CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:14
 
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18. Capitolo 23: Morte di Sara — La spelonca di Macpela

Questo breve capitolo della Scrittura contiene parecchi insegnamenti utili per l’anima. Lo Spirito Santo traccia qui un bel quadro del modo in cui il credente dovrebbe sempre condursi verso quelli del di fuori. Se è vero che la fede rende il credente indipendente dagli uomini del mondo, non è meno vero che essa gli insegna sempre a camminare onestamente nei loro confronti. Siamo esortati nella prima epistola ai Tessalonicesi (4:12) a «camminare onestamente verso quelli di fuori», nella seconda ai Corinzi (8:21) a vegliare per «agire onestamente, non solo nel cospetto del Signore, ma anche nel cospetto degli uomini»; e in quella ai Romani (13:8) a «non aver debito con alcuno». Sono precetti importanti e che furono debitamente osservati da tutti i fedeli servitori di Cristo, prima ancora che fossero chiaramente enunciati, ma a cui, ahimè, si dà poca importanza nei tempi attuali.

Il cap. 23 della Genesi merita quindi una particolare considerazione.

Questo capitolo che si apre con la morte di Sara, ci fa vedere Abrahamo sotto un carattere nuovo, quello di uno che è nel dolore. «Abrahamo venne a far duolo di Sara e a piangerla».

Il credente è chiamato a passare per il dolore; ma non come gli altri. Il grande fatto della risurrezione lo consola e dà al suo dolore un carattere particolare (1 Tess. 4:13-14). Egli può trovarsi di fronte alla tomba d’un fratello o d’una sorella, nella felice certezza che quel sepolcro non tratterrà a lungo il suo prigioniero, «poiché se crediamo che Gesù morì e risuscitò, così pure quelli che si sono addormentati Iddio, per mezzo di Gesù, li ricondurrà con esso». La redenzione dell’anima assicura la redenzione del corpo; possediamo la prima e aspettiamo la seconda (Rom. 8:23).

18.1 Fede nella risurrezione

Acquistando Macpela per farne un sepolcro, Abrahamo esprime, ci sembra, la sua fede nella risurrezione. «Poi Abrahamo si levò di presso al suo morto».

La fede non si ferma molto tempo a contemplare la morte; essa possiede un oggetto più elevato, grazie all’«Iddio vivente» che glielo ha dato! La fede contempla la risurrezione, la sua visione ne è assorbita; e, nella potenza della risurrezione, può levarsi da presso al suo morto.

Questo atto di Abrahamo è significativo e abbiamo bisogno di comprenderne meglio la portata, visto che siamo propensi fin troppo ad occuparci della morte e delle sue conseguenze. La morte è il limite della potenza di Satana; ma dove Satana finisce, Iddio incomincia. Abrahamo lo aveva compreso quando si alzò di presso al suo morto e acquistò la caverna di Mecpela per farne un luogo di riposo per Sara. Questo atto era l’espressione del pensiero di Abrahamo riguardo all’avvenire. Egli sapeva che nei secoli a venire, la promessa di Dio riguardo la terra di Canaan, si sarebbe adempiuta; così potè deporre il corpo di Sara nella tomba, «nella speranza certa d’una gloriosa risurrezione».

I figliuoli incirconcisi di Heth ignoravano queste cose. I pensieri che occupavano l’anima del patriarca erano loro sconosciuti. Per essi, era cosa di poca importanza che Abrahamo seppellisse il suo morto in un posto piuttosto che in un altro, ma per lui era importante. «Io sono straniero e avventizio fra voi; datemi la proprietà di un sepolcro fra voi, affinché io seppellisca il mio morto, e me lo tolga d’innanzi».

I figliuoli di Heth dovevano trovare strano che Abrahamo si preoccupasse tanto per una sepoltura, ma «il mondo non ci conosce, perché non ha conosciuto Lui». I tratti più belli e più salienti della fede sono quelli meno compresi dal mondo. I Cananei non avevano alcuna idea delle speranze che caratterizzavano gli atti di Abrahamo in quella occasione; non si rendevano conto che egli prevedesse il giorno in cui avrebbe posseduto il paese, mentre per il momento cercava solo un lembo di terra in cui, come uomo mortale, avrebbe potuto aspettare il tempo fissato da Dio, cioè «il mattino della risurrezione» per il possesso futuro del paese.

Abrahamo sentiva che non aveva nessuna controversia da fare con i figliuoli di Heth, tanto che era pronto a coricarsi, come Sara, nella tomba, lasciando a Dio la cura di agire per lui, su di lui e per mezzo di lui.

«In fede morirono tutti costoro, senza aver ricevuto le cose promesse, ma avendole vedute e salutate da lontano e avendo confessato che erano forestieri e pellegrini sulla terra» (Ebrei 11:13).

Questo è un lato della vita divina di grande bellezza. Questi «testimoni» di cui parla l’epistola agli Ebrei nel cap. 11, non soltanto vissero per fede, ma anche testimoniarono che le promesse di Dio erano tanto reali e soddisfacenti, per le loro anime, alla fine della loro carriera, quanto lo erano state al principio.

18.2 Onestà davanti al mondo

L’acquisto di una sepoltura nel paese della promessa era, ci sembra, una dimostrazione della potenza della fede loro non soltanto per vivere, ma anche per morire. Perché Abrahamo era così insistente e scrupoloso nell’atto d’acquistare un sepolcro? Perché era così disposto a pagare il prezzo intiero, per assicurarsi un pieno diritto di proprietà sul campo e sulla spelonca di Efron, su un principio di giustizia? La risposta è contenuta in questa parola: «la fede». È per fede che fece tutto ciò. Sapeva che il paese gli sarebbe appartenuto nell’avvenire e che, nella gloria della risurrezione, la sua progenie lo avrebbe posseduto ancora; fino a quel momento, non voleva essere debitore verso coloro che dovevano esserne spodestati.

Questo capitolo può dunque essere considerato sotto due punti di vista: esso stabilisce un principio di condotta semplice e pratico di fronte alla gente del mondo; e poi mette in luce l’importanza della beata speranza da cui il credente dovrebbe sempre essere animato. La speranza che ci è proposta nell’evangelo è una gloriosa immortalità, che, innalzando il cuore al disopra delle influenze della natura e del mondo, ci fornisce un santo e nobile principio che deve regolare tutta la nostra condotta verso quelli del di fuori. «Sappiamo che quand’egli sarà manifestato, saremo simili a Lui, perché lo vedremo come Egli è». Ecco la nostra speranza. Quale ne è l’effetto morale? «E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica come esso è puro» (1 Giov. 3:2-3).

Se fra poco dovrò essere simile a Cristo, mi sforzerò di essergli simile, per quanto possibile, fin d’ora. Il credente dovrebbe dunque cercare di camminare con purezza, integrità e grazia morale di fronte a tutti quelli che lo circondano. È quello che fece Abrahamo nei suoi rapporti con i figliuoli di Heth; egli dimostrò in tutta la sua condotta una grande nobiltà e un vero disinteresse. Era fra loro «un principe di Dio» e sarebbero stati felici di fargli un favore; ma Abrahamo aveva imparato a non ricevere favori che dall’Iddio della risurrezione; e mentre pagava agli Hittei il prezzo di Macpela, si confidava in Dio per la terra di Canaan. I figliuoli di Heth conoscevano benissimo il valore della moneta «corrente fra i mercanti» e Abrahamo conosceva anche il valore della spelonca di Macpela che, per lui, valeva assai più che per essi. Quella terra di quattrocento sicli d’argento secondo la loro valutazione, aveva per lui un valore illimitato, era pegno d’un’eredità eterna e, poiché tale, non poteva essere posseduta che nella potenza della risurrezione. La fede trasporta l’anima che procede avanti, nell’avvenire di Dio; vede le cose come Dio le vede, le stima secondo il giudizio del santuario. È dunque nell’intelligenza della fede che Abrahamo si levò dinanzi al suo morto e comprò un sepolcro, mostrando così la sua speranza nella risurrezione e nell’eredità che ne dipende.

Pedro

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