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02/09/2012 16:27 | |
Senza volere fare dello psicologismo, questo capitolo 3 va letto fin dal primo versetto come un testo che va alla ricerca di alcune coordinate di riferimento per capire come funziona la tentazione, cioè come comincia, come ti ingabbia, che tipo di reazione provoca in te. Fin dall’inizio il testo ci dice che quando siamo davanti alla tentazione siamo davanti a qualcosa che non riusciamo a riconoscere come immediatamente pericoloso. Perché è come il serpente che ti morde quando non te lo aspetti e si presenta come il serpentello innocuo che non ti fa neppure le domanda che ti metterebbe sulla difensiva, ma si mette a chiacchierare con te del più e del meno per portarti dove vuole andare lui. Allora davanti a questo inizio di chiacchierata del serpente, la donna entra in dialogo.
Dicevamo che la formulazione del serpente butta là con noncuranza una menzogna totale su Dio. Dice: “Beh, ecco Dio ha detto: Non mangerete di nessun albero del giardino”. Detto così è lo stravolgimento totale di quello che ha detto Dio, il quale invece ha detto esattamente il contrario: "Di tutti gli alberi del giardino potete mangiare, ma non di quello della conoscenza del bene e del male”. Tradotto in italiano diventa evidente che il serpente sta mentendo. In ebraico è diverso. E’ difficile renderlo in modo efficace. “Tutto”, “tutti”, “ogni”, questi aggettivi in ebraico si dicono con una parola che è kol. Quando io dico “kol libro” posso intendere “tutto il libro” oppure “ogni libro”, a seconda se metto l’articolo o no. Ma ci sono dei casi in cui l’articolo potrebbe esserci o meno. Allora questa parola ebraica kol, a seconda se poi l’oggetto a cui si riferisce ha o no l’articolo, può significare tutto il libro o ogni libro. Proprio come in italiano, l’articolo fa la differenza. Ma siccome in italiano l’articolo si può mettere sempre, ma in ebraico ci sono dei casi in cui anche se ci potrebbe essere l’articolo tu puoi non metterlo, ecco che tu hai questo kol che non sai se vuol dire tutto, o tutti, o ognuno.
Quando Dio dà il suo comando all’uomo dice: “di ogni albero del giardino”. Però potrei tradurre anche “di tutti gli alberi del giardino”. Quindi Dio sta dicendo: “di ogni albero potete mangiare” oppure “di tutti gli alberi del giardino potete mangiare”. In un caso o nell’altro il significato non cambia.
Pedro
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02/09/2012 16:28 | |
Se però io faccio come il serpente e davanti a questa frase metto un “non”, allora le cose cambiano completamente. Perché la frase diventa: "Non mangerete di ogni albero del giardino", e questo potrebbe voler dire che potete mangiarne tanti, ma non di ogni albero. Può essere: "Non mangerete di tutti gli alberi del giardino", nel senso che ne mangiate di quasi tutti. Ma se c’è quel “non” davanti può anche essere: "Non mangerete di nessun albero del giardino". Perché il kol che vuol dire “tutto” viene negato dal “non” e “non tutto”, per noi, diventa “nessuno”.
Facciamo una sintesi. Quando Dio dice: voi potete mangiare di ogni albero o di tutti gli alberi, la frase ha un solo senso: “Potete mangiare quello che vi pare”. Quando invece questa frase viene negata, quando l’atto del mangiare viene negato, il senso non è più univoco, diventa equivoco. Perché può essere che io neghi il fatto che voi potete mangiare di tutti gli alberi tranne alcuni, ma può anche essere che la frase significhi che non potete mangiarne nessuno. La frase del serpente allora non è una domanda, quindi uno la prende alla leggera. E’ formulata dicendo il contrario di quello che ha detto Dio, però lo dice ridicendo quello che ha detto Dio solo aggiungendo un piccolo non. E questo piccolo non fa sì che la frase che il serpente dice sia equivoca. Per cui tu puoi capire che lui sta negando totalmente quello che ha detto Dio, ma puoi anche capire che lui sta dicendo che in fondo no, "potete mangiare quasi di tutto, non di tutto" e che quindi ancora una volta ci si possa mantenere ad un livello di innocuità.
Cerco di far vedere come il testo gioca su delle piccolezze perché colui che legge capisca che il serpente è astuto. Quando la donna, davanti a questo discorso del serpente, che sembra variare solo di poco il discorso di Dio, che oltretutto non è neanche chiaro, che non impegna con una risposta precisa, reagisce dicendo:
E disse la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino, Dio ha detto: Non ne mangerete e non lo toccherete altrimenti morirete”.Pedro
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02/09/2012 16:28 | |
La donna risponde – sembra - ristabilendo la verità. Solo che tu ti accorgi solo quando è troppo tardi che il serpente ti ha morso. Qui si vede che l’astuzia del serpente ha cominciato a fare effetto. Il che, tradotto in termini spirituali, vorrebbe dire che quando sei alle prese con la tentazione, tu non te ne accorgi; poi, quando anche cominci ad accorgertene, fai in modo di autoconvincerti che, in fondo, a parlare con il serpente non c’è proprio niente di male e che non sta dicendo neanche cose tanto sbagliate. Quindi tu puoi andare nella linea del serpente ed illuderti di star resistendo a certe prospettive sbagliate e invece senza accorgertene piano piano finisci col dire proprio quello che il serpente voleva farti dire. Perché la donna risponde apparentemente bene, probabilmente autoilludendosi di rispondere bene, ma invece è ormai pienamente nella linea del serpente.
Per tre motivi fondamentali. Innanzitutto - ci avete fatto caso? - sparisce il termine tutti o ogni dalla risposta della donna. La donna non risponde: “No, di tutti gli alberi del giardino noi possiamo mangiare!”, perché è questo quello che aveva detto Dio (kol, di ogni albero o di tutti gli alberi). Lei dice solo: “Del frutto degli alberi del giardino noi possiamo mangiare”. E già quindi c’è un tutti di meno. Come se la donna cominciasse a non vedere più l’assoluta gratuità, magnanimità di Dio - tutti gli alberi, tutto è vostro! - ora non sono più tutti gli alberi, ma solo il frutto degli alberi. Tra l’altro “alberi” è detto al singolare perché si usa un collettivo per cui sembra ancora di meno: “il frutto dell’albero”.
Poi dice che dell’albero proibito Dio ha detto: “Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare”. E Dio non ha detto di non toccarlo. E perché è grave invece che lo dica la donna? Perché la donna dicendolo, senza volerlo, sta confessando di non capire più il senso del comando di Dio. Vi ricordate perché? Il senso del comando di Dio era: tu non puoi mangiare di quell’albero lì perché quello è per conoscere tutto, è proprio solo di Dio. E quindi tu non lo puoi mangiare. E questo è ragionevole. Anzi è bello che Dio me lo dica, perché mi indica il cammino della mia verità. Ma se io non capisco più questo, mi trovo davanti ad un comando di Dio di cui io non capisco più il motivo o il senso, e davanti a cui quindi io non riesco più a percepire il fatto che quel comando è un comando buono e che Dio me lo dà perché mi vuole bene. Se mi trovo davanti ad un comando di cui non capisco il senso, posso solo avere la percezione che mi hanno detto di fare una cosa e a me tocca di farla. Ma non so perché, non so il motivo che c’è sotto e quindi non so neppure se mi dicono di farla tanto per farla, se mi dicono di farla perché mi vogliono male, o se mi vogliono bene. Ma non lo so!
Pedro
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02/09/2012 16:28 | |
Se mi dite di non mangiare una cosa e io non so perché voi mi dite di non mangiare quella cosa, non so se mi volete bene o invece mi odiate e me lo dite per farmi del male, per farmi cadere, per tendermi una trappola o per prendermi in giro. Io non lo so. Tutto dipende dal capire il senso dei comandi. Per inciso guardate che questa è l’obbedienza che la Bibbia chiede all’uomo. La Bibbia dice che l’obbedienza che Dio vuole dall’uomo è un’obbedienza che, avendo capito qual è il senso del comando, obbedisce al senso di quel comando.
Lo fa volontariamente, spontaneamente, in un’obbedienza che diventa assolutamente libera. Perché io, siccome capisco qual è il senso del comando e capisco che è un comando giusto, faccio quello che mi si chiede perché anch’io sono convinta di farlo e voglio farlo. Dio non sa che farsene dell’obbedienza formale di chi fa quello che Lui gli dice senza sapere perché. L’obbedienza che la Bibbia chiede è un’obbedienza particolarmente impegnativa perché bisogna capire cosa ci viene chiesto. E capire cosa ci viene chiesto non solo ci impegna, ma impegna l’intelligenza e anche proprio il cuore perché viene messa di mezzo la nostra volontà. Ma poi ci impegna sul piano decisionale perché obbedire veramente a certi comandi può persino paradossalmente portarci a fare concretamente delle cose diverse da quelle che apparentemente ci vengono chieste.
Ho un esempio molto bello. S.Teresa d’Avila, lasciando delle prescrizioni per il comportamento delle sue suore, ad un certo punto ha lasciato detto che, quando si fonda un nuovo Carmelo, bisogna costruirlo in modo che l’infermeria venga messa a nord. Allora noi possiamo obbedire a questo in due modi. Possiamo dire: c’è scritto così e noi lo facciamo così. Tutto a nord! A noi interessa obbedire. Lei ha detto di mettere l’infermeria a nord e noi così facciamo. Precisi, che sia rigorosamente a nord, non magari a nord-est! Siamo nel 1815, andiamo a fondare un convento carmelitano a Oslo, in Norvegia, e dopo pochissimo tempo non avremo più suore malate. Perché dopo poche ore in infermeria prenderanno la polmonite e moriranno! Poi però scopro che S.Teresa d’Avila dice queste cose parlando di una città in Spagna, dove fa molto caldo. E allora capisco che il senso del comando era un altro. Le carmelitane seguono delle regole molto dure, ma nel caso in cui le suore sono malate ci sono altre esigenze. Allora non vale più l’ascesi, la via della durezza, il sacrificio, la passione. Niente, qui prevale l’amore, qui prevale la carità. Se la vostra sorella è malata voi la dovete mettere nel posto in cui soffre di meno, in cui c’è più fresco, e quindi la dovete mettere a nord.Pedro
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02/09/2012 16:29 | |
Quindi se uno capisce questo quando poi vuole obbedire a S.Teresa e va a costruire il Carmelo a Oslo, mette l’infermeria a sud, per obbedire a S.Teresa che gli ha detto di metterla a nord. Ora questa è l’obbedienza biblica. E guardate che comunque niente è automatico, perché il rischio è che qualcuno dica: va bene, abbiamo capito, d’ora in poi facciamo il contrario di quello che ci dicono... No! Ogni volta uno si deve interrogare sul senso e poi obbedire al senso. Fate attenzione: al senso attraverso la lettera. Guai a lasciare la lettera. Che uno non dica: beh, io ormai obbedisco al senso, ormai ho lo Spirito, ormai della lettera della Legge non mi importa niente. Non ha più niente a che vedere con me. Non è così, perché se S.Teresa non avesse lasciato scritta questa cosa dell’infermeria, non avrebbe lasciato questo insegnamento dell’amore per la sorella malata. La lettera è fondamentale. Solo che poi la devi capire e devi obbedire. Devi obbedire alla lettera, ma nello Spirito.
Quando noi siamo davanti ad un comando di Dio, noi abbiamo la possibilità o di mettere l’infermeria a nord o di metterla a sud. Di obbedire secondo il senso o di obbedire come si obbedisce ad un despota: ha detto di fare così ed io lo faccio. Se io entro in questo tipo di obbedienza, sono obbediente in modo servile, non da figlio, ma da schiavo. L’obbedienza formale, che si limita a fare, senza cuore. Quando cominciamo ad obbedire così a Dio senza più capire ciò che Dio ci comanda e limitandoci ad osservare la lettera, quello che avviene è che il comando di Dio inevitabilmente comincia ad espandersi, perché invece di essere un comando diventa un tabù. Perché io, donna che sono nel giardino, non so più perché Dio mi ha detto che non devo mangiare di quell’albero, e allora dico: “Boh, mi ha detto di non mangiarlo... non lo mangio. Non lo mangio... ma potrò toccarlo?”. Se io non capisco perché muoio se lo mangio, mi può venire il dubbio che potrei morire pure se lo tocco. Allora per sicurezza non lo tocco nemmeno... Ci potrò passare vicino? Sai, per sicurezza, evitiamo anche di passarci vicino. Lo potrò guardare? Nel dubbio meglio anche non guardare. Allora io vivo nel giardino, che dovrebbe essere il luogo della mia gioia, evitando di toccare tutto, di guardare, con la testa girata indietro.
Uno allora arriva a dire: “Se è così, io dal giardino me ne vado!” E’ facile ridere se diciamo questo, ma pensate a cosa succedeva quando ci si diceva che non si può mangiare la carne al venerdì. Ed era una cosa che aveva un senso bello, perché la Chiesa come madre ci dava delle indicazioni di senso. Ci diceva: guardate il venerdì è il giorno in cui si fa memoria della Passione del Signore, allora è anche il giorno in cui si fa memoria del fatto che la rinuncia, anche la sofferenza, se vissute in un certo modo, hanno un senso. E poi c’è un’esigenza di carità, di condivisione. Allora il venerdì non mangiate carne, che è un cibo da ricchi. Fatelo come fatto simbolico. E’ un modo con cui voi assumete quello che ha il sapore di una rinuncia, il giorno in cui il Signore Gesù ha rinunciato a difendersi per salvare gli altri e quindi ad entrare nel cammino della morte e questo diventa poi la possibilità di condividere con altri, perché quello che tu non utilizzi oggi per comprare la carne può servire ad altri per mangiare. Vedete che era molto bello.Pedro
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02/09/2012 16:29 | |
Ma voi vi ricordate che noi avevamo il problema di capire se il venerdì si poteva mangiare il brodo fatto con il dado perché non sia mai nel dado c’era l’estratto di carne? E non è come la donna che dice: “Oddio, forse non lo posso guardare?” Poi magari c’era chi poteva che non mangiava nemmeno il brodo di carne per essere sicuro, però una bella sogliola, frutti di mare e, ogni tanto, un’aragosta se la mangiava. E aveva fatto il venerdì. E’ quello che sta succedendo alla donna, che quindi dice: “Non lo si deve neanche toccare”. Che non è vero, è lei non ha capito niente.
Terzo errore della donna, e questo è quello definitivo. La donna dice: “Dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: non lo dovete mangiare e non dovete toccarlo”. Ma vi ricordate che gli alberi sono due e che l’albero che sta in mezzo al giardino è l’albero della vita? E qui la donna è caduta definitivamente nella trappola perché parla dell’albero della vita come se invece fosse l’albero proibito. Questa confusione degli alberi dice che tutto si è confuso nella coscienza della donna e che ormai la donna percepisce l’obbedienza al comando di Dio come qualche cosa che non le permette di vivere e di vivere in pienezza. Prima io vi facevo ridere però alla fine uno dice: “Se è così che devo vivere dentro al giardino, io così non vivo più”. Ma quante volte noi davanti a certe esigenze evangeliche, quante volte davanti a quello che ci sembrava essere su di noi la volontà di Dio, noi abbiamo detto e diciamo: “Se è così io non vivo più?” Credo che nella vostra vita prima o poi sia successo.
Questo è il meccanismo della tentazione, questo è il meccanismo del peccato secondo Gen 3. Per cui la donna si ritrova in realtà senza quasi accorgersene in pieno discorso del serpente, quasi senza saperlo. Ma, alla fine, sapendolo invece perfettamente. Il cammino è lungo per arrivare a questo, ma si ritrova a dire insieme al serpente che Dio è cattivo perché ha dato un comando cattivo. Perché ci dice di fare delle cose non perché ci vuole bene e vuole la nostra felicità; ci dice di fare delle cose o di non farle perché invece non ci ama. E questo che Lui ci dice ci mette in condizione insostenibile di sofferenza, di non vivere più in pienezza. Se Dio è questo io non riesco a riconoscere in Lui un Padre.Pedro
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| | | OFFLINE | Post: 5.293 | Sesso: Maschile | |
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02/09/2012 16:30 | |
Infatti appena la donna ha dato questa risposta il serpente scopre definitivamente le carte. A questo punto non ha più motivo di tenerle nascoste, e dice: “No, voi non morirete affatto e anzi Dio sa che quando voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio conoscendo il bene e il male”. Che tradotto vuol dire: “Hai proprio detto bene, Dio è cattivo. E il comando che ti ha dato non è per il tuo bene, ma per il suo proprio interesse. Davanti a un Dio così, cattivo, dispotico, che mi vuole morto, allora è meglio che muoia Lui”.
Allora la donna decide di prendere il frutto. Perché a questo punto cambia anche il suo modo di vedere l’albero. Lo guarda, dice il testo, e vede che “il frutto è bello, è buono da mangiare, è desiderabile”. E’ cambiato il cuore e quindi cambiano anche gli occhi. Nel momento in cui io dico che Dio è cattivo e mi chiede cose che non sono per il mio bene, allora le cose proibite diventano belle e desiderabili, io non le so più riconoscere per quello che davvero sono. Io non so più capire che quello mi fa male, e invece dico: “Invece mi farebbe proprio un gran bene”. Che è il modo tranquillo con cui noi solitamente iniziamo a peccare quando davanti a qualcosa che sappiamo essere male, cominciamo a dirci: “Dunque, Dio ha detto che questo è male. Io ero convinta di questo fino ad un po’ di tempo fa.. Però adesso le cose sono cambiate. Può anche darsi che effettivamente questo sia male, però è male in genere, ma non per me. In questa situazione particolare non è male, anzi, tutto considerato, è bene, mi aiuta farlo. E perché mai non dovrei farlo? Che male c’è?” E lo fai.
Perché se noi fossimo davvero convinti che quello è male noi non lo faremmo. Perché nessuno di noi è talmente folle da fare qualche cosa che lo distrugge. Se noi fossimo consapevoli che il male ci ammazza - perché così è - noi non lo faremmo. Ma l’idea di Gen 3 è che noi, pur sapendo che il male ci ammazza, ci autoconvinciamo - ecco il serpente, l’inganno, l’astuzia - che invece, in questa particolare occasione a me non solo questa cosa non mi ammazza, ma anzi mi farebbe proprio un gran bene. E lo faccio. Il frutto diventa bello, e se gli occhi decidono che il frutto è bello allora il gesto della mano che prende il frutto è assolutamente automatico. Nel momento in cui tu hai giudicato che ciò che è male invece è bene, il peccato tu l’hai già consumato. E la donna prende il frutto e poi lo dà anche all’uomo.Pedro
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| | | OFFLINE | Post: 5.293 | Sesso: Maschile | |
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02/09/2012 16:30 | |
Dicevamo che davanti alla donna che ormai è rimasta presa in trappola, il serpente dà la sua botta finale per la caduta della donna. Vedete: anche la risposta del serpente è un’affermazione non verificabile. Dice: “No, non è vero, Dio vi ha detto questo perché non vuole che conosciate il bene e il male”, ma una cosa di questo tipo non si può verificare. O ti fidi o non ti fidi. E questo anche è un elemento significativo nell’insegnamento di questo racconto, perché ci dice che noi siamo davanti a due parole, a due sapienze, quella di Dio e quella del serpente. E tu devi decidere di quale ti fidi.
Perché non è verificabile la risposta del serpente come però a volte non è verificabile neppure il comando di Dio. Allora tu puoi fare riferimento alla tua esperienza, all’esperienza di coloro che ti hanno preceduto, ma anche lì dipende se ti fidi o non ti fidi. In altre parole quello che è in gioco è la fede. Ed è inutile andare in cerca di quello che mi può garantire dentro la fede. E’ la fede che si garantisce da sé. Siamo davanti a due sapienze, quella del serpente e quella di Dio.
“La donna ne mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei”. Vedete, il gesto di per sé è un gesto bello, un gesto di comunione. La donna non tiene per sé il frutto, ma lo dà all’altro. Solo che non ci può essere comunione nella separazione da Dio, nella contrapposizione a Dio. Allora, quello che sembra il gesto bello, io che ho preso il frutto che secondo me è un tesoro prezioso e lo condivido con te, se fatto in contrapposizione a Dio, non è condividere un tesoro, ma la morte.Pedro
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| | | OFFLINE | Post: 5.293 | Sesso: Maschile | |
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02/09/2012 16:31 | |
Il testo qui diventa fortemente ironico. Il serpente aveva detto: “Se voi mangiate del frutto i vostri occhi si apriranno e voi conoscerete il Bene e il Male”. La donna prende il frutto, lo dà all’uomo, lo mangiano e il narratore, ironicamente, chiosa: “E allora si aprirono i loro occhi” - proprio come aveva detto il serpente - “e conobbero” - proprio come aveva detto il serpente - “di essere nudi”. Ecco l’ironia, si avvera esattamente quello che ha detto il serpente, si aprono gli occhi e loro conoscono, solo che invece di conoscere il Bene e il Male, conoscono di essere nudi, cioè conoscono di aver bisogno di difendersi.
Perché cos’è la nudità nella prospettiva biblica? Voi ricordate la fine del capitolo 2 di Gen dice: “L’uomo e la donna erano nudi e non ne avevano vergogna”. Sapete tutti che non c’entra niente qui il comune senso del pudore. Avere vergogna non vuol dire avere pudore. Avere vergogna nella Bibbia vuol dire essere smascherati, riconosciuti colpevoli e perciò dover morire. Dunque la vergogna è una cosa seria. E’ oggettivamente ciò che ti porta alla morte e soggettivamente quel senso di sgomento, di terrore e di smarrimento che si accompagna all’esperienza del morire.
Per questo i Salmi ogni tanto dicono: “Signore i nostri nemici siano svergognati, si copra di vergogna il loro volto”. Noi potremmo dire: “Beh, se è solo questo, che devono diventare rossi di vergogna, ci si può anche stare, se è tutto qui il castigo”. No, lì si sta chiedendo: “Falli fuori tutti, che muoiano!”. Il testo di Gen 2 dice che erano nudi e non avevano paura, non avevano quel senso di sgomento che si prova davanti alla morte. Perché essere nudi vuol dire effettivamente esporsi all’altro, essere simbolicamente senza difese e senza più segreti. E vuol dire che sei in balia dell’altro, perché l’altro ti vede come sei, ti conosce per quello che sei e ti può controllare, manovrare, sei nelle sue mani.Pedro
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| | | OFFLINE | Post: 5.293 | Sesso: Maschile | |
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02/09/2012 16:31 | |
L’idea è: “Erano nudi”, cioè esposti l’uno all’altro, in balia l’uno dell’altro, ma non avevano motivo di averne paura, non era per loro un’esperienza di morte. Tra l’altro pensate anche antropologicamente, nella nostra esperienza anche attuale, come è esplicativa questa faccenda della nudità. La nudità può essere capita all’interno di una percezione ed anche di un rapporto con il corpo proprio e altrui che sia ancora un rapporto di rispetto e di comprensione del mistero. Ma basta accendere la televisione e di misteri ce ne sono pochi. Ma quella è una degenerazione del rapporto al corpo. Se noi parliamo, invece, di un rapporto al corpo serio, provate a pensare cosa vuol dire essere nudi, in positivo, quando un uomo e una donna si amano e fanno l’amore. Lo fanno nudi. E questo non perché è più erotico - anche per carità - ma c’è proprio simbolicamente un esporsi e un darsi totalmente all’altro che la nudità esprime e simboleggia. Io sono ormai completamente senza difese, è quel diventare uno che anche la nudità significa. Da lì nasce poi quella complicità, quel conoscersi, quel non avere più paura dell’altro e che l’altro mi conosca. Che è la meraviglia del volersi bene, perché sono questi i momenti grandiosi del volersi bene. Di due persone che possano fidarsi talmente uno dell’altro da giocarsi la vita intera e per sempre e senza segreti. La nudità.
Ma adesso pensate al negativo, e lo sanno bene gli esperti in tortura. Se tu vuoi piegare la coscienza e la forza di resistenza di un uomo, rimani vestito tu, ma metti nudo lui. Proprio perché uno ha questa percezione terribile dell’essere in balia. Ebbene, dice ironicamente il nostro testo, gli occhi di questi si aprono, e conoscono di essere nudi. E allora immediatamente corrono ai ripari. Prendono delle foglie e cominciano a costruire le loro difese, le loro barriere, che si vede poi bene, servono, sono ormai necessarie. Perché quando Dio interviene e comincia a fare le domande, c’è da parte dell’uomo e della donna la fuga al “si salvi chi può”, “muoia lui purché mi salvi io”. Allora: “Cosa hai fatto tu, uomo?” - “Io? Mica io, la donna! Muoia lei purché mi metta in salvo io”. E la donna: “Io? Mica io! Il serpente!”.
C’è questo gioco terribile dove si vede ormai bene che la solidarietà tra l’uomo e la donna, che pure era stata significata dal gesto della donna che gli dava il frutto, è assolutamente finita, perché si è ormai radicalmente alterato il rapporto tra i due, così come si è radicalmente alterato il rapporto con il mondo. Il giardino invece di essere il luogo da coltivare, in cui camminare la sera insieme a Dio, passeggiando, diventa invece il luogo che tu utilizzi per nasconderti e da cui strappi le foglie per costruirti le barriere.Pedro
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| | | OFFLINE | Post: 5.293 | Sesso: Maschile | |
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02/09/2012 16:32 | |
E si sono radicalmente alterati i rapporti con Dio perché Dio interviene e l’uomo e la donna hanno paura e si nascondono. Quindi vedete che ciò che fondamentalmente costituisce l’uomo - il rapporto con Dio, il rapporto con gli altri e il rapporto con il mondo, e quindi la vita - tutto è radicalmente alterato. E questo è ciò che il peccato provoca. Dio allora in questa situazione che è ormai avvenuta, interviene. Prima con le domande e poi con le sanzioni.
Prima le domande. Non per avere una spiegazione, ma perché l’uomo prenda coscienza della follia di quello che ha fatto. Sono domande in forma accusatoria: “Che cosa hai fatto?” E’ la formula tipica dell’accusa nel resto della Bibbia, dove uno non chiede “Cosa hai fatto?” intendendo “Spiegami cosa è successo”, ma “Ti rendi conto di cosa hai fatto?” perché l’altro possa prendere coscienza del proprio peccato. Solo che, appunto, l’uomo e la donna, davanti a queste domande, invece di prendere coscienza del proprio peccato e quindi di confessarlo, accusano gli altri e ultimamente accusano Dio.
Perché la donna è quella “che tu mi hai messo accanto” e il serpente - la donna non lo dice, ma l’ha detto il narratore all’inizio - è una creatura che Dio aveva fatto. Si vede qui proprio fin dove può arrivare la follia del peccato che ti porta all’autogiustificazione che diventa accusa di Dio, di questo Dio invece che ti sta chiedendo perché ti vuole perdonare. E tu invece lo accusi. “E se Dio non mi avesse messo in questa situazione io non avrei peccato. Se Dio non m’avesse dato la donna io non avrei preso il frutto e se Dio non avesse fatto il serpente... La colpa è di Dio, l’ha fatto lui il serpente mica io”.
Pedro
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| | | OFFLINE | Post: 5.293 | Sesso: Maschile | |
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02/09/2012 16:32 | |
Un giro perverso perché arriva fino all’accusa di Dio e che però insieme - io credo - paradossalmente dice anche qualcosa di vero. Non di vero su Dio. Non è vero che Dio è colpevole. Ma qualcosa di vero sull’uomo, o meglio sulla percezione che l’uomo ha di se stesso come peccatore. Perché se voi ci pensate bene, l’uomo pecca sapendo cosa fa e volendolo fare, altrimenti non sarebbe un peccato. Però in questo suo volere, in questo suo sapere cosa fa, c’è una dose notevolissima di inganno e di autoinganno. Per cui da una parte è vero che l’uomo sa quello che fa, dall’altra non lo sa veramente fino in fondo, perché se davvero sapesse quanto il male è distruttivo non lo farebbe. E se finisce per farlo è perché si illude che non sia distruttivo, quindi sa di stare facendo il male, ma non lo sa fino in fondo, e liberamente decide di fare il male, ma di una libertà che non è libera fino in fondo.
Quello che voglio dire è che l’uomo peccatore, dopo il peccato, percepisce se stesso come peccatore, sì, come qualcuno che ha fatto una follia, sì, come qualcuno che ha fatto qualcosa di orribile e non doveva farlo, sì, ma in qualche modo anche come qualcuno che è rimasto misteriosamente vittima delle circostanze, dell’autoinganno, dell’illusione, del momento di debolezza, del momento di ira, di qualche cosa che gli sembra superarlo.
Non a caso il nostro racconto di Gen 3 avrebbe potuto anche essere impiantato in altro modo, cioè con la donna che davanti all’albero lo guarda e dice: “Ma sarà proprio vero che se io lo mangio muoio?” La dinamica in fondo sarebbe la stessa, è la donna che decide di fare il male, ma quando poi questo avviene, uno si accorge di ritrovarsi dentro un giro che è ormai più grande di lui, dentro un giro che lo supera e dentro qualche cosa che diventa quasi impossibile controllare. Tu cominci e ti ritrovi che quello che hai cominciato a fare va fuori di controllo.Pedro
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02/09/2012 16:33 | |
Un esempio tipico? Pensate a Davide e Betsabea. Lui voleva passare una notte con una donna bella. Probabilmente illudendosi che questo in fondo non avrebbe fatto male a nessuno. Il marito della donna era pure via, quindi non avrebbe fatto male a nessuno, invece avrebbe fatto bene a Davide perché era un modo per prendersi una pausa dal terribile peso di essere re. Per di più c’era la guerra, quindi era in tensione, era preoccupato, quindi voleva solo passare una notte rilassandosi, magari con l’illusione che l’indomani avrebbe potuto gestire meglio le cose del regno perché era più contento e soddisfatto. Allora in fondo che male c’è nel fare una cosa che tutto considerato mi fa bene? Vedete l’inganno? E quando poi Davide lo fa, ecco cosa succede a lui che voleva solo passare una notte con una donna bella. Si ritrova in una situazione per cui la donna rimane incinta e allora lui fa un obbrobrio inaccettabile, cerca di rifilare il figlio al marito della donna. Chiamando Uria dal campo di battaglia e dicendogli: “Vai a lavarti i piedi”, tradotto: “Vai a letto con tua moglie”, cosicché il figlio risultasse figlio di Uria. E quando Uria non va invece a casa dalla moglie, allora Davide lo uccide - tra l’altro in modo infame, perché è Uria stesso a portare l’ordine di uccisione a Ioab. Tutto è cominciato con la voglia di passare una notte in compagnia di una donna bella.
Tutto comincia così, ma si finisce con un omicidio. Perché quando tu innesti la spirale del peccato, quella ti va fuori di controllo. Allora o tu riesci ad interrompere la spirale confessando la tua colpa, oppure sei costretto a fare altro male per coprire il male che hai già fatto. Si comincia con un adulterio e si finisce con un omicidio. Questo è automatico. Ecco un altro aspetto del perché il serpente è qualche cosa che è al di fuori di me. Ed ecco perché allora c’è anche un pochino questa percezione che l’uomo ha sì delle propria responsabilità, ma contemporaneamente sa di essere stato vittima. Di nuovo siamo nel paradosso, perché se sei libero e fai il male volontariamente non è vero che sei vittima. Invece sono vere tutte e due le cose. Vittima delle circostanze. Bastava che Davide passeggiasse sulla terrazza mezz’ora prima o mezz’ora dopo e non avrebbe visto Betsabea e non sarebbe successo niente. Vittima delle circostanze. Vittima di una pulsione sessuale che non è stato capace di controllare, vittima del desiderio. C’è qualcosa di questa percezione che l’uomo ha del peccato. Siamo responsabili, ma vittime di inganno, però responsabili di quell’inganno. E’ così.Pedro
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02/09/2012 16:34 | |
Quando questi dicono “Non è stata colpa mia” mentono, e entrano nella spirale folle del male e contemporaneamente dicono qualche cosa però invece della loro percezione. Che è però appunto una percezione di inganno e una confessione di debolezza. Dio interviene con le sanzioni. Dio interviene sulla realtà di questi che ha interrogato e dice al serpente:
“Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.
Poi dice alla donna:
“Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”.
Poi dice all’uomo:
“Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”.
Cerchiamo di capire cosa sta succedendo. Qui Dio sanziona il male che è avvenuto. Però - se voi guardate bene - qui Dio sta semplicemente dicendo quello che è già avvenuto. Perché ormai già si sono alterate le relazioni tra l’uomo e la donna. "Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà." Ma questo è già successo. E già si sono alterate le relazioni con il mondo, “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”. Già l’armonia con la terra non c’è più e quindi è già successo. E già si è alterato il rapporto con la vita: “Con dolore partorirai”. Ma questo è già successo.Pedro
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02/09/2012 16:34 | |
Quello che voglio dire è che Dio, dicendo queste cose, non sta inventandosi delle punizioni da aggiungere al male che l’uomo ha fatto per punire il male. Sta semplicemente dicendo quali sono le conseguenze di questo male che è già stato fatto e quali sono queste conseguenze che già si sono verificate. E non c’è bisogno che Dio punisca, perché è già il male che punisce l’uomo. Perché la vera punizione del male sono le conseguenze del male e non serve che Dio se le inventi. Se la mamma dice al bambino: “Non mangiare tutta la cioccolata perché sennò poi ti viene il mal di pancia” e il bambino ruba la cioccolata e la mangia, poi non serve che la mamma gli dia pure uno schiaffone, ma bisogna che la mamma intervenga per far capire al bambino che si sta punendo da solo. O meglio che ciò che lo punisce è il male che ha fatto, perché la punizione non è lo schiaffo, ma il mal di pancia. E se, per un caso fortunato, il mal di pancia al bambino non viene, la punizione c’è lo stesso, ed è che si sono incrinati i rapporti con la mamma. Ed è questo che fa male, non il fatto che tua madre ti dia uno schiaffone.
Allora, questi discorsi di Dio non sono lo schiaffone della mamma, ma il modo in cui Dio dice: “Ecco, questo è quello che è successo”. Solo che nel momento in cui Dio lo dice, persino quello che è successo, persino queste terribili conseguenze del male che sono la punizione del male, persino queste cambiano di segno e diventano positive. Perché Dio condanna il serpente e dice che proprio quell’uomo che è vittima del serpente, proprio lui lo schiaccia. E che proprio quel tallone che è la parte più indifesa dell’uomo nei confronti del serpente - perché lì il serpente può mordere senza che tu te ne accorga, perché tu le punte dei piedi le vedi, ma il tallone non riesci a vederlo - proprio quello che è il luogo della tua debolezza e che tu non puoi difendere, proprio quello diventa ciò che invece vince il serpente.
Questo annuncio di vittoria cambia di segno pure le sanzioni sull’uomo e sulla donna. Perché quando Dio dice alla donna “Con dolore tu partorirai”, da una parte sta dicendo che si sono alterate le relazioni con la vita, e questa è la conseguenza del male, ma dall’altra parte, intervenendo su questa realtà Dio la sta trasformando, perché questo dolore - che è la conseguenza del male ed è quindi la punizione che il peccato stesso infligge all’uomo - questo dolore misteriosamente diventa invece salvifico per la donna, perché se il peccato è voler diventare come Dio, ebbene il momento in cui la donna è più simile a Dio è quando genera una vita.Pedro
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02/09/2012 16:35 | |
E se adesso quella generazione della vita è segnata dal dolore, proprio quel dolore aiuterà la donna a non illudersi più di poter essere Dio. E allora proprio quel dolore sarà ciò che salverà la donna. Così come il sudore della fronte quando l’uomo lavora, perché è lavorando che l’uomo è più simile a Dio - per il discorso che facevamo nell’incontro precedente, perché è lavorando che l’uomo crea. Ma se ora crea con il sudore della fronte, non può più illudersi di essere Dio. E se quest’uomo ancora si illude - e si illude - perché dice Dio alla donna “Verso di lui è il tuo istinto”, il tuo desiderio, il tuo bisogno di lui, quindi una confessione di debolezza da parte della donna. “Verso di lui è il tuo bisogno e tu sei debole e lui invece, il forte, invece di chinarsi sulla debolezza per aiutarla, lui userà la sua forza per schiacciare la debolezza", la perversione, allora, la debolezza della donna la salva, perché se è debole vuol dire che ha bisogno di aiuto, che quindi non è Dio, che quindi ha bisogno di Dio.
Se l’uomo ancora si illude di non aver bisogno di Dio e di essere forte, ci sarà allora la morte, ci sarà quel tornare alla terra che lo metterà davanti alla sua verità di debolezza e davanti alla morte non c’è più nessuna possibilità di illudersi di essere ancora Dio. Paradossalmente allora proprio la morte che è la conseguenza maledetta del peccato, proprio la morte che è entrata a motivo del peccato nella realtà dell’uomo come viene detto e nel Libro della Sapienza, e nelle Lettere di Paolo, proprio la morte può diventare invece l’occasione definitiva per lasciarsi salvare da Dio. Perché proprio nella morte l’uomo può finalmente - e direi inevitabilmente - scoprire di non essere Dio e di avere bisogno di essere salvato.
Ed è allora proprio la morte, la maledetta conseguenza del peccato, che diventa l’ultima, meravigliosa, benedetta offerta di salvezza per l’uomo. Vedete che quelle che sono le sanzioni, sanzioni non sono. Nel senso che sono sanzioni nella misura in cui dicono le conseguenze del peccato che già ci sono e, dette da Dio, assunte in qualche modo da Dio, cambiano di segno e da negative che sono diventano positive. E’ chiaro che tutto questo va capito in senso simbolico. Non è che adesso speriamo che la donna soffra tanto quando partorisce e dovesse soffrire un po’ meno del previsto, facciamo qualche cosa per farla soffrire di più! Non è questo. Si sta parlando a livello simbolico, prendendo i due luoghi tipici della somiglianza con Dio dell’uomo e della donna, il cambiare il mondo da una parte, il generare la vita dall’altra - anche l’uomo si ammala e prova dolore e anche la donna lavora.Pedro
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02/09/2012 16:35 | |
Qui si apre per l’uomo una nuova storia che è ormai segnata inevitabilmente dal peccato e che però Dio riesce a modificare. Nemmeno Lui può cancellare il fatto che il peccato ci sia stato. Neppure Dio può, davanti alla donna che ha preso il frutto e che l’ha mangiato insieme all’uomo, intervenire e dire: “No, facciamo così, fermiamo tutto, torniamo indietro di tre giorni e ricominciamo daccapo”. Se la donna ha mangiato il frutto, l’ha mangiato e non ci sono santi. Ma Dio può cancellare il peccato intervenendo nella realtà di peccato e modificandola e quindi trasformando le conseguenze del peccato in possibilità di salvezza e entrando ora in questa storia dell’uomo che ormai è diversa da prima. Ormai non può più essere come era prima di mangiare il frutto. E però Dio può accompagnare, continuare ad essere vicino all’uomo in questa sua realtà, in questa sua nuova storia segnata dal peccato, ma da un peccato che è perdonato, che l’uomo allora può lasciarsi perdonare.
Ed è quello che avviene quando Dio parla di morte. E guardate che la morte qui assume questa connotazione positiva di offerta di salvezza, ma presentata come la realtà negativa, maledetta, che vuol dire tornare alla terra. Solo che la terra non è più quella di prima, adesso la terra è stata maledetta dal peccato dell’uomo. Quindi è un tornare alla terra che non è più il tornare alla terra che ti riconosce, la terra madre. Torni ad una terra che a motivo di te è stata maledetta. Eppure anche questo ritorno alla terra può avere questa dimensione salvifica perché Dio è capace di perdonare.
L’uomo e la donna vengono cacciati dal giardino e dunque entrano in una nuova storia e in nuovo rapporto con il mondo, che non è più quello di prima perché adesso la terra su cui l’uomo e la donna vivono e la terra a cui ritornano morendo, non è più quella benedetta del giardino, ma quella maledetta che produce solo spine e cardi. Quindi la storia dell’uomo ormai è cambiata, segnata inevitabilmente dal male che l’uomo ha commesso. Ma dentro questa storia pur così segnata dal male, dal peccato, dalla sofferenza, Dio non lascia solo l’uomo. Allora la donna si chiama Eva (Hawwah), che è un nome che ha a che fare con il verbo hayah che vuol dire vivere e far vivere, e infatti si dice: “La chiamò Eva perché fu madre di tutti i viventi”.Pedro
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02/09/2012 16:36 | |
Dunque nonostante la conseguenza del peccato sia la morte, la vita continua, perché la fedeltà di Dio continua, perché l’amore di Dio continua, perché Dio perdona. Quando se ne vanno dal giardino, loro che erano nudi vengono rivestiti da Dio con dei vestiti di pelle. Che se da una parte dicono che quest’uomo e questa donna hanno peccato, perché se non avessero peccato non ci sarebbe bisogno dei vestiti, dall’altra segnalano che però questo peccato, Dio lo può e lo vuole recuperare, che Dio non abbandona l’uomo in balia del peccato, ma che Dio entra dentro la situazione di peccato dell’uomo per trasformarla in luogo di perdono, di amore e di grazia.
Allora quei vestiti di pelle stanno lì a dire che dove è abbondato il peccato - e si vede perché ci sono i vestiti - è però sovrabbondata la Grazia, e si vede, perché quei vestiti sono il segno dell’amore di Dio. Così termina il nostro racconto con però l’angelo, i cherubini, con la spada fiammeggiante che adesso impediscono la via all’albero della vita. Questo è evidente perché l’albero della vita era l’albero a cui l’uomo poteva accedere se non mangiava dell’albero della conoscenza del bene e del male. Adesso non può più accedere alla vita, perché prendere dell’albero della vita da parte dell’uomo sarebbe una pretesa di vita eterna. Perché ha preso dell’albero della conoscenza del bene e del male per essere come Dio, e se allora adesso credendosi Dio, volendo essere Dio, prende la vita, quella è la vita eterna e l’uomo non può, quella è di Dio.
Allora ecco l’affermazione insieme dolorosa ed ironica di Dio che dice: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi”. Ironicamente ma anche dolorosamente, nel senso che questa è stata la pretesa, ed ecco allora però non stenda più la mano e non prenda dell’albero della vita e viva per sempre. E non perché Dio non vuole che l’uomo viva, ma perché sarebbe quello strappare una vita che non appartiene all’uomo perché ormai l’uomo che pretende di essere Dio non può più accedere ad una vita che non può più essere per lui vita eterna nella misura in cui è vita strappata, ma può essere vita eterna solo nella misura in cui l’uomo, accettando l’ultima offerta di salvezza che è la morte, riconosce di aver bisogno di perdono. Allora sì, lasciandosi perdonare, può attraversare la morte e uscirne vivo per sempre perché salvato.Pedro
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02/09/2012 16:36 | |
Genesi 4Parliamo dell’episodio di Caino e Abele. Ricordiamoci sempre che stiamo leggendo dei testi che sono dei testi fondatori, testi delle origini, dove non si vuole raccontare la storia nel suo svolgersi temporale e cronologico, ma come abbiamo detto tante volte, si vogliono dare delle indicazioni di senso. In Gen 3 il testo ci ha detto che, nonostante il sogno di Dio, nonostante il fatto che il Dio creatore buono abbia fatto buona ogni cosa, l’uomo può rifiutare il dono e quindi usare della propria libertà per delle scelte che rifiutano il progetto di Dio ed il bene e questo si vede in modo evidente nella scelta della donna e dell’uomo nel giardino e poi si vede in modo altrettanto evidente nell’episodio di Caino e Abele. E’ un racconto che ci dice in che modo l’uomo può drammaticamente sottrarsi al progetto di Dio e rifiutarlo. Il cap. 4 comincia facendo riferimento al fatto che l’uomo conosce Eva, la sua donna, ed essa “concepì e partorì Caino, e disse: ho acquistato un uomo dal Signore” - oppure si potrebbe tradurre: “Ho generato un uomo con il Signore”. Non si capisce bene qui il senso preciso di questa frase di Eva, perché il narratore utilizza un termine, il verbo qanah, che qui funziona perché deve giocare in assonanza con il nome Caino. Caino in ebraico si dice Qajn e si usa il verbo qanah. E’ chiaro che il verbo usato deve giocare con il nome Caino, ed è però un verbo che ha una pluralità di sensi. Perché vuol dire acquistare, ma può anche voler dire generare, addirittura creare. Qui vuol dire: ho generato, ho creato un figlio con il Signore. Il termine usato non è figlio, ma uomo. Eppure dal Signore. Non è chiara la sequenza precisa delle parole, ma il senso è chiaro: è l’esplosione di gioia della donna che riconosce nel Signore il donatore di questo figlio. E ne dà testimonianza e perciò dà a questo figlio un nome che ricordi questa sua esperienza. Pedro
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02/09/2012 16:37 | |
Quello che è interessante è che questo Caino è il primo frutto del primo conoscersi dell’uomo e della donna. Uomo e donna che sono stati cacciati dal giardino, uomo e donna che con il loro peccato hanno ferito a morte la vita, e quindi hanno radicalmente alterato il rapporto di armonia con la vita e che però continuano ad essere oggetto dell’amore fedele di Dio, che non solo dà loro vestiti di pelli, ma tiene fede alla sua promessa di vita. Quindi nonostante l’uomo e la donna abbiano ferito a morte la vita, Dio fa sì che la vita, nonostante tutto, continui. Quest’uomo e questa donna si conoscono, la fedeltà di Dio alla vita si manifesta, nasce un figlio. La vita, anche se ferita, continua.
Però è una vita ferita, è una vita che ha in sé il germe del peccato, è segnata dal fatto che l’uomo e la donna hanno peccato. E questo adesso si vedrà. Perché la vita continua, e non una vita qualunque, ma quella di Gen 1, quella a cui Dio è fedele, una vita che si moltiplica, una vita in sovrabbondanza. Non nasce solo Caino, ma nasce anche un altro figlio, proprio a testimoniare che si tratta della vita benedetta, la vita del “Crescete e moltiplicatevi”. Dio rimane fedele alla sua parola di benedizione; allora non nasce solo un figlio, così tanto per dire: “Non blocchiamo proprio tutto”. No, è la vita benedetta! Quindi ne nasce anche un altro, in sovrabbondanza e benedizione.
Nasce Abele, per il cui nome la donna, Eva, non dà nessuna spiegazione, non fa alcun gioco sonoro, ma non ce n’è bisogno, perché Abele in ebraico si dice Hebel, che vuol dire alito, soffio, vapore, quindi cosa inconsistente. Tanto da poter significare vanità ed essere il termine che Qohelet usa in continuazione nel suo Libro, quando dice: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”.Pedro
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