CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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PENSIERI DI CHARLES DE FOUCAULD

Ultimo Aggiornamento: 27/12/2008 13:31
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27/12/2008 12:10
 
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Io vorrei tanto per me, e di conseguenza vorrei per voi, - perché mi sembra davvero una buona cosa - un po’ di solitudine e di silenzio. Da una parte sono molto solitario, perché non ho qui una sola persona che abbia verso di me il minimo attaccamento (se non, forse, un povero, fantaccino, Miloud; pregate per la sua conversione! è un’anima semplice e un buon cuore)... C’è anche un furiere maggiore di fanteria, un francese, che mi dimostra vera amicizia.

Ma dall’altra parte, dalle quattro e mezzo del mattino alle sei e mezzo della sera, non smetto mai di parlare e di veder persone: schiavi, poveri, malati, soldati, viaggiatori, curiosi. Questi, i curiosi, ormai li ho solo raramente, ma gli schiavi, i malati, i poveri aumentano anziché diminuire... Celebro la santa Messa prima del giorno, per non essere troppo disturbato dal rumore e per fare il ringraziamento un po’ tranquillo; è però inutile che lo faccia di buon’ora, durante il ringraziamento vengo sempre chiamato tre o quattro volte...


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Ecco come fr. Charles esamina la sua vita a Béni-Abbés. Egli si domanda: "In che modo fare l’elemosina meglio che per il passato?" e risponde: "Facendola come la faceva Gesù, in un’imitazione più fedele del Modello Divino. Preoccupandosi meno di dare denaro e dando di più quello che dava Gesù: la nostra fraterna tenerezza il nostro tempo, la nostra pena".

Ancora si domanda: "In che modo praticare l’eguaglianza e la fraternità con gli indigeni?" e risponde: "Lasciandoli avvicinare a me, parlarmi, soprattutto non impiegando i soldati per allontanarli da me, non avendo paura di dedicare loro il mio tempo; anziché evitare le loro lunghe conversazioni, desiderarle, ma spostarle sempre verso Dio: riuscire a guidare io queste chiacchierate, distaccarle dalla terra e farle sempre salire alle cose spirituali. Non temere il contatto degli indigeni, né quello dei loro vestiti, coperte, ecc...

Non avere paura né della loro sporcizia né delle loro pulci... Vivere insieme agli indigeni con la familiarità che aveva Gesù verso i suoi apostoli, i quali erano simili ad essi... Soprattutto, vedere sempre Gesù in loro e, di conseguenza, trattarli non soltanto con senso di eguaglianza e di fraternità, ma anche con l’umiltà, col rispetto, con l’amore, con la dedizione comandate da questa fede".


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3
Ecco il programma: amore, amore, bontà, bontà.

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Diventare i loro amici, amarli e farsi amare, portarli alla virtù, e dalla virtù e dalla buona volontà ad ogni verità, vivere per salvarli. Ecco il programma: amore, amore, bontà, bontà.

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Ci vorrebbero molti buoni preti, non per predicare (li accoglierebbero come nei villaggi bretoni accoglierebbero dei turchi che andassero a predicare Maometto, e anche peggio), ma per prendere contatto, farsi amare, ispirare stima, fiducia, amicizia, rendere possibile un avvicinamento, dissodare la terra prima di seminare.


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Per gli schiavi ho una piccola camera nella quale li riunisco e in cui trovano sempre alloggio, accoglienza, pane quotidiano, amicizia; a poco a poco insegno loro a pregare Gesù. Dal 5 gennaio, giorno in cui la loro cameretta fu terminata, ne ho avuti tutte le notti qui alla Fraternità, grazie a Dio... Con più virtù da parte mia, più intelligenza e maggiori risorse, si potrebbe raggrupparli ancora meglio! Talvolta, vedo anche venti schiavi al giorno.
I viaggiatori poveri trovano anch’essi nella Fraternità un umile asilo e un po’ da mangiare... Ma il locale è stretto, la virtù del monaco e il suo savoir-faire sono ancor più scarsi... Adesso posso ricevere appena una quindicina d’ospiti: fra un po’ di tempo, una trentina, perché continuo a costruire. Ma bisognerebbe potere accoglierne ancor di più: spesso capitan qui dai trenta ai quaranta viaggiatori al giorno.
Gl’infermi e i vecchi abbandonati trovano qui un rifugio, un tetto, cibo e cure. Ma le cure son così insufficienti, e il cibo così scarso!... Tre o quattro vecchi m’han già chiesto di essere ospiti fissi della Fraternità...

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Più si dà al Signore e più egli rende. Ho creduto di dar tutto lasciando il mondo ed entrando nella trappa: ho ricevuto più che non avessi donato... Ho creduto ancora di dare tutto lasciando la trappa: sono stato colmato senza misura... Godo infinitamente d’essere povero, vestito come un operaio, come un domestico, in questo umile stato che fu quello di Nostro Signore, e, per un eccesso eccezionale di grazia, d’esserlo così a Nazaret.

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Per me, per mostrarmi il tuo amore, per mostrarmi l’orrore del peccato che vuoi espiare con tali supplizi, per indurmi a non commettere più peccati che ti son costati così cari, per insegnarmi il coraggio e per additarmi il cammino del martirio, per darmi l’esempio di questa sofferenza che è la dimostrazione della virtù, dell’amore e del coraggio, e senza la quale non si entra in cielo; per me, per farti amare da me nel vedere ciò che soffri per amor mio; per me, per trascinarmi al tuo seguito, su questa via del dolore che distaccandomi dal mondo m’attacca a Dio; per me, per mostrarmi il disprezzo che bisogna avere verso tutti i documenti terreni, dal momento che un Dio, il quale ha scelto per parte sua ciò che sulla terra è il più perfetto, ha scelto tali dolori; per me, per farmi vedere che cosa sono gli uomini e che cosa è Dio, quanto quelli sono ingiusti e crudeli, quanto questo è buono e amoroso; per me, per distaccarmi dagli uomini che fanno soffrire e per attaccarmi a Dio che soffre per me; per me, per ispirarmi un profondissimo dolore per le mie colpe, che costano al mio Beneamato tanti tormenti; per me, per intenerire il mio cuore e far scorrer dai miei occhi torrenti di lacrime, nel vedere il mio Beneamato, infinitamente amabile, divinamente vero, bello e buono, che mi ama infinitamente e che aguzzini vociferanti e imprecanti, con la bestemmia e l’inguria sulla bocca, battono e battono con colpi sempre più fitti, coprendo di contusioni il suo dorso, le spalle, le reni, i fianchi, le braccia, il petto, rendendolo in un istante tutto livido e, poi un minuto dopo, facendone sgorgare il sangue.

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“Amiamo Dio, perché ci ha amati per primo”. La Passione, il Calvario, è una suprema dichiarazione d’amore.
Non è per redimerci che tu hai sofferto tanto, Gesù! Il più piccolo dei tuoi atti ha un valore infinito, poiché è l’atto d’un Dio, e sarebbe stato sufficiente, anzi sovrabbondante, per redimere mille mondi, tutti i mondi possibili.
È per santificarci, per portarci, per spingerci ad amarti liberamente, poiché l’amore è il mezzo potente per attirare l’amore, poiché amare è il mezzo più potente per farsi amare... e poiché soffrire per chi si ama è il mezzo più invincibile per dimostrare che si ama... e più le sofferenze sono grandi, più la prova è convincente, più l’amore di cui si dà dimostrazione è profondo.
Mio Dio, quanto ci ami, tu che per noi hai voluto essere sprofondato in quest’abisso di sofferenze e di disprezzo, tu che in tal modo hai voluto darci tante lezioni, ma innanzitutto, soprattutto, hai voluto dimostrarci il tuo amore, quest’amore inaudito grazie al quale il padre ha dato il suo unico Figlio, e l’ha dato in mezzo a tali sofferenze e tali umiliazioni allo scopo di indurci, con la vista, con la certezza di un sì immenso amore, dimostrato e dichiarato in maniera così toccante e commovente, allo scopo d’indurci con ciò ad amare Dio a nostra volta, ad amare l’Essere così amabile che ci ama tanto. Amiamo Dio, poiché egli ci ha amati per primo.

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Il santo Vangelo ci dice: “Gli diede nome Gesù”. Gesù vuol dire Salvatore: il salvatore è colui che dona la salute, il Cielo, il possesso di Dio attraverso la conoscenza e l’amore. Nostro Signore ha voluto che il suo stesso nome gridasse, cantasse il suo immenso amore per noi: perché amare vuol dire volere il bene; volere un bene immenso è amare immensamente; il nome di Salvatore grida che Dio ci vuole un bene immenso, infinito; l’eterno possesso di lui stesso ci ripete ad ogni momento che Dio ci ama infinitamente, immensamente.
Attraverso il suo nome, Gesù ci lascia intravedere che egli, divin Salvatore, verserà tutto il suo sangue per dare il paradiso agli uomini; ci chiede zelo per le anime e sacrificio fino al martirio; ci dice che lui, il nostro Amato, è venuto sulla terra “per servire le anime lavorando per la loro salute e dare la sua vita per la salvezza di molti”, e ci invita a imitarlo consacrando la nostra vita alla stessa opera ed offrendo per essa il nostro sangue.

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Egli ci ha dato l’esempio: vita nascosta (Nazareth), vita solitaria (i quaranta giorni di deserto), vita pubblica (i tre anni di predicazione). Queste tre vite sono ugualmente perfette, poiché Gesù, sempre ugualmente perfetto in ogni periodo della sua vita, sempre Dio, le ha condotte tutte e tre. Esse sono ugualmente perfette in se stesse, ma per noi non è ugualmente perfetto l’abbracciare l’una o l’altra; è indispensabile abbracciare quella in cui Dio ci vuole.

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Gesù si offre per essere il compagno di tutte le ore. E questo non ci basta? Lasceremo il Creatore per andare alle creature?
Si, Gesù basta: là dove Egli è, niente manca.
Adoriamo, baciamo, amiamo, lodiamo ogni parola del nostro Diletto.
Sarebbe troppo dolce sentire che amiamo Gesù, che siamo amati da lui e che siamo contenti della sua felicità: se sentissimo ciò, la terra sarebbe un paradiso. Contentiamoci di volere e di sapere con più merito e meno dolcezza.
La volontà dell’Amato, qualunque essa sia, deve essere non solo preferita, ma adorata, amata e benedetta senza limiti: bisogna adorarla come il Diletto stesso, ed amarla come lui smisuratamente.
Teniamo, senza tregua, lo sguardo rivolto all’immenso amore di Dio per noi, questo amore che egli ha fatto sopportare per ognuno di noi tante sofferenze, e che gli rende così dolce, piacevole e naturale farci le grazie più grandi.
Si può compiangere colui che fa la volontà di Nostro Signore? Vi è forse qualcosa di più dolce al mondo che fare la volontà di colui che si ama? E se, nell’eseguirla, si trova qualche sofferenza, allora la dolcezza è raddoppiata!...

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13
Il 1 dicembre 1916, giorno della sua morte Charles de Foucauld scrisse a sua cugina Maria de Bondy:
Come è vero, non ameremo mai abbastanza; ma il buon Dio che sa con che fango ci ha impastati, e che ci ama più di quanto una mamma può amare suo figlio, il buon Dio che non può morire, ci ha detto che non respingerà chi andrà da Lui...
14
L’amore consiste nel permutare tutti i beni con tutti i dolori, per amore del Signore.

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L’ora meglio impiegata della nostra vita è quella in qui maggiormente amiamo Gesù. Ricordarsi soltanto di Gesù, pensare soltanto a Gesù, considerando un guadagno qualsiasi perdita con la quale riusciamo a dare in noi maggior posto al pensiero e alla conoscenza di Gesù, al cui confronto tutto il resto è nulla.

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Com’è divinamente buono a permettere che delle formiche come noi lo amino.
Di che parleremmo noi, non di colui che è la nostra vita, per il quale respiriamo, per il quale solo noi vogliamo vivere, al quale apparteniamo senza limiti e senza riserve, corpo, anima, mente, cuore...
Tutto è di lui, tutto è per lui! È com’egli è divinamente buono a permettere che delle formiche come noi lo amino!

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Avere la purezza e l’innocenza di un bambino per essere degni del Regno dei Cieli e di Gesù.
Non temere che una cosa al mondo: non amare abbastanza Gesù.
Niente è più perfetto e migliore dell’amore, perché l’amore è nato da Dio e non può riposarsi che in Dio.
L’amore è pronto, sincero, pio, dolce, prudente, forte, paziente, fedele, costante, magnanimo, non cerca mai se stesso.
Considerando tutto alla stessa stregua, preferisce però l’abiezione all’onore, essere trascurato ad essere circondato di premure, la penuria all’abbondanza, per essere più simile a Gesù.
Se, sia pur per un attimo, si comincia a ricercare se stessi, si cessa di amare.
Chi non è pronto a soffrire ogni cosa e ad abbandonarsi interamente alla volontà del Diletto, non sa che significhi amare.

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Il 1 dicembre 1916, il giorno della sua morte, fr. Charles scrive: Cancellarci, annullarci, ecco il mezzo più potente che possediamo per unirci a Gesù e far del bene alle anime; san Giovanni della Croce lo ripete ad ogni riga. Quando si vuol soffrire e amare, si può molto, si può molto, si può il massimo che si possa al mondo. Si sente che si soffre; non sempre si sente che si ama ed è una grande sofferenza in più; ma si sa che si vorrebbe amare e voler amare significa amare. Si trova che non si ama abbastanza ed è verissimo: ma si amerà abbastanza; ma il Signore, che sa con che fango ci ha impastati e che ci ama più di quanto una madre possa amare il suo figliuolo, ci ha detto, Lui che non mente, che non avrebbe respinto chi a Lui venisse.
Lo stesso giorno scrive anche all’amico Luigi Massignon che è al fronte:
Non bisogna mai esitare a domandare i posti dove maggiori siano pericolo, sacrificio, possibilità di dedizione: lasciamo l’onore a chi lo vuole, ma rischio e pena reclamiamoli sempre.
Come cristiani siamo tenuti a dare l’esempio del sacrificio e della dedizione. È un principio al quale bisogna essere fedeli sempre, con semplicità, senza domandarci se in una simile condotta s’insinui l’orgoglio. È il nostro dovere; quindi compiamolo e preghiamo il nostro Diletto, lo Sposo della nostra anima, che ci conceda di compierlo in totale umiltà e con pienezza d’amore per Dio e per il prossimo.

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Solo guardando al di là di questo mondo in cui tutto passa e muore, si trova la vera gioia nella speranza di un’altra vita di cui questa è solo il preludio; vita in cui il bene fatto, l’amore di cui sono assetati i nostri spiriti e i nostri cuori, saranno pienamente ed eternamente soddisfatti.
In questa speranza e nella fede nelle verità che Dio ci ha rivelate e che sono belle come un poema, come il più bello dei poemi non v’è poema più bello d’un semplice trattato di teologia dogmatica, è il poema dell’amore divino, ben più meraviglioso e avvincente dei nostri poemi pieni dei nostri poveri amori terrestri - in questa fede, in questa speranza, nella contemplazione di queste bellezze e nel compimento della legge di carità - “ama gli uomini come Dio li ama” - che è la base della morale cristiana, sono felice, molto felice, e i miei giorni trascorrono in una pace profonda.

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21
Il mio più grande sacrificio è stata la separazione dalla mia famiglia. Una volta alla trappa, ho sofferto molto. Non per via della comunità, dove tutti erano molto buoni con me. Ma il pensiero della mia famiglia mi torturava. Talvolta dicevo tra me e me: sempre, sempre; mai, mai, mai. Sempre vivere qui, mai più rivederli.

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22
Ho un grande fondo di orgoglio. Non tengo conto a sufficienza della presenza di Dio. Mi lascio assorbire da ciò che faccio o dalle distrazioni, dalle fantasie. Non ho sufficientemente lo sguardo rivolto a Gesù, che è qui. Non lo vedo a sufficienza in ogni uomo. Non sono sufficientemente sovrannaturale con loro. Né sufficientemente dolce né sufficientemente umile, e neppure accurato come si dovrebbe nel fare loro del bene ogni volta che lo potrei. Gli esercizi di pietà lasciano a desiderare. Li faccio tiepidamente, talvolta in modo breve oppure troppo rapido, pieno di distrazioni. Mi capita in certi casi di essere vinto dal sonno o di rinviare di ora in ora le cose da fare. Una così grande tiepidezza che mi fa soffrire fino ad umigliarmi. Ometto le piccole penitenze, curo troppo il mio corpo. Invece di amare il disprezzo, mi compiaccio degli atti buoni.

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27/12/2008 13:24
 
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23
Se una parte di me è nel cielo purissimo che sovrasta le nubi, se io resto in una terra sempre illuminata dal sole e al di sopra delle nubi, però con l’altra parte io amo, io devo amare, ho l’imperioso dovere di amare appassionatamente gli uomini.



24
Mio Dio, quanto siete divinamente tenero! Quanto siete amante, quanto siete buono!... Risorto, le vostre prime apparizioni sono due apparizioni di consolazione alle due anime più afflitte dalla vostra Passione e Morte. A vostra Madre dapprima, “alla quale appariste per primo e presso la quale rimaneste lungo tempo”, come avete detto a santa Teresa; a Maria Maddalena in seguito... Con quale dolcezza apparivate a questa cara santa, a questa vostra “appassionata adoratrice”, come vien chiamata! Quale dolcezza in quel “Maria”!... Con quale voce dovette essere detto!... E infine, mio Dio, quale divina tenerezza per tutti noi, per tutti gli uomini di tutte le età, nelle parole che pronunciate: “Va’ a dire ai miei fratelli”. Voi ci chiamate tutti “vostri fratelli”! Quanto è dolce ciò, quanto siete buono!
Siamo teneri come Gesù, amanti come lui... Consoliamo gli afflitti come lui, e dapprima coloro ch’egli stesso ci ha messo più vicino nella vita, una madre, un’anima cara; e coloro che hanno più bisogno di consolazione, coloro che, più deboli, stanno per piegare sotto un dolore pungente...
Consoliamo, consoliamo come lui e i suoi fratelli, che sono anche i nostri, consoliamo le sue membra, le parti del suo corpo, quelle membra delle quali egli dice: “Ciò che farete a uno di questi piccoli, lo farete a me”. Siamo, come lui, dei teneri consolatori, dei fratelli amanti di tutti gli uomini afflitti, di tutti gli uomini, ma di tutti, perché di tutti ha detto: “Ciò che voi farete a uno di questi piccoli, lo farete a me”.

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