è uguale per tutti, il grande apostolo dei Gentili e l’agnello più debole del gregge di Cristo sono sullo stesso livello per ciò che concerne il riscatto. È una verità assai semplice e che rallegra molto. Non tutti sono ugualmente devoti e non tutti abbondano allo stesso modo di frutti; ma è il «prezioso sangue di Cristo» (1 Pietro 1:19) e non la devozione o l’abbondanza di frutti che costituisce il fondamento solido ed eterno del riposo del credente. Più saremo compenetrati dalla verità e dalla potenza di queste cose, più altresì porteremo del frutto.

Nell’ultimo capitolo del Levitico troviamo un’altra specie di valutazione. Quando qualcuno doveva pagare qualcosa per un voto che aveva fatto, Mosè faceva la stima dell’individuo in base alla sua età. In altre parole, quando qualcuno osava mettere avanti la sua capacità, Mosè, come rappresentante dei diritti di Dio, lo valutava secondo il siclo del santuario. Se era troppo povero per pagare la somma fissata da Mosè, doveva presentarsi al sacerdote (Levitico 27:8), rappresentante della grazia di Dio, che doveva stimarlo «in proporzione dei mezzi di colui che aveva fatto il voto».

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Sia benedetto Dio! Tutte le sue giuste esigenze sono state soddisfatte, tutti i nostri voti sono stati adempiuti in Cristo che era il rappresentante dei diritti di Dio e anche colui che rivelava la sua grazia, che ha compiuto l’opera dell’espiazione e che è ora alla destra di Dio. Nella conoscenza di queste cose c’è un dolce riposo per il cuore e per la coscienza. L’espiazione è la prima cosa di cui ci appropriamo e che mai perderemo di vista. Per quanto estesa sia la portata della nostra esperienza, per quanto ricca sia la nostra intelligenza, per quanto elevato sia il tono della nostra pietà, dobbiamo sempre tornare alla semplice, divina, inalterabile dottrina del sangue, in tutti i tempi. I servitori di Cristo, i più dotati, i più sperimentati, sono sempre tornati con gioia a questa «sorgente unica di delizie», alla quale hanno bevuto i loro spiriti assetati, quando hanno cominciato a conoscere il Signore. Il cantico eterno della Chiesa nella gloria sarà: «A lui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue» (Apocalisse 1:5). I cortili del cielo risuoneranno per sempre della gloriosa dottrina del sangue della propiziazione.

Nei versetti 17 a 21 troviamo «la conca di rame con la sua base», il bacino della purificazione e la sua base (cap. 30:28; 38:8; 40:11). In questa conca i sacerdoti si lavavano mani e piedi, mantenendo così quella purezza che era essenziale all’esercizio delle funzioni sacerdotali. Non si trattava di una nuova applicazione del sangue, ma solo di un atto che li manteneva nelle condizioni adatte per il servizio sacerdotale e il culto. «Quando entreranno nella tenda di convegno, si laveranno con acqua, onde non abbiano a morire; così pure quando si accosteranno all’altare per fare il servizio, per far fumare un’offerta fatta all’Eterno mediante il fuoco. Si laveranno le mani e i piedi, onde non abbiano a morire».

Non vi può essere vera comunione con Dio se la santità personale non è mantenuta. «Se diciamo che abbiamo comunione con Lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità» (1 Giovanni 1:6). Questa santità personale nel cammino può derivare solo dall’azione della Parola di Dio sulle nostre opere e sulle nostre vie. «Per ubbidire alla Parola delle tue labbra mi son guardato dalla via dei violenti» (Salmo 17:4). Le continue mancanze nel nostro servizio di sacerdoti derivano spesso dalla nostra negligenza a servirci della conca di rame. Se le nostre vie non sono sottomesse all’azione purificante della Parola di Dio, se perseveriamo nel perseguire e nel praticare ciò che, come testimonia la nostra stessa coscienza, non è in accordo con questa Parola, il nostro carattere di sacerdoti mancherà certamente di potenza. La perseveranza deliberata nel male e il vero culto sacerdotale sono assolutamente incompatibili. «Santificali nella verità: la tua Parola è verità» (Giovanni 17:17). Se abbiamo su noi qualche contaminazione, non possiamo godere della presenza di Dio: «tutte le cose, quando sono riprese dalla luce diventano manifeste» (Efesini 5:13). Ma quando, per la grazia, sappiamo purificare le nostre vie, vegliando su di esse secondo la parola di Dio, siamo allora moralmente in grado di godere della presenza divina.

Il lettore vedrà che vasto campo di verità pratica si apre qui dinanzi a lui e in che larga misura la dottrina della «conca di rame» è presentata nel Nuovo Testamento. Ah! quelli che hanno il privilegio di entrare nei cortili del santuario, coi paramenti sacerdotali, e di avvicinarsi all’altare di Dio per esercitare il sacerdozio, mantengono le loro mani e i loro piedi netti, con l’uso della vera conca di rame.

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Può essere interessante notare che la conca e la sua base erano fatte «con gli specchi delle donne che venivano a gruppi a fare il servizio all’ingresso della tenda di convegno» (38:8). Questo è molto significativo. Siamo sempre inclini a fare come un uomo che «mira la sua natural faccia in uno specchio; e quando s’è mirato se ne va e subito dimentica qual era». Lo specchio della natura non può mai darci un’idea esatta e permanente della nostra vera condizione. «Ma chi riguarda bene addentro nella legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera, questi, non essendo un uditore dimentichevole ma un facitore dell’opera, sarà beato nel suo operare» (Giacomo 1:23-25). Chi ricorre costantemente alla Parola di Dio e la lascia parlare al suo cuore e alla sua coscienza, sarà mantenuto nella santa attività della vita divina.

L’efficacia del servizio sacerdotale di Cristo si collega intimamente all’azione penetrante e purificante della parola di Dio. «Perché la parola di Dio è vivente ed efficace, e più affilata di qualunque spada a due tagli e penetra fino alla divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolle; e giudica i sentimenti e i pensieri dei cuore; e non v’è creatura alcuna che sia occulta davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte dinanzi agli occhi di colui al quale abbiam da render ragione». Poi, immediatamente dopo, l’apostolo ispirato aggiunge: «Avendo noi dunque un gran Sommo Sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figliuol di Dio, riteniamo fermamente la professione della nostra fede. Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccato (*). Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno» (Ebrei 4:12-16).

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(*) La versione italiana che traduce: «però senza peccare» non è esatta.
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Più sentiremo vivamente la spada della parola di Dio, più apprezzeremo il ministero della misericordia e della grazia del nostro Sommo Sacerdote. Sono due cose che vanno assieme. Sono i compagni inseparabili del sentiero del cristiano. Il grande Sommo Sacerdote simpatizza con le infermità che la Parola scopre ed espone: Egli è un «Sommo Sacerdote fedele» oltre che «misericordioso». E così, quanto più mi servo della conca di rame, tanto più apprezzo l’altare. Il culto deve essere offerto sempre nella potenza della santità. Bisogna che perdiamo di vista la natura, com’è riflessa in uno specchio, e che siamo interamente occupati di Cristo, com’è presentato nella Parola; così soltanto «le mani e i piedi», le opere e le vie, saranno netti secondo la purificazione del santuario.

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Nei versetti da 22 a 33, è trattato dell’«olio santo» col quale venivano unti sacerdoti, tabernacolo e utensili. Questa unzione è un’immagine delle svariate grazie dello Spirito Santo, che si trovavano tutte in Cristo nella loro divina pienezza. «Tutti i tuoi vestimenti sanno di mirra, d’aloe, di cassia» (Salmo 45:8). Dio ha unto di Spirito e di potenza Gesù di Nazareth (Atti 10:38). Tutte le grazie dello Spirito Santo, nel loro profumo perfetto, si concentravano in Cristo, e [adesso] da lui solo possono provenire. Quanto alla sua umanità, fu concepito dallo Spirito Santo e prima di entrare nel suo ministero pubblico fu unto di Spirito Santo; poi, quando prese posto nei luoghi celesti, sparse sulla sua assemblea, che è il suo corpo, i doni preziosi dello Spirito Santo, a testimonianza di una redenzione compiuta (Matteo 1:20; 3:16-17; Luca 4:18-19; Atti 2:33; 10:44-45; Efesini 4:8-13).

I credenti sono partecipi dei doni e delle grazie dello Spirito come associati con questo Cristo benedetto e glorificato per sempre. Inoltre, solo in una vita di comunione abituale con Cristo, essi possono godere di quelle grazie e di quei doni e possono spanderne il buon odore attorno a loro. L’uomo non rigenerato non sa queste cose; «non lo si spanderà su carne di uomo» (v. 32). Le grazie dello Spirito Santo non possono mai associarsi con la carne dell’uomo, perché lo Spirito Santo non può riconoscere la natura decaduta. Nessun frutto dello Spirito è mai stato prodotto dallo sterile ruolo di questa natura. «Bisogna che nasciate di nuovo» (Giovanni 3:7). Ci vuole l’uomo nuovo, quest’uomo che fa parte della «nuova creazione» per conoscere qualcosa dei frutti dello Spirito. È inutile cercare di imitare questi frutti e queste grazie. Il frutto più bello che il suolo della natura abbia mai prodotto, i caratteri più piacevoli che essa possa mostrare, non possono, in alcun modo, essere riconosciuti nel santuario di Dio. «Non lo si spanderà su carne d’uomo e non ne farete altro di simile, della stessa composizione; esso è cosa santa, e sarà per voi cosa santa. Chiunque ne comporrà di simile o chiunque ne metterà sopra un estraneo, sarà sterminato di fra il suo popolo» (v. 32-33). Dio non vuole contraffazioni dell’opera dello Spirito: tutto dev’essere interamente dello Spirito, realmente suo. Inoltre ciò che è dello Spirito non deve essere attribuito all’uomo. «Or l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio perché gli sono pazzia; e non le può conoscere perché le si giudicano spiritualmente» (1 Corinzi 2:14).

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C’è una bellissima allusione a questa unzione santa in uno dei cantici dei pellegrinaggi: «Ecco, quant’è buono e quant’è piacevole che fratelli dimorino assieme. È come l’olio squisito che, sparso sul capo, scende sulla barba, sulla barba di Aaronne, che scende fino all’orlo dei suoi vestimenti» (Salmo 133:1-2). Possa il mio lettore provare la potenza di questa unzione e sapere cosa significa avere «l’unzione del Santo» (1 Giovanni 2:20) ed essere «suggellato con lo Spirito Santo che era stato promesso» (Efesini 1:13).

Infine, l’ultimo paragrafo di questo capitolo così ricco di insegnamenti ci presenta «l’incenso salato, puro, santo». Questo incenso prezioso e senza pari ci parla delle perfezioni illimitate e inimitabili di Cristo. Dio non ha prescritto delle quantità per i vari ingredienti che entravano nella composizione di questo profumo, perché le grazie che sono in Cristo, le bellezze e le perfezioni che sono concentrate nella sua adorabile persona, non hanno limiti. Solo il pensiero di Dio può misurare le perfezioni infinite di Colui nel quale abita tutta la pienezza della deità; e, durante tutto il corso dell’eternità, queste gloriose perfezioni continueranno a manifestarsi alla vista di tutti i santi e degli angeli prostrati. Man mano che nuovi raggi di luce usciranno da questo sole centrale della gloria divina, i cortili celesti in alto e le vaste distese della creazione in basso risuoneranno di potenti alleluia alla gloria di Colui che era, che è e che sarà l’oggetto della lode di ogni intelligenza creata.

Non solo Dio non aveva stabilito la quantità degli ingredienti dell’incenso, ma aveva aggiunto: «in dosi uguali». Ogni carattere di eccellenza morale trovava in Cristo il suo vero posto e la sua giusta proporzione. Nessuna qualità doveva sostituirne un’altra o sminuirla; tutto era «salato, puro, santo» e spandeva un profumo di soave odore che Dio solo poteva apprezzare.

«Ne ridurrai una parte in minutissima polvere e ne porrai davanti alla testimonianza nella tenda di convegno dove io mi incontrerò con te; esso vi sarà cosa santissima» (v. 36). C’è una profondità e una potenza straordinarie in questa espressione: «in minutissima polvere». Essa ci insegna che ogni piccolo movimento nella vita di Cristo, ogni circostanza anche minima, ogni atto, ogni parola, ogni sguardo, ogni carattere, spande un profumo prodotto da un’eguale proporzione, da «dosi eguali» di tutte le grazie divine che costituiscono il suo carattere. Più il profumo era pestato fine, più era manifestata la sua squisita e perfetta composizione.

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«E del profumo che farai non ne farete della stessa composizione per uso vostro; ti sarà cosa santa, consacrata all’Eterno. Chiunque ne farà di simile per odorarlo sarà sterminato di fra il suo popolo» (v. 37-38). Questo profumo era esclusivamente destinato all’Eterno; il suo posto era «davanti alla testimonianza». C’è in Gesù qualcosa che Dio solo può apprezzare. Ogni credente può, è vero, avvicinarsi col cuore alla sua incomparabile persona e soddisfare i suoi più profondi e più ardenti desideri. Tuttavia, al di sopra di tutto ciò che i riscattati di Dio sono e saranno capaci d’afferrare di quello che gli angeli hanno potuto contemplare delle glorie insondabili dell’uomo Cristo Gesù, ci sarà in lui qualcosa che solo Dio può sondare e di cui egli solo può godere (vedere Matteo 11:27). Nessuno sguardo d’uomo o d’angelo potrà mai discernere ciò che racchiudeva questo santo profumo ridotto in «minutissima polvere» che trova solo nel cielo un luogo adatto per esalare tutta la sua divina eccellenza.

Siamo così giunti alla fine di una parte ben distinta del libro dell’Esodo. Abbiamo cominciato con «l’arca del patto» per arrivare fino all’«altare di rame», poi siamo tornati dall’altare di rame «all’unzione santa»; che cammino è mai quello, se lo percorriamo, non alla luce falsa e incerta dell’immaginazione umana ma al chiarore infallibile della lampada dello Spirito Santo! Non si cammina soltanto fra ombre di una dispensazione che non è più, ma in mezzo alle glorie personali e alle perfezioni del Figlio, che quelle cose rappresentano. Se il lettore ha percorso così questo libro, le sue affezioni saranno state potentemente attratte verso Cristo; ci sarà un’intelligenza più elevata della sua gloria, della sua bellezza, della sua eccellenza, della sua capacità per guarire una coscienza ferita e per soddisfare i desideri di un cuore assetato; i suoi occhi e le sue orecchie saranno chiusi di più alle attrazioni, alle pretese, alle promesse della terra; si sarà adatti a pronunciare un AMEN più fervente alle parole dell’apostolo: «Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema. Marànatà» (1 Corinzi 16:22). (*)

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(*) È interessante notare il posto che occupa questo anatema fulminante; si trova alla fine di una lunga epistola nel corso della quale l’apostolo ebbe da reprimere qualcuno dei peccati più grossolani e molti errori di dottrina. Come è dunque solenne e significativo il fatto che, quando pronuncia il suo anatema, lo lancia non contro quelli che hanno introdotto questi errori e questi peccati ma contro chi «non ama il Signore Gesù Cristo». Perché? Forse perché lo Spirito di Dio fa poco caso del male e degli errori? Certamente no; tutta l’epistola rivela quali sono i suoi pensieri a suo riguardo. Ma è sempre vero che quando il cuore è ripieno di amore per il Signore Gesù Cristo, c’è una salvaguardia contro ogni specie di falsa dottrina e di cattiva pratica. Chi non ama il Signore non può rispondere delle idee che adotterà o del cammino che seguirà. Ne deriva la forma dell’anatema apostolico e il posto che esso occupa.
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