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02/09/2012 16:32 | |
Un giro perverso perché arriva fino all’accusa di Dio e che però insieme - io credo - paradossalmente dice anche qualcosa di vero. Non di vero su Dio. Non è vero che Dio è colpevole. Ma qualcosa di vero sull’uomo, o meglio sulla percezione che l’uomo ha di se stesso come peccatore. Perché se voi ci pensate bene, l’uomo pecca sapendo cosa fa e volendolo fare, altrimenti non sarebbe un peccato. Però in questo suo volere, in questo suo sapere cosa fa, c’è una dose notevolissima di inganno e di autoinganno. Per cui da una parte è vero che l’uomo sa quello che fa, dall’altra non lo sa veramente fino in fondo, perché se davvero sapesse quanto il male è distruttivo non lo farebbe. E se finisce per farlo è perché si illude che non sia distruttivo, quindi sa di stare facendo il male, ma non lo sa fino in fondo, e liberamente decide di fare il male, ma di una libertà che non è libera fino in fondo.
Quello che voglio dire è che l’uomo peccatore, dopo il peccato, percepisce se stesso come peccatore, sì, come qualcuno che ha fatto una follia, sì, come qualcuno che ha fatto qualcosa di orribile e non doveva farlo, sì, ma in qualche modo anche come qualcuno che è rimasto misteriosamente vittima delle circostanze, dell’autoinganno, dell’illusione, del momento di debolezza, del momento di ira, di qualche cosa che gli sembra superarlo.
Non a caso il nostro racconto di Gen 3 avrebbe potuto anche essere impiantato in altro modo, cioè con la donna che davanti all’albero lo guarda e dice: “Ma sarà proprio vero che se io lo mangio muoio?” La dinamica in fondo sarebbe la stessa, è la donna che decide di fare il male, ma quando poi questo avviene, uno si accorge di ritrovarsi dentro un giro che è ormai più grande di lui, dentro un giro che lo supera e dentro qualche cosa che diventa quasi impossibile controllare. Tu cominci e ti ritrovi che quello che hai cominciato a fare va fuori di controllo.Pedro
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