CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:08
 
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14. Capitolo 19: La distruzione di Sodoma

14.1 Una posizione falsa

Il Signore, nella sua grazia, usa due metodi per distogliere il cuore dell’uomo dalle cose del mondo: prima rivela il prezzo e l’immutabilità delle cose che sono «in alto», poi fa conoscere la vanità e l’instabilità delle cose che sono «sulla terra» (Coloss. 3:1-2).

La fine del cap. 12 dell’epistola agli Ebrei ci offre un magnifico esempio di ognuno di questi metodi. Dopo aver stabilito la verità, che siamo venuti al monte di Sion e a tutte le gioie e a tutti i privilegi che vi si riallacciano, l’apostolo prosegue dicendo: «Guardate di non rifiutare colui che parla: perché, se quelli non scamparono quando rifiutarono Colui che rivelava loro in terra la sua volontà, molto meno scamperemo noi se voltiamo le spalle a Colui che parla dal cielo; la cui voce scosse allora la terra, ma che adesso ha fatto questa promessa: «Ancora una volta, farò tremare non solo la terra, ma anche il cielo». Or questo «ancora una volta», indica la rimozione delle cose scosse, come di cose fatte, onde sussistan ferme quelle che non sono scosse».

Ora, è meglio essere attirati dalle gioie del cielo che esservi spinti dai dispiaceri della terra. Il credente non dovrebbe aspettare che il mondo l’abbandoni per abbandonare il mondo; dovrebbe lasciare le cose della terra per mezzo della potenza della comunione con le cose che sono in alto. Quando per fede si è afferrato Cristo, non è difficile lasciare il mondo; la difficoltà starebbe piuttosto nel restare attaccati al mondo. Uno spazzino venuto in possesso, improvvisamente, d’una grande fortuna non continuerebbe il suo mestiere per molto tempo. Nello stesso modo, se afferriamo per la fede il valore e la realtà dei beni immutabili che sono nei cieli e la parte che in essi abbiamo, non avremo difficoltà ad abbandonare le gioie fittizie della terra.

Volgiamo ora la nostra attenzione sulla parte solenne della storia sacra alla quale siamo giunti. Lot è seduto «alla porta di Sodoma», ha fatto la sua strada nel mondo, ha avuto successo, umanamente parlando. Al principio, aveva rizzato le sue tende verso Sodoma; più tardi, entrò, probabilmente, fin nella città; ed ora, lo troviamo «seduto alla porta», nel posto dove stavano gli uomini influenti. Come tutto questo è diverso dalla scena che apre il capitolo precedente! La causa, caro lettore, è purtroppo evidente!: «Per fede, Abrahamo dimorò nella terra promessa come straniero dimorando sotto le tende». Nulla di simile è detto di Lot (*). Non si potrebbe dire: «Per fede, Lot sedette alla porta di Sodoma». Ahimè! Lot non ha nessun posto fra i nobili confessori della fede, quel «gran nuvolo» di testimoni della potenza della fede. Il mondo fu per lui un laccio, e le cose presenti la sua perdita. Egli non tenne fermo come «vedendo l’invisibile» (Ebrei 11:27). I suoi sguardi erano fissi «sulle cose che si vedono e che sono solo per un tempo», mentre gli sguardi di Abrahamo rimanevano attaccati «sulle cose che non si vedono e che sono eterne» (2 Cor. 4:18).

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(*) Sarebbe opportuno rivolgere questa domanda ai nostri cuori, in rapporto con quello che desideriamo intraprendere: È per fede che faccio questo? Tutto ciò che non è fatto per fede è peccato, e, «senza la fede è impossibile piacere a Dio».
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La differenza fra questi due uomini era immensa e, benché avessero incominciato il loro cammino insieme, giunsero ad un risultato del tutto diverso, per lo meno quanto alla loro testimonianza. Senza dubbio Lot fu salvato, ma lo fu «come attraverso il fuoco» (1 Cor. 3:15) poiché, «l’opera sua fu arsa». Abrahamo invece ottenne una ricca entrata nel regno eterno del nostro Signor Gesù Cristo (2 Pietro 1:11).

Non vediamo da nessuna parte che fu concesso a Lot di godere gli onori e i privilegi di cui fu onorato Abrahamo. Invece di ricevere, sotto la propria tenda, la visita del Signore, «si tormentava ogni giorno l’anima sua giusta» (2 Pietro 2:8); invece di godere della comunione del Signore, si trova ad una distanza desolante da Lui; invece di intercedere per gli altri, tutto quello che può fare è di intercedere per sè. Dio rimane con Abrahamo per comunicargli i suoi pensieri, mentre manda a Sodoma solo i suoi angeli, ed è a fatica che acconsentono ad entrare in casa di Lot e ad accettarne l’ospitalità: «No, — dicono essi — ma passeremo la notte sulla piazza». Che rimprovero! Come è diversa dalla risposta che il Signore diede ad Abrahamo dicendogli: «fa’ come hai detto».

Ricevere ospitalità da qualcuno è un atto molto significativo; è l’espressione di una intera comunione con colui dal quale la si riceve (Apoc. 3:20). «Se mi avete giudicata fedele al Signore, entrate in casa mia, e dimoratevi» (Atti 16:15).

La risposta che gli angeli fanno a Lot è dunque una condanna esplicita della posizione di Lot in Sodoma: preferiscono passare la notte sulla strada che entrare sotto il tetto di qualcuno che si trova in una falsa posizione. Difatti il loro unico scopo, recandosi a Sodoma, sembra essere la liberazione di Lot, e questo grazie ad Abrahamo, come è scritto: «Così avvenne che quando Dio distrusse le città della pianura, egli si ricordò di Abrahamo e fece partire Lot di mezzo al disastro, quando sovvertì le città in cui Lot aveva dimorato» (vers. 29). Questa dichiarazione prova che fu per amor di Abrahamo che Lot fu risparmiato.

Il Signore non simpatizza con un cuore mondano ed è quest’amore del mondo che indusse a Lot a stabilirsi in mezzo alla corruzione della criminale Sodoma. Non fu né la fede, né lo spirito del cielo, né «l’anima sua giusta», ma l’amore del presente secolo malvagio che trascinò Lot prima a «scegliere», poi «a rizzar le sue tende fino a Sodoma» e, infine, a sedersi «alla porta di Sodoma». Che scelta, ahimè! Una «cisterna screpolata», che non contiene acqua; «una canna rotta» che gli fora la mano (Geremia 2:13 e Isaia 34:6).

È cosa amara voler, in qualche maniera, governare se stesso; in questo modo, non si può far altro che commettere gli errori più gravi. È infinitamente meglio lasciare a Dio la cura di tracciarci la nostra via rimettendogli, come piccoli fanciulli, tutto quel che ci riguarda perché Egli è colui che vuol prendersi cura di noi secondo la sua sapienza e il suo amore infinito.

Senza dubbio, Lot credeva di far bene i suoi conti, e quelli della sua famiglia, andando a Sodoma; ma il seguito della sua storia prova come si fosse sbagliato e fa udire ai nostri orecchi un avvertimento solenne a vegliare sui primi movimenti dello spirito del mondo in noi, per non cedere ad esso. «Siate contenti delle cose che avete» (Ebrei 13:5). Perché? Forse perché state bene in questo mondo, o perché vi trovate tutto quello che il vostro povero cuore stravagante desidera, o perché non vi è nelle vostre circostanze, nessuna breccia che potrebbe suscitare in voi un desiderio? È forse questo che deve essere il fondamento della nostra contentezza? No, assolutamente no: ma perché Egli stesso ha detto: «Io non ti lascierò e non ti abbandonerò». Beata parte! Se Lot se ne fosse accontentato, non avrebbe mai ricercato la pianura ben irrigata di Sodoma.

Pedro

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