CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:11
 
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16. Capitolo 21: Nascita d’Isacco

16.1 L’adempimento della promessa

«E l’Eterno visitò Sara come aveva detto; e l’Eterno fece a Sara come aveva annunziato».

Abbiamo qui l’adempimento della promessa, il fruttò dell’attesa paziente. Nessuno s’è mai confidato in Dio invano. L’anima che, per fede, afferra la promessa di Dio, è in possesso d’una realtà che non le farà mai difetto. Così fu per Abrahamo e per tutti i fedeli, d’età in età; e sarà sempre così per tutti coloro che, in qualche modo, fanno assegnamento sull’Iddio vivente. Che felicità avere Dio stesso per parte e per riposo, in mezzo alle ombre menzognere e illusorie che attraversiamo; che consolazione, che tranquillità per le nostre anime avere per sostegno queste due cose immutabili: la Parola e il giuramento di Dio!

Quando Abrahamo vide realizzata la promessa di Dio, poté rendersi conto dell’inutilità dei propri sforzi per raggiungerne il compimento. Ismaele era inutile per la promessa di Dio. Poteva essere, e fu infatti, oggetto di attaccamento per il cuore naturale di Abrahamo, rendendo in seguito il suo compito assai più difficile; non servì a nulla nell’adempimento dei disegni di Dio e nel raffermamento della fede di Abrahamo, ma piuttosto al contrario.

La natura, senza Dio, non può far nulla per Lui. Bisogna che «Dio visiti», che «Dio faccia» e bisogna che la fede aspetti. Allora, la gloria divina può risplendere, e la fede trovare in questa manifestazione la sua ricca ed eccellente ricompensa.

«Sara dunque concepì e partorì un figliuolo ad Abrahamo, quando egli era vecchio, al tempo che Dio gli aveva fissato».

Esiste un tempo «fissato» da Dio, un tempo «convenevole» per Dio, e bisogna che il fedele sappia aspettarlo pazientemente. Il tempo può sembrare lungo e la speranza differita può far languire il cuore; ma l’uomo spirituale sarà sempre incoraggiato dalla certezza che ogni cosa ha per scopo la manifestazione finale della gloria di Dio. «Poiché è una visione per un tempo già fissato, ella s’affretta verso la fine e non mentirà; se tarda, aspettala, poiché per certo verrà, non tarderà... Ma il giusto vivrà per la sua fede» (Hab. 2:3-4).

La fede è una cosa meravigliosa! Introduce nel nostro presente tutto l’avvenire di Dio e si nutre delle promesse di Dio come d’una realtà presente. Per la sua potenza, l’anima resta attaccata a Dio quando tutto ciò che è esterno sembra essere contro di essa, e, al tempo preciso, Dio riempie di risa la sua bocca.

«Or Abrahamo aveva cento anni quando gli nacque il suo figliuolo Isacco». La natura non aveva quindi nulla da gloriarsi. Quando l’uomo è assolutamente senza risorse, allora viene il «tempo di Dio»; e Sara disse: «Iddio m’ha dato di che ridere». Tutto è gioia, gioia trionfante quando Dio può manifestarsi.

16.2 Isacco e Ismaele

Ma se la nascita di Isacco riempie di gioia la bocca di Sara, introduce anche un elemento nuovo nella casa d’Abrahamo. Il figliuolo della donna libera accelera lo sviluppo del vero carattere del figlio della schiava. Difatti, Isacco fu, in principio, per la casa di Abrahamo, ciò che è l’innesto della nuova natura nell’anima d’un peccatore. Ismaele non era cambiato, ma Isacco era nato. Il figlio della schiava non poteva mai essere altro che quello che era. Diventi pure un grande popolo, dimori pure nel deserto, sia pure tiratore d’arco e anche padre di 12 principi; rimane pur sempre figlio della schiava. D’altra parte, per debole e sprezzato che fosse, Isacco era figliuolo della donna libera. Possedeva ogni cosa da parte del Signore, la posizione, il rango, i privilegi, le speranze. «Ciò che è nato dalla carne è carne; e ciò che è nato dallo Spirito è spirito» (Giov. 3:6).

16.3 La nuova e la vecchia natura

La rigenerazione non è un cambiamento della vecchia natura, ma l’introduzione di una nuova; è l’inserimento della natura e della vita del secondo Adamo, per mezzo dell’opera dello Spirito Santo, fondata sulla redenzione compiuta da Cristo in perfetto accordo con la volontà e il consiglio sovrano di Dio. Dal momento che un peccatore crede di cuore nel Signore Gesù e Lo confessa con le labbra, entra in possesso d’una nuova vita; e questa vita è Cristo: egli è nato da Dio, è un figlio di Dio, è figlio della donna libera (ved. Rom. 10:9; Coloss. 3:4; 1 Giov. 3:1-2; Gal. 3:26; 4:31).

L’introduzione di questa nuova natura non cambia minimamente il carattere intrinseco della vecchia. Questa rimane ciò che è, senza alcun miglioramento e il suo cattivo carattere si manifesta in piena opposizione con l’elemento nuovo. «La carne ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra loro» (Gal. 5:17). Questi due elementi sono perfettamente distinti, e l’uno è soltanto messo in rilievo dall’altro.

La dottrina della coesistenza delle due nature nel credente è generalmente poco compresa e fintanto che rimane ignorata e latente, non può che disorientare riguardo la vera posizione e i privilegi del figlio di Dio. Gli uni credono che la rigenerazione sia un cambiamento graduale compiuto nella vecchia natura, finché l’intero essere abbia subito una completa trasformazione. È facile dimostrare, per mezzo di alcuni passi del Nuovo Testamento, l’errore di questa opinione. Così leggiamo: «Poiché ciò cui la carne ha l’animo è inimicizia contro Dio» (Rom. 8:7), Ciò che è «inimicizia contro Dio» potrebbe forse essere migliorato? Perciò l’apostolo continua dicendo: «perché non è sottomesso alla legge di Dio, e neppure può esserlo». Se non può sottomettersi alla legge di Dio, come potrebbe essere migliorato? E altrove è scritto: «Quel che è nato dalla carne è carne» (Giov. 3:6). Trattate la carne come volete, rimane pur sempre carne. «Anche se tu pestassi lo stolto in un mortaio, in mezzo al grano col pestello, la sua follia non lo lascerebbe», disse Salomone (Prov. 27:22). Si lavora invano a rendere savia la follia.

Bisogna introdurre la sapienza che vien da alto nel cuore che non è stato fin’allora governato che dalla follia.

«Avendo spogliato l’uomo vecchio» (Col. 3:9). L’apostolo non dice: avete migliorato, o cercate di migliorare il «vecchio uomo», ma l’avete spogliato; e questa è una cosa assolutamente diversa, tanto diversa quanto l’atto di rammendare un vestito e quello di metterlo completamente da parte. Nel pensiero dell’apostolo, si trattava appunto di spogliare un vecchio vestito e rivestirne uno nuovo.

Si potrebbero moltiplicare le citazioni per provare che la teoria del miglioramento graduale della vecchia natura è falsa ed erronea, e per provare che questa vecchia natura è morta e assolutamente incorreggibile; la sola cosa che possiamo fare è di tenerla «sotto i piedi» nella potenza di questa nuova vita che possediamo in virtù della nostra unione col nostro Capo risuscitato nei cieli.

La nascita di Isacco non migliorò Ismaele; anzi, non fece che mettere in evidenza la sua vera opposizione contro il figlio della promessa. Poteva aver avuto una condotta pacifica e regolata fino alla venuta di Isacco, ma allora dimostrò ciò che era, beffandosi del figlio della risurrezione e perseguitandolo.

Quale era il rimedio a questo male? Rendere migliore Ismaele? No, ma: «caccia via questa serva e il suo figliuolo; poiché il figliuolo di questa serva non ha da essere erede col mio figliuolo, con Isacco» (vers. 8-10). Ecco l’unico rimedio. «Ciò ch’è storto, non può essere raddrizzato» (Eccl. 1:15) e di conseguenza bisogna sbarazzarsi di quello che è storto per occuparsi di ciò che è divinamente diritto.

Ogni sforzo che è fatto in vista di migliorare la vecchia natura, è vano davanti a Dio. Gli uomini possono trovare un vantaggio a coltivare e migliorare quello che è loro utile, ma Dio ha dato ai suoi figli qualcosa d’infinitamente migliore da fare: coltivare quello che è la Sua creazione; e i frutti di quella creazione, oltre a non innalzare mai la natura umana, sono interamente alla lode e alla gloria di Dio.

16.4 Libertà e servitù

L’errore nel quale le chiese della Galazia erano cadute, era di voler far dipendere la salvezza da qualcosa che l’uomo poteva essere o fare. «Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati» (Atti 15:1). Si rovinava così il glorioso edificio della redenzione, che riposa unicamente su quello che Cristo è e su quello che ha fatto; poiché, far dipendere la salvezza, anche nella più piccola misura, da qualcosa che sia nell’uomo o che sia fatto dall’uomo, vuol dire annientare la salvezza. In altri termini: bisogna che Ismaele sia scacciato e che le speranze di Abrahamo riposino su ciò che Dio ha fatto e dato nella persona di Isacco.

È ovvio che questa salvezza non lascia nulla all’uomo di cui possa gloriarsi. Se la felicità presente o futura dipendesse da un cambiamento, anche divino, operato nella natura, ossia nella carne, l’«io» potrebbe glorificarsi e Dio non avrebbe tutta la gloria. Ma se sono introdotto in una nuova creazione, vedo che tutto è di Dio, il disegno, l’opera e il suo adempimento. È Dio che agisce, ed io adoro: è Lui che benedice, ed io sono benedetto; egli è il superiore e io sono «l’inferiore» (Ebrei 7:7). Egli è il donatore, ed io colui che riceve. Ecco ciò che è il cristianesimo e ciò che, nello stesso tempo, lo distingue da ogni sistema religioso umano che esiste sotto il sole. La religione dell’uomo dà sempre un posto alla creatura; mantiene, nella casa, la serva e suo figlio, e lascia all’uomo di che gloriarsi. Il cristianesimo, invece, esclude la creatura e non le concede nessuna parte nell’opera della salvezza; scaccia la schiava e suo figlio, e rende ogni gloria a Colui al quale solo appartiene.

Vediamo ora ciò che sono realmente questa schiava e il suo figlio, e ciò che raffigurano. Il cap. 4 dell’epistola ai Galati ci insegna minutamente al riguardo e il lettore troverà profitto a studiarlo con cura.

La schiava rappresenta il patto della legge, e il suo figliuolo tutti quelli che sono «sotto le opere della legge» o su questo principio di legge. La schiava genera per la servitù e non può dare alla luce un uomo libero. La legge non ha mai potuto dare la libertà, poiché signoreggia l’uomo per tutto il tempo che egli vive (Rom. 7:1). Fintanto che sono posto sotto l’autorità d’un altro, chiunque egli sia, non sono libero; mentre sono in vita, la legge domina sopra me, e la morte sola può sottrarmi al suo dominio, come lo sappiamo dalla dottrina del cap. 7 dell’epist. ai Romani. «Così, fratelli miei, anche voi siete divenuti morti alla legge mediante il corpo di Cristo, per appartenere ad un altro, cioè a Colui che è risuscitato dai morti, e questo, affinché portiate del frutto a Dio». Ecco la libertà, poiché: «Se dunque il Figliuolo vi farà liberi, sarete veramente liberi» (Giov. 8:36). «Perciò, fratelli, noi non siamo figliuoli della schiava, ma della libera» (Gal. 4:31).

È nella potenza di questa libertà che possiamo obbedire al comandamento: «Caccia via la schiava e il suo figliuolo». Se non so di essere libero, cercherò di ottenere la libertà in qualunque modo, anche col trattenere la schiava in casa; in altri termini, cercherò di ottenere la vita osservando la legge, stabilendo così la mia propria giustizia. Senza dubbio, per rigettare questo elemento di servitù, dovrò lottare, poiché il legalismo è naturale al cuore dell’uomo: «E la cosa dispiacque fortemente ad Abrahamo, a motivo dei suo figliuolo» (vers. 11). Tuttavia, per quanto doloroso possa essere l’atto in questione, è secondo la volontà di Dio che rimaniamo fermi nella libertà nella quale Cristo ci ha posti affrancandoci, e che non siamo di nuovo trattenuti sotto un giogo di servitù (Gal. 5:1).

Ci sia dato, caro lettore, di entrare pienamente e sperimentalmente nel pieno possesso delle benedizioni che Dio ci ha procurato in Cristo, perché possiamo liberarci da ogni influenza della carne, da tutto ciò che essa è, e produce. Vi è, in Cristo, una pienezza che rende assolutamente superfluo e vano ogni ricorso alla natura.

Pedro

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