CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 19:59
 
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 9. Capitoli 13 e 14: Abramo e Lot

9.1 Il ritorno dall’Egitto

Questo capitolo si apre con un soggetto che è di grande interesse per il cuore.

Quando, in un modo o nell’altro, lo stato spirituale del credente si è abbassato ed egli ha perso la comunione con Dio, c’è il pericolo, dal momento che la sua coscienza si è risvegliata, che egli non afferri la grazia quale essa è e non entri pienamente nella realtà del proprio ristoramento davanti a Dio. Ora, noi sappiamo che tutto ciò che Dio fa, lo fa in modo degno di se stesso; che crei o che salvi, che converta o che ristori, Egli glorifica il suo Nome in tutte le sue vie. Questo è infinitamente prezioso per noi che siamo sempre propensi a «limitare il Santo d’Israele» (Salmo 78:41) e lo facciamo soprattutto nel lavoro della sua grazia ristoratrice.

Nel caso che ci occupa, vediamo che non soltanto Abramo fu fatto uscire dall’Egitto, ma ancora ricondotto al luogo dove aveva rizzato la sua tenda al principio, al luogo dove era l’altare che egli aveva edificato prima, e quivi Abramo «invocò il Nome dell’Eterno» (vers. 3-4}.

Dio non sarà soddisfatto riguardo colui che s’è sviato o è rimasto indietro, se non quando l’avrà ricondotto nella retta via e perfettamente ristabilito nella sua comunione. I nostri cuori, sempre pieni di propria giustizia, penserebbero facilmente che si addirebbe, ad un tale uomo, un posto meno elevato di quello che ha lasciato e, infatti, sarebbe così se si trattasse dei nostri meriti e del nostro carattere; ma trattandosi unicamente di grazia, appartiene a Dio il determinare la misura del ristoramento, e questa misura ci è data nel passo seguente: «O Israele, se tu torni, dice l’Eterno, torna a me!» (Geremia 4:1). Ecco come Dio rileva. Agire altrimenti, sarebbe indegno di Lui. O non ristora affatto, o, se lo fa, lo fa in modo da esaltare e glorificare le ricchezze della sua grazia.

Quando il lebbroso era riammesso nel campo, era condotto «all’ingresso della tenda di convegno» (Levitico 14:11); quando il figliuolo prodigo ritorna alla casa paterna, il padre lo fa sedere a tavola con lui; quando Pietro fu rilevato dalla caduta, potè dire agli uomini d’Israele: «Voi rinnegaste il Santo e il Giusto», accusandoli proprio di ciò che egli stesso aveva fatto nelle circostanze più aggravanti. In ognuno di questi casi, vediamo che Dio ristora perfettamente; riconduce sempre l’anima a Se stesso, in tutta la potenza della grazia e in tutta la fiducia della fede. «Se tu torni, torna a me»; «Abramo ritornò al luogo ove da principio era stata la sua tenda».

L’effetto del ristoramento divino dell’anima è infinitamente pratico; nel suo carattere confonde il legalismo e nel suo effetto annienta l’antinomismo. L’anima ristorata avrà un sentimento profondo e reale del male da cui è stata liberata, e questo sentimento si manifesterà con uno spirito di vigilanza, di preghiera, di santità e di prudenza. Dio non ci rileva perché consideriamo il peccato con leggerezza e ricadiamo di nuovo in esso; dice: «Va e non peccar più» (Giov. 8:11). Più è profondo il sentimento della grazia di Dio che ci ha rilevati, più profondo anche sarà il sentimento della santità di questo rilevamento. È un principio stabilito e insegnato da un capo all’altro della Scrittura, ma specialmente nei due passi ben conosciuti, Salmo 23:3 e 1 Giov. 1:9: «Egli mi ristora l’anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amor del suo Nome»; e, « Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità».

Il sentiero che si addice ad un’anima ristorata è un sentiero di giustizia: parlare di grazia e vivere nell’ingiustizia significa «volgere in dissolutezza la grazia del nostro Dio» (Giuda 4). Se «la grazia regna mediante la giustizia, a vita eterna» (Rom. 5:21) si manifesta anche con opere di giustizia che sono il frutto di questa vita. La grazia che perdona i nostri peccati ci purifica da ogni iniquità. Sono due cose che non si devono mai separare; unite insieme, confondono, come abbiamo detto, il legalismo e l’antinomismo (*) del cuore umano.

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(*) O antinomianismo. Così chiamavisi una falsa dottrina che, partendo dal principio della salvezza per fede, arrivava a dedurre che non era affatto necessaria, per chi avesse creduto, una vita di santità, di giustizia, di opere buone.
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9.2 Lot, nipote d’Abramo

Ma vi fu per Abramo una prova assai più grave della carestia che lo fece scendere in Egitto; quella che proveniva dalla compagnia di qualcuno che, evidentemente, non camminava nell’energia d’una fede personale e nemmeno nel sentimento della propria responsabilità individuale. Sembra che fin dal principio, Lot, nel suo cammino, fosse spinto dall’influenza e dall’esempio di Abramo, piuttosto che da una fede in Dio sua personale.

In questo fatto è rinchiuso un principio molto comune. Percorrendo la Sacra Scrittura, vediamo che in tutti i grandi movimenti prodotti dallo Spirito di Dio, certe persone, credenti o no, si sono associate a questi movimenti senza partecipare personalmente alla potenza che li aveva prodotti. Queste persone proseguono la loro strada per un certo tempo sia pesando come un corpo morto sulla testimonianza, sia intralciando questa in modo effettivo.

Così l’Eterno aveva chiamato Abramo a lasciare il suo parentado ma Abramo invece di lasciarlo, lo prende con sè; Terah lo ritarda nel suo cammino, fino al momento in cui è tolto dalla morte; Lot lo accompagna un po’ più avanti, ma «le cupidigie delle altre cose» (Marco 4:19) lo sopraffanno e l’abbattono totalmente.

La stessa osservazione può essere fatta nel gran movimento dell’uscita d’Israele fuori d’Egitto: «un’accozzaglia di gente raccogliticcia» seguì i Giudei e divenne per essi un motivo di corruzione, d’infiacchimento e di turbamento come lo vediamo al cap. 11 dei Numeri: «E l’accozzaglia di gente raccogliticcia ch’era tra li popolo, fu presa di concupiscenza, e anche i figliuoli d’Israele ricominciarono a piagnucolare e a dire: chi ci darà da mangiare della carne?» (Numeri 11:4). Nello stesso modo ancora, nei primi giorni della Chiesa, e da allora, in tutti i movimenti prodotti dallo Spirito di Dio, si è visto un gran numero di persone, associarsi a quei movimenti sotto influenze diverse ma che, non essendo divine, non sono state che momentanee, e ben presto tali persone si sono tratte indietro e hanno ripreso il loro posto nel mondo.

Nulla sussisterà se non ciò che è da Dio: bisogna che realizziamo il legame che ci unisce all’Iddio vivente, dobbiamo sentire che è Lui che ci ha chiamati alla posizione che occupiamo, altrimenti non avremo né fermezza né costanza in questa posizione. Non possiamo seguire la strada d’un altro, semplicemente perché quell’altro vi cammina. Dio, nella sua grazia, traccia a ciascuno di noi la via che dobbiamo seguire, dando ad ognuno una sfera d’azione e dei doveri da compiere. e dobbiamo sapere quale è la nostra vocazione e i doveri che vi si riferiscono; affinché per la grazia che ci è data ogni giorno, possiamo lavorare efficacemente alla gloria di Dio. Importa poco la misura che ci è data, purché ci sia data da Dio. Possiamo aver ricevuto «cinque talenti» oppure «uno solo»; ma se facciamo fruttare questo «solo» talento con gli occhi rivolti al Padrone, udremo certamente queste sue parole: «va bene» come se avessimo fatto fruttare i «cinque talenti».

Paolo, Pietro, Giacomo e Giovanni hanno avuto ciascuno «la propria misura», un ministerio speciale, ed è così per tutti.

Nessuno deve intromettersi nel lavoro altrui. Nulla è più futile dell’imitazione. Nel mondo fisico non ne vediamo alcun segno, ma ogni creatura riempie la propria sfera, ha le proprie funzioni; se così è nel mondo fisico, a maggior ragione lo è nel mondo spirituale. Il campo è abbastanza vasto per tutti. In una stessa casa vi sono vasi di grandezza e di forma diversi, e tutti sono necessari al padrone di casa.

Esaminiamo dunque seriamente, caro lettore, se siamo condotti da un’influenza divina o umana, se la nostra fede riposa sulla sapienza umana o sulla potenza divina, se ciò che facciamo lo facciamo perché altri l’hanno fatto, oppure perché il Signore ci chiama a farlo; se non facciamo che appoggiarci su quelli che ci circondano o se siamo sorretti da una fede personale.

È senza dubbio un gran privilegio il poter godere della comunione dei fratelli, ma se ci appoggiamo su di essi, ben presto faremo naufragio; nello stesso modo, se oltrepassiamo la nostra misura, la nostra azione sarà ostentata. È facile vedere se un uomo lavora al suo posto e nella sua misura: possiamo noi essere sempre veri e naturali! Chi si avventura in acqua profonda senza saper nuotare dovrà dibattersi. Una nave varata senza la capacità di tenere il mare e insufficientemente equipaggiata sarà costretta a ritornare al porto o andrà persa.

Lot lasciò «Ur dei Caldei», ma cadde nella pianura di Sodoma. L’appello di Dio non aveva raggiunto il suo cuore e l’occhio suo era rimasto chiuso alla gloria dell’eredità di Dio.

Vi è per ognuno dei servitori di Dio, un sentiero rischiarato dalla sua approvazione e dalla luce della sua faccia e dovrebbe essere la nostra gioia il camminarvi. La sua approvazione basta al cuore che lo conosce. Non otterremo sempre l’approvazione dei nostri fratelli, saremo sovente incompresi, ma sono cose che non si possono evitare. Il giorno metterà ogni cosa al suo posto, e il cuore fedele aspetterà con gioia l’arrivo di quel giorno, sapendo che allora «ciascuno avrà la sua lode da Dio» (1 Cor. 3:13; 4:5).

Pedro

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