CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:12
 
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17. Capitolo 22: Il sacrificio d’Isacco

17.1 Dio prova la fede d’Abrahamo

Abrahamo si presenta ora a noi in uno stato morale adatto perché il suo cuore possa sostenere una dolorosissima prova.

Al cap. 20, ha confessato e giudicato l’interdetto per molto tempo serbato nel cuore; al cap. 21 ha scacciato la schiava col suo figliuolo; ed ora si presenta nella posizione più onorata nella quale un’anima possa essere posta; lo vediamo nella prova sotto la mano di Dio stesso.

Vi sono parecchi tipi di prove: la prova il cui autore è il Diavolo; la prova che proviene dalle circostanze esteriori; ma la maggiore di tutte, nel suo carattere, è quella che viene direttamente da Dio, quando egli pone il suo figliuolo diletto nella fornace per provare la realtà della sua fede. Dio lo fa perché vuole della realtà. Non basta dire: «Signore, Signore», oppure «ci vado, Signore»; bisogna che il cuore sia provato fino in fondo affinché nessun elemento di ipocrisia o di falsa professione vi si annidi. Dio dice: «Figliuol mio, dammi il tuo cuore» (Prov. 23:26). Non dice: dammi la tua intelligenza, o i tuoi talenti, o la tua lingua, o il tuo denaro; ma: «dammi il tuo cuore». E, per provare la sincerità della nostra risposta agli ordini della sua grazia, Egli mette la mano su ciò che tocca più da vicino il nostro cuore.

Dio disse ad Abrahamo: «Prendi ora il tuo figliuolo, il tuo unico, colui che ami, Isacco e vattene nel paese di Moriah, e offrilo quivi in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò» (vers. 2). Questo significava visitare ben da vicino il cuore di Abrahamo e farlo passare nel crogiuolo più profondo.

Dio «ama la sincerità [o verità] nell’interiore» (Salmo 51:6). Vi può essere molta verità sulle labbra e nell’intelligenza; ma Dio la cerca nel cuore. Delle prove comuni d’amore non lo possono soddisfare; Lui stesso non si è limitato a darci una prova ordinaria del suo amore per noi; ha dato il suo Figliuolo! E non dovremmo noi desiderare di dare delle prove evidenti del nostro amore per lui che ci ha amati così tanto quando eravamo morti nei nostri falli e nei nostri peccati?

È necessario tuttavia che ci rendiamo conto che provandoci così, Iddio ci onora altamente. Non leggiamo che Dio abbia provato Lot; egli non raggiunse mai un livello tale da essere provato dalla mano stessa dell’Eterno. Lo stato dell’anima sua era troppo evidente, perché fosse necessaria la fornace per metterlo in luce. Sodoma non avrebbe presentato nessuna tentazione per Abrahamo. Il suo incontro col re di Sodoma al cap. 14 lo mostra chiaramente. Dio sapeva che Abrahamo amava lui infinitamente più di quanto amasse Sodoma, ma voleva mettere in evidenza che il suo servitore lo amava al disopra di ogni altra cosa; così mette la mano su ciò che aveva di più caro.

«Prendi ora il tuo figliuolo, il tuo unico, colui che tu ami». Sì, Isacco, il figlio della promessa; Isacco, l’oggetto della speranza intensamente e lungamente attesa, l’oggetto dell’amore del padre, colui nel quale tutte le famiglie della terra dovevano essere benedette. Proprio lui doveva essere offerto in olocausto! Questo era veramente mettere la fede alla prova, affinché questa prova, «molto più preziosa dell’oro che perisce, eppure è provata col fuoco, risulti a lode, gloria ed onore» (1 Pietro 1:7). Se Abrahamo non si fosse appoggiato unicamente, e con tutto il cuore, sull’Eterno, non avrebbe potuto obbedire senza titubanza ad un ordine che lo toccava così profondamente. Ma Dio stesso era il sostegno vivente e permanente del suo cuore: perciò Abrahamo era pronto ad abbandonare tutto per Lui.

L’anima che ha trovato in Dio «tutte le proprie sorgenti» (Salmo 87), può, senza perplessità, abbandonare tutte le «cisterne umane». Possiamo rinunciare alla creatura in proporzione della conoscenza che acquistiamo del Creatore ma non possiamo andare oltre. Voler rinunciare alle cose visibili altrimenti che con l’energia della fede che afferra le invisibili, è il lavoro più sterile che si possa pensare. L’anima si terrà stretto il suo Isacco, finché ha trovato il suo tutto in Dio. Ma quando può dire per la fede: «Dio è per noi un rifugio ed una forza, un aiuto sempre pronto nelle distrette» può anche aggiungere: «Perciò noi non temeremo, anche quando fosse sconvolta la terra, quando i monti fossero smossi in seno ai mari» (Salmo 46:1-2).

17.2 Abrahamo ubbidisce

«E Abrahamo, levatosi la mattina di buon’ora», ecc... Abrahamo non tarda, obbedisce subito. «Mi sono affrettato, e non ho indugiato ad osservare i tuoi comandamenti» (Salmo 119:60).

La fede non si arresta mai a considerare le circostanze o a ponderare i presumibili risultati; non riguarda che a Dio e dice, con l’Apostolo: «Ma quando Iddio, che m’aveva appartato fin dal seno di mia madre, m’ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il suo Figliuolo perch’io lo annunziassi fra i gentili, io non mi consigliai con carne e sangue» (Gal. 1:15-16). Dal momento che prendiamo consiglio dalla carne e dal sangue, pregiudichiamo la nostra testimonianza e il nostro servizio, poiché la carne e il sangue non possono obbedire. Per essere felici e perché Dio sia glorificato, dobbiamo levarci la mattina di buon’ora e, per la grazia, compiere il comandamento di Dio. Se la Parola di Dio è la sorgente della nostra attività, ci darà forza e fermezza per agire; mentre se agiamo solo per impulso nostro, cessato questo, cesserà anche la nostra azione.

Due cose sono necessarie ad una vita attiva, coerente e ferma: lo Spirito Santo come potenza e la Scrittura come guida. Abrahamo possedeva queste due cose; aveva ricevuto da Dio la potenza per agire e anche da Dio l’ordine di agire. La sua obbedienza aveva un carattere molto esplicito, e questo è importantissimo. Si incontra sovente ciò che assomiglia molto alla dedizione, ma che in realtà è solo l’attività incostante d’una volontà non sottomessa alla potente azione della Parola di Dio. Tale dedizione ha solo apparenza ma nessun valore e lo spirito che ne è il movente si dilegua rapidamente. Si può stabilire come principio che ogni qualvolta la dedizione oltrepassa certi limiti stabiliti da Dio è sospetta; se si ferma prima di questi limiti, è imperfetta; se va oltre, erra. Vi sono senza dubbio delle operazioni e delle vie straordinarie proprie allo Spirito di Dio, nelle quali Egli proclama la propria sovranità e si eleva al disopra dei limiti ordinari; ma, in tali casi, l’evidenza dell’azione divina è abbastanza potente per convincere ogni uomo spirituale. Questi casi straordinari non contraddicono, poi, in nessun modo, la verità che la fedeltà e la vera devozione sono sempre fondate sopra un principio divino e governate da un principio divino. Si può pensare che sacrificare un figliuolo sia un atto di devozione straordinario, ma bisogna ricordare che quello che dà a questo atto tutto il suo valore davanti a Dio è il semplice fatto che è fondato sul comandamento di Dio.

Vi è ancora un’altra cosa che è unita alla vera dedizione: è lo spirito d’adorazione. «Io e il ragazzo, andremo fin colà e adoreremo» (vers. 5). Un servitore veramente devoto fissa gli occhi non sul proprio servizio, per quanto importante possa essere, ma sul suo padrone; e questo produce lo spirito di adorazione.

Se amo il mio padrone secondo la carne, poco mi importerà di essere chiamato a pulire le sue scarpe o a guidare la sua automobile; ma se penso a me stesso più che a lui, preferirò senza dubbio essere autista piuttosto che lustrascarpe. È lo stesso nel servizio del nostro divino Signore: se penso solo a Lui, non vi sarà differenza per me tra edificare delle Assemblee o fabbricare delle tende.

Possiamo fare la stessa osservazione riguardo al ministerio degli angeli. Importa poco, ad un angelo, di essere mandato a distruggere un esercito oppure a proteggere la persona di uno degli eredi della salvezza; è il padrone che occupa i suoi pensieri. Come qualcuno ha ben detto, se due angeli fossero mandati dal cielo, uno per governare un impero, l’altro per scopare le vie d’una città, di certo non contenderebbero.

Se questo è vero per gli angeli, non dovrebbe esserlo anche per noi? Il carattere del servitore e quello dell’adoratore dovrebbero sempre essere uniti, e l’opera delle nostre mani dovrebbe sempre esalare il buon profumo del nostro amore per il Signore. In altri termini, dovremmo lavorare nello spirito di queste parole: «Io e il ragazzo, andremo fin colà e adoreremo». Saremmo così guardati da un servizio puramente meccanico, come siamo facilmente portati a compiere, lavorando soltanto per amore del lavoro ed essendo più occupati della nostra opera che del nostro Maestro. Bisogna che tutto derivi da una semplice fede in Dio e dall’obbedienza alla sua Parola.

«Per fede Abrahamo, quando fu provato, offerse Isacco; ed egli che aveva ricevuto le promesse, offerse il suo unigenito» (Ebrei 11:17). Dipende solo da quanto camminiamo per la fede, il poter incominciare, proseguire e terminare le nostre opere secondo Dio. Abrahamo non solo s’incamminò per offrire il suo figliuolo, ma proseguì imperturbato il suo cammino fino al punto indicato da Dio (Genesi 22).

«E Abrahamo prese le legna per l’olocausto e le pose addosso a Isacco suo figliuolo; poi prese in mano il fuoco e il coltello; e tutti e due s’incamminarono assieme»; e più avanti leggiamo: «E Abrahamo edificò quivi l’altare e vi accomodò le legna. E Abrahamo stese la mano e prese il coltello per scannare il suo figliuolo» (vers. 6-10).

V’era un’opera reale, un’«opera di fede» e «un travaglio d’amore», nel senso più elevato, non una semplice apparenza. Abrahamo non s’avvicinava a Dio con le labbra soltanto, mentre il suo cuore era lontano da Lui; non diceva: «ci vado, Signore», e non vi andava. Tutto era profonda realtà, di quella realtà che la fede trova piacere a produrre e che Dio si compiace di accettare.

È facile far mostra di devozione, quando non si è in obbligo di manifestarla; è facile dire: «Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me...», «quand’anche mi convenisse morir teco, non però ti rinnegherò» (Matteo 26:33-35); ma si tratta di rimanere fermi e di sormontare la tentazione. Quando Pietro fu messo alla prova, fu atterrato. La fede non parla mai di quello che vuol fare; ma fa quello che può per mezzo della forza del Signore. Nulla è più miserabile dell’orgoglio e delle pretese; sono tanto vili quanto la base sulla quale riposano. Ma la fede agisce quando è provata; e, fino a quel momento, è felice di restare nel silenzio e nell’oscurità.

Iddio è glorificato da questa santa attività della fede; è Lui che ne è l’oggetto come pure la sorgente. Di tutti gli atti della fede di Abrahamo non ve n’è alcuno nel quale Iddio sia stato più glorificato che nella scena del monte Moriah. Qui Abrahamo potè rendere testimonianza che «tutte le sue sorgenti» erano in Dio e ch’egli le aveva trovate non solo prima della nascita di Isacco, ma anche dopo. Riposarsi sulle benedizioni di Dio è ben diverso dal riposarsi su Dio stesso; confidare in Dio quando si hanno sotto gli occhi le benedizioni di Dio che scendono su di noi, è tutt’altra cosa che confidarsi in lui quando queste mancano.

Abrahamo manifesta l’eccellenza della sua fede sapendo contare su Dio, e sulla promessa d’una innumerevole progenie, non soltanto quando Isacco era davanti a lui pieno di salute e di forza, ma anche quando lo vedeva vittima sull’altare. Che gloriosa fiducia! Fiducia senza compromessi, non fondata in parte sul Creatore e in parte sulla creatura, ma stabilita su un fondamento solido, sopra Dio stesso. Egli stimò che Dio poteva, e non pensò mai che Isacco avrebbe potuto. Isacco senza Dio, per lui era nulla; Dio, senza Isacco, era tutto.

Vi è, in questo, un principio della massima importanza e una pietra di paragone per provare il cuore a fondo. La mia fiducia viene forse meno quando vedo i canali apparenti delle mie benedizioni inaridirsi? Oppure, rimango io abbastanza vicino alla sorgente, là dove essa nasce, perché mi sia possibile vedere, in uno spirito di adorazione, tutti i ruscelli umani prosciugarsi? Credo io, con abbastanza semplicità, che Dio è sufficiente a tutto, per poter in qualche modo stendere la mano e afferrare il coltello per scannare il mio figliuolo? Abrahamo ne fu reso capace perché guardava all’Iddio della risurrezione. «Avendo stimato che Dio poteva anche risuscitarlo d’infra i morti» (Ebrei 11:17-19). Egli realizzava di avere a che fare con Dio, e questo gli bastava. Dio non permise che egli andasse fino all’estremo limite: l’Iddio di grazia non poteva permettere che andasse fin là; Egli risparmiò al cuore di Abrahamo l’angoscia che non risparmiò a se stesso, quando si trattò di colpire il proprio Figliuolo per i nostri peccati; Egli, benedetto sia il suo Nome, andò fino agli estremi limiti. Egli non risparmiò il suo proprio Figliuolo ma lo diede per tutti noi. «Piacque all’Eterno di fiaccarlo coi patimenti» (Rom. 8:31; Isaia 53:10). Nessuna voce si fece udire dal cielo, quando, sul Calvario, il Padre offerse il suo unigenito Figliuolo. Il sacrificio fu perfettamente compiuto e, nel suo adempimento, fu suggellata la nostra eterna pace.

Pedro

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