CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:18
 
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22.6 Rebecca e Esaù

Quanto a Rebecca, dovette sopportare i tristi risultati dei suoi espedienti. Senza dubbio credeva di concludere tutto molto scaltramente ma, ahimè! ella non rivide più Giacobbe! Come sarebbe stato diverso il risultato se avesse lasciato tutto nelle mani di Dio! «E chi di voi può, con la sua sollecitudine, aggiungere alla sua statura pure un cubito?» (Luca 12:25).

Non guadagnamo nulla a preoccuparci e a formulare dei progetti; non facciamo altro che escludere Dio, e questo, certamente, non è un guadagno. E quando raccogliamo i frutti delle nostre proprie deliberazioni, nulla è più triste a vedersi che un figlio di Dio dimentico della sua posizione e dei suoi privilegi, al punto di voler prendere nelle proprie mani la direzione dei suoi affari. Gli «uccelli del cielo e i gigli dei campi» possono ammaestrarci, quando dimentichiamo fino a questo punto la nostra posizione di intera dipendenza da Dio.

Infine, per quanto riguarda Esaù, l’apostolo lo chiama «un profano... che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura» (Ebrei 12:15-17), e che «più tardi, volle ereditare la benedizione, ma fu respinto perché non trovò luogo a pentimento, sebbene la richiedesse con lacrime». Impariamo di qui che «profano» è l’uomo che vuole possedere, nello stesso tempo, la terra e il cielo, godere del presente senza perdere i diritti per il futuro: ogni professante mondano, la cui coscienza non abbia mai risentito degli effetti della verità e il cui cuore sia sempre rimasto estraneo all’influenza della grazia, si trova in questa situazione; ed è grande il numero di tali persone.

23. Capitolo 28: Giacobbe fuggitivo

23.1 La disciplina di Dio

Seguiremo ora Giacobbe lontano dal tetto paterno, quando errò solitario e senza asilo sulla terra.

Dio, a questo punto, incomincia ad occuparsi di lui in modo speciale e lui incomincia a raccogliere, in una certa misura, i frutti amari della sua condotta nei confronti di Esaù; intanto vediamo Dio passare sopra tutta la debolezza e la follia del suo servitore, e spiegare, nelle proprie vie a suo riguardo, la sua grazia sovrana e la sua saggezza infinita.

Dio compirà i suoi disegni, qualunque sia, peraltro, il mezzo che adopererà. Ma se, per impazienza e incredulità, il figlio di Dio vuole sottrarsi al governo del suo Dio, deve aspettarsi di fare tristi esperienze e di passare attraverso una dolorosa disciplina. È ciò che avvenne a Giacobbe: non avrebbe avuto bisogno di fuggirsene a Charan se avesse lasciato a Dio l’incarico di agire per lui.

Dio si sarebbe certamente occupato di Esaù per fargli trovare il posto e la parte che gli erano destinati; e Giacobbe avrebbe potuto godere di quella dolce pace che si trova soltanto in una completa sottomissione a Dio e alle sue deliberazioni, in ogni cosa. Ma è qui che si manifesta costantemente l’eccessiva debolezza dei nostri cuori. Invece di rimanere passivamente sotto la mano di Dio, noi vogliamo agire e, agendo, impediamo a Dio di spiegare la sua grazia e la sua potenza in nostro favore.

«Fermatevi e riconoscete che io sono Dio» (Salmo 46:10). È un precetto al quale nessuno potrebbe obbedire se non per mezzo della potenza della grazia. «La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini; il Signore è vicino; non siate con ansietà solleciti di cosa alcuna, ma in ogni cosa siano le vostre richieste rese note a Dio, in preghiera e supplicazione con azioni di grazie». E quale ne sarà il risultato? «E la pace di Dio che sopravanza ogni intelligenza guarderà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Filipp. 4:5-7).

Tuttavia, mentre raccogliamo i frutti delle nostre vie, della nostra impazienza e incredulità, Dio, nella sua grazia, si serve della nostra debolezza e della nostra follia per farci conoscere meglio la sua tenera grazia e la sua perfetta saggezza. Tutto questo, pur non autorizzando minimamente all’incredulità e all’impazienza, fa risaltare in modo ammirevole la bontà del nostro Dio, facendo gioire il nostro cuore anche quando attraversiamo circostanze penose, prodotte dai nostri sbagli; Dio è sopra ogni cosa e, inoltre, è sua esclusiva prerogativa trarre il bene dal male; «dal mangiatore è uscito del cibo e dal forte è uscito del dolce» (Giudici 14:14); così, se è perfettamente vero che Giacobbe fu costretto a vivere in esilio a causa della sua impazienza, d’altro lato è altrettanto vero che se Giacobbe fosse rimasto tranquillamente sotto il tetto paterno non avrebbe mai imparato cosa significhi «Bethel». I due lati della medaglia sono così fortemente impressi in ogni scena della storia di Giacobbe. Solo quando la sua stoltezza l’ha cacciato dalla casa paterna egli fu indotto a gustare la felicità e la solennità della «casa di Dio».

23.2 Bethel, la casa di Dio

«Or Giacobbe parti da Beer-Sceba e se n’andò verso Charan. Capitò in un certo luogo e vi passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, la pose come suo capezzale e si coricò quivi».

Qui Giacobbe, errante e fuggitivo, si trova proprio nella posizione nella quale Dio può incontrarsi con lui e manifestargli i suoi consigli di grazia e di gloria. Non vi è nulla che esprima meglio la nullità e l’impotenza dell’uomo, dello stato a cui Giacobbe è ridotto qui: nella debolezza del sonno, all’aperto, sotto il cielo, non avendo che una pietra per guanciale.

«E sognò; ed ecco gli angeli di Dio che salivano e scendevano per la scala. E l’Eterno stava al di sopra d’essa e gli disse: Io sono l’Eterno, l’Iddio d’Abrahamo tuo padre e d’Isacco; la terra sulla quale stai coricato io la darò a te e alla tua progenie. Ed ecco, io sono teco e ti guarderò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questo paese; perché io non ti abbandonerò prima d’aver fatto quello che t’ho detto».

Ecco come l’Iddio di Bethel rivela a Giacobbe i suoi disegni riguardo a lui e alla sua progenie. È véramente «la grazia e la gloria». Questa scala «appoggiata sulla terra» induce naturalmente il cuore a meditare sulla manifestazione della grazia di Dio nella persona e nell’opera del Figlio. È sulla terra che fu compiuta l’opera meravigliosa che costituisce la base, il solido ed eterno fondamento di tutti i consigli di Dio, riguardo a Israele, alla Chiesa ed al mondo. È sulla terra che Gesù è vissuto, ha lavorato ed è spirato per togliere con la sua morte tutto ciò che costituiva un ostacolo all’adempimento dei piani di Dio per la benedizione dell’uomo.

Ma «la sua cima (della scala) toccava il cielo». Essa rappresentava il mezzo di comunicazione fra il cielo e la terra: ed ecco «gli angeli di Dio che salivano e scendevano per la scala», bella e notevole immagine di Colui per mezzo del quale Dio è disceso in tutta la profondità della miseria dell’uomo e per mezzo del quale pure ha elevato l’uomo, ponendolo alla sua presenza per sempre, nella potenza della divina giustizia. Dio ha provveduto a tutto quello che era necessario per il compimento dei suoi piani, a dispetto della follia e del peccato dell’uomo; ed è un’eterna felicità quella dell’anima, che per mezzo dell’insegnamento dello Spirito Santo, può così vedersi rinchiusa tra i confini dei disegni della grazia di Dio.

Pedro

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