CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 19:57
 
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   8.3 L’obbedienza

Ritorniamo ora al nostro soggetto. Non è detto quanto tempo Abramo si sia fermato in Caran: tuttavia Dio attese il suo servitore fino a che, libero da ogni intralcio, obbedisse in pieno al suo comandamento. Non vi fu, e non vi poteva essere, nessun accomodamento fra l’ordine di Dio e le circostanze nelle quali si trovava Abramo secondo la natura. Dio ama troppo i suoi servitori per privarli della felicità che accompagna sempre l’obbedienza.

È bene notare che Abramo non ricevette nessuna nuova rivelazione durante il suo soggiorno in Caran. Perché Dio ci dia nuova luce, dobbiamo camminare in rapporto con la luce che Egli ci ha dato prima. «A chi ha sarà dato». Questo è il principio divino. Ricordiamoci tuttavia che Dio non ci trascinerà mai nel sentiero dell’obbedienza e del vero servizio; agire in quel modo, comprometterebbe l’eccellenza morale che caratterizza tutte le sue vie. Dio non trascina, ma attira, e ci fa camminare così nella via che conduce alla felicità ineffabile che è in Lui. Se non comprendiamo che è nel nostro interesse rovesciare tutti gli ostacoli che le relazioni umane vorrebbero porre davanti a noi per impedirci di rispondere all’appello di Dio, veniamo meno alla grazia che ci è stata fatta. Ma, ahimè, i nostri cuori penetrano poco in queste cose. Incominciamo a far calcoli intorno ai sacrifici, agli impedimenti, alle difficoltà, invece di correre nel cammino dell’obbedienza pieni di ardore perché conosciamo e amiamo Colui che ci ha chiamati.

Ogni passo compiuto nel cammino dell’obbedienza è contrassegnato da benedizioni reali, perché l’obbedienza è frutto della fede, e la fede ci associa a Dio e ci introduce in una comunione vivente con Lui. Considerando l’obbedienza sotto questo aspetto, vedremo facilmente quanto differisce dal legalismo in ogni suo carattere. Il principio legale pone l’uomo, carico di tutto il peso dei suoi peccati, sul sentiero del servizio, nell’osservanza della legge di Dio: ne risulta, per l’anima, un continuo tormento e ben lungi dal correre nel cammino dell’obbedienza, essa non vi è neppure ancora entrata. La vera obbedienza, invece, non è che la manifestazione o il frutto di una nuova natura comunicata per grazia. Dio, nella sua bontà, dà a questa nuova natura dei precetti per guidarla; ed è certissimo che la natura divina guidata da precetti divini non produce mai il legalismo. Ciò che lo produce, è la vecchia natura che cerca di seguire i precetti divini; ora, provare a dirigere la natura scaduta dell’uomo per mezzo della pura e santa legge di Dio, è tanto vano quanto assurdo. Come potrebbe la natura scaduta respirare un’aria così pura? Bisogna che ambedue, la natura e l’aria che essa respira, siano divine.

Ma Dio non soltanto comunica una natura divina al credente e lo guida per mezzo di principi divini; pone anche davanti a lui delle speranze conformi a questa natura. Così per quello che concerne Abramo «l’Iddio di gloria gli apparve»; a che scopo? Dio voleva porre davanti a lui un oggetto desiderabile: «il paese che ti farò vedere»; non c’era costrizione; Dio attirava l’anima. Secondo la valutazione della nuova natura e della fede, il paese dell’Eterno era di gran lunga migliore del paese di Ur o di Caran, e quantunque Abramo non l’avesse visto, la fede ne apprezzava la bellezza e il valore, e stimava che, per possederlo, valeva la pena abbandonare le cose presenti. Perciò leggiamo che «per fede Abramo essendo chiamato, obbedì, per andarsene in un luogo che egli aveva da ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava»; camminò «per fede e non per visione». Benché non avesse veduto con gli occhi credette col cuore e la fede divenne il movente dell’anima sua. La fede riposa sopra un fondamento ben più solido dell’evidenza dei nostri sensi, e questo fondamento è la Parola di Dio: i nostri sensi possono ingannarci, la Parola di Dio non inganna mai.

Il sistema legale getta a mare tutta la dottrina della nuova natura, come pure i precetti che la guidano e le speranze che la animano; insegna che bisogna rinunciare alla terra per ottenere il cielo. Ma come potrebbe la natura dell’uomo abbandonare ciò a cui è legata? Come potrebbe essere attirata da ciò in cui non vede nulla di attraente? Il cielo non ha nulla di desiderabile per la natura; è l’ultimo posto in cui le piacerebbe trovarsi. Essa non ha gusto né per il cielo, né per ciò che occupa il cielo, né per gli abitanti del cielo. Se le fosse possibile entrare nel cielo si troverebbe completamente a disagio e infelice. È incapace a rinunciare alla terra, è incapace a desiderare il cielo. È vero che sarebbe felice di sfuggire all’inferno e ai suoi tormenti indescrivibili; ma il desiderio di sfuggire all’inferno e quello di ottenere il cielo, derivano da due sorgenti molto diverse. Il primo è insito nella vecchia natura, ma il secondo non si trova che nella nuova. Se non vi fossero nell’inferno lo «stagno di fuoco», né il «verme che non muore», né «stridor di denti», la natura non lo temerebbe. E questo principio è vero per tutti i desideri e per tutto ciò che la natura procaccia.

Il sistema legale insegna che dobbiamo abbandonare il peccato; e, quanto alla giustizia, essa l’abborre esplicitamente. È vero che le piacerebbe una certa misura di pietà, ma solo nel pensiero, e con la speranza che la pietà la preserverà dal fuoco dell’inferno: la natura dell’uomo non ama il cristianesimo, perché introduce l’anima nel godimento attuale di Dio e delle sue vie.

Ma «l’evangelo della gloria dell’Iddio Beato» quanto è diverso, sotto ogni aspetto, da tutto il sistema legale! Questo evangelo rivela Dio che scende in grazia, che toglie il peccato nel modo più assoluto per mezzo del sacrificio della croce, sul fondamento d’una giustizia eterna, avendo Cristo sofferto per il peccato ed essendo stato fatto peccato per noi. E non solo Dio toglie il peccato, ma comunica una vita nuova, una vita di risurrezione che è la vita del suo stesso Figliuolo, risuscitato e glorificato; una vita che ogni vero credente possiede in virtù del fatto che, nel consiglio eterno di Dio, è unito a Colui che fu inchiodato alla croce, ma che ora è sul trono della maestà nel cielo. Questa nuova natura, l’abbiamo già fatto notare, è guidata da Dio, nella sua bontà, per mezzo dei precetti della sua santa Parola, applicata dallo Spirito Santo. Egli la incoraggia pure, presentandole delle speranze indistruttibili; le rivela a distanza «la speranza della gloria», «una città che ha i veri fondamenti», «una patria migliore» cioè una «patria celeste», «le molte dimore» della casa del Padre, «un regno che non può essere smosso» un’eterna unione con Lui in quelle regioni di felicità e di luce, ove il dolore e le tenebre non possono entrare, il favore inesprimibile di essere condotti, durante l’eternità, «lungo le acque chete e i paschi erbosi» dell’amore redentore. Come tutto ciò è diverso dalle idee legali! Invece di chiamarmi ad abbandonare le cose della terra che amo per ottenere il cielo che odio, a sviluppare e a governare una natura scaduta, Dio, nella sua grazia infinita, e in virtù del sacrificio di Cristo, mi comunica una natura capace di godere e mi dà un cielo di cui questa natura può gioire; e non solo un cielo, ma Lui stesso, sorgente inesauribile di tutta la gioia del cielo.

Queste sono le vie meravigliose di Dio. L’Iddio di gloria fece vedere ad Abramo un paese migliore di quello di Ur e di Caran, fece vedere a Saulo da Tarso una gloria così risplendente che i suoi occhi furono chiusi a tutti gli splendori della terra, in modo che, da allora, li stimasse come «tante spazzature» per guadagnare il Cristo che gli era apparso e la cui voce gli era penetrata nel più profondo dell’anima. Saulo da Tarso vedeva un Cristo celeste nella gloria e per tutto il corso della sua carriera quaggiù, nonostante la debolezza del «vaso di terra», questo Cristo celeste e questa gloria celeste riempirono l’anima sua.

Pedro

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