CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:02
 
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 10.2 Il figlio e l’erede

La fine del capitolo espone i due grandi principi sul quali si basano la qualità di figlio e quella di erede. «E Abramo disse: Signore Eterno, che mi darai tu? Poiché io me ne vo senza figliuoli, e chi possederà la mia casa è Eliezer di Damasco. E Abramo soggiunse: Tu non mi hai dato progenie; ed ecco uno schiavo nato in casa mia sarà il mio erede» (vers. 2-3).

Abramo desiderava un figlio poiché sapeva, dalla parola di Dio, che la sua «progenie» doveva ereditare il paese (cap. 13:15).

Le qualità di figlio e d’erede sono inseparabilmente unite nei pensieri di Dio. «Colui che uscirà dalle tue viscere sarà erede tuo» (vers. 4). La qualità di figlio è la vera base di ogni cosa ed è, inoltre, il risultato del consiglio sovrano e dell’opera di Dio, come leggiamo nell’epistola di Giacomo (cap. 1:18) «Egli ci ha di sua volontà generati mediante la parola di verità»; e infine questa qualità riposa sul principio eterno e divino della risurrezione. Come potrebbe essere altrimenti? Il corpo di Abramo era morto, di modo che, qui come ovunque, il figlio non ha potuto esistere che nella potenza della risurrezione. La sua natura era morta e non poteva né generare né concepire per Dio.

L’eredità in tutta la sua distesa e la sua magnificenza si spiegava agli occhi di Abramo; ma dove era l’erede? Il corpo di Abramo, così come il seno di Sara, erano «morti» ma l’Eterno era l’Iddio della risurrezione; perciò un corpo morto era proprio quello che Gli occorreva per agire.

Se la natura non fosse stata morta, sarebbe stato necessario, a Dio, farla morire prima di poter manifestare pienamente la sua potenza; una scena di morte da cui sono bandite tutte le vane e orgogliose pretese dell’uomo è il teatro che meglio si addice all’Iddio Vivente. Ecco perché l’Eterno disse ad Abramo: «Mira il cielo, e conta le stelle se le puoi contare, e gli disse: così sarà la tua progenie!». Quando l’anima contempla l’Iddio di risurrezione, non vi sono limiti alle benedizioni di cui essa è l’oggetto, poiché nulla è impossibile a chi può dare la vita a un morto.

10.3 La fede che giustifica

«Ed egli credette all’Eterno che gli contò questo a giustizia». L’imputazione della giustizia fatta qui ad Abramo, deriva dalla fede che Abramo aveva in Dio come «Colui che vivifica i morti». È sotto questo carattere che Dio si rivela in un mondo ove regna la morte; e l’anima che crede in Dio come tale, è considerata giusta davanti a Dio. L’uomo, per questo stesso motivo, è necessariamente escluso come cooperatore, poiché cosa può fare in mezzo a una scena di morte? Potrà aprire le porte del sepolcro? Saprà sottrarsi alla potenza della morte e attraversare, vivente e libero, i confini del suo tenebroso dominio? No, di certo; quindi non può acquistarsi la giustizia, né stabilirsi nella relazione di figlio.

«Iddio non è Dio di morti, ma di viventi» (Marco 12:27). Perciò, finché è sotto la dominazione del peccato, l’uomo non può conoscere né la relazione di figlio, né la condizione di giusto. Dio solo può dunque conferire all’uomo l’adozione di figliuolo, come Lui solo può imputare la giustizia; e queste due cose sono legate alla fede in Lui come in Colui che ha risuscitato Cristo d’infra i morti.

È sotto questo aspetto che l’Epistola ai Romani ci presenta al cap. 4 la fede di Abramo dicendo: «Or, non per lui soltanto sta scritto che ciò gli fu messo in conto di giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà così messo in conto, per noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti, Gesù nostro Signore». L’Iddio di risurrezione è presentato «anche a noi» come oggetto di fede, e la nostra fede in Lui è il solo fondamento della nostra giustizia.

Se, dopo aver alzato gli occhi al firmamento Abramo li avesse poi diretti sul «suo corpo già ammortito» mai avrebbe potuto realizzare il pensiero d’una progenie numerosa come le stelle. Ma Abramo non ebbe riguardo al suo corpo, ma alla potenza di Dio in risurrezione; e poiché era questa potenza che doveva far nascere la progenie promessa, le stelle del cielo e la rena del mare non davano che una pallida idea del suoi effetti meravigliosi.

10.4 La fede in Cristo morte e risuscitato

Nello stesso modo, se un peccatore che ode la buona novella dell’Evangelo potesse vedere, con i suoi occhi, la pura luce della presenza di Dio, e poi scendere nelle profondità inesplorate della sua natura peccaminosa, potrebbe con ragione esclamare: come giungerò alla presenza di Dio? come sarò io mai in condizione di abitare in quella luce? Ma se il peccatore si vede assolutamente senza risorse, Dio, sia benedetto il suo Nome, risponde a tutti i suoi bisogni in Colui che è sceso, dalla casa del Padre, alla croce e alla tomba ed è stato elevato sul trono, riempiendo così, per mezzo della sua persona e della sua opera, lo spazio che separa questi due punti estremi. Non vi può essere nulla di più elevato che il seno del Padre, dimora eterna del Figlio, e nulla di più basso che la croce e il sepolcro; ma, verità meravigliosa, troviamo Cristo nel seno di Dio e nel sepolcro; egli scese nella morte, per lasciare dietro a sè, nella polvere della tomba, tutto il peso dei peccati e delle iniquità del suo popolo, e dichiarando, per mezzo d’essa, la fine dì tutto ciò che è umano, la fine del peccato e dell’ultimo confine della potenza di Satana.

La tomba di Gesù è la grande fine di tutto. Ma la risurrezione ci trasporta al di là di questo termine e costituisce il fondamento imperituro sul quale la gloria di Dio e la felicità dell’uomo riposano per sempre. Da quando l’occhio della fede contempla Cristo risuscitato, trova in Lui una risposta trionfante a tutto ciò che si riferisce al peccato, al giudizio, alla morte e al sepolcro. Colui che li ha tutti divinamente vinti, è risorto dai morti e si è seduto alla destra della maestà nei luoghi celesti; e, più ancora, lo Spirito di Colui che è risuscitato e glorificato fa del credente un figlio. Il credente è uscito vivificato dalla tomba di Cristo, come è scritto: «E voi che eravate morti nei falli e nella incirconcisione della vostra carne, voi dico, Egli ha vivificati con lui, avendoci perdonati tutti i falli» (Col. 2:13).

Essendo dunque fondata sulla risurrezione, la qualità di figliuolo è unita alla giustificazione, alla giustizia e alla liberazione perfetta da tutto ciò che, in qualche modo, poteva essere contro di noi. Dio non poteva ammettere una sola macchia di peccato sui suoi figliuoli e sulle sue figliuole; il padre del figliuol prodigo non poteva ammettere alla sua tavola il figlio vestito con gli stracci del paese straniero. Poteva andargli incontro, gettarglisi al collo e baciarlo, in quegli stracci; era un atto degno della grazia e che caratterizza questa grazia in modo ammirabile; ma era impossibile che facesse sedere il figlio alla sua tavola coperto di quei cenci. La grazia che fece uscire il padre incontro al figlio, regna per mezzo della giustizia che riconduce il prodigo nella casa, presso il padre. Se il padre avesse aspettato che il figlio si fosse provvisto d’una veste adatta, non avrebbe agito in grazia; ma neppure sarebbe stato giusto introdurlo nella casa vestito dei suoi stracci. Quando il padre esce incontro al suo figlio e gli si getta al collo, la grazia e la giustizia brillano insieme in tutto il loro splendore, ma non danno al figlio un posto alla tavola del padre prima che sia vestito in modo degno della sua alta e beata posizione.

Dio, in Cristo, è sceso fino al grado più basso della posizione morale dell’uomo, affinché, con un tale abbassamento, potesse elevarlo al più alto grado di benedizione, in comunione con se stesso.

Da tutto ciò risalta che la nostra qualità di figliuoli, con tutta la gloria e i privilegi annessi, è del tutto indipendente da noi; non vi entriamo più di quanto i corpi ammortiti di Abramo e di Sara partecipavano alla progenie numerosa come le stelle del cielo e come la rena del mare.

Tutto è da Dio. «Dio Padre» ne ha concepita l’idea; «il Figlio » ne ha posto il fondamento; lo «Spirito Santo» ha realizzato l’edificio, e su questo edificio sta scritto: «Per la grazia, per la fede, senza le opere della legge»! (Rom. 3:27 e Efesi 2:8).

Pedro

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