CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:22
 
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25.4 Incontro con Esaù

Vedremo come tutte le paure di Giacobbe fossero senza fondamento e tutti i suoi piani inutili. Nonostante la lotta e la lussazione, che lo rese zoppo, prodottagli da Dio, Giacobbe continua a mettere in atto dei piani di sua invenzione. «Giacobbe alzò gli occhi, guardò, ed ecco Esaù che veniva avendo seco quattrocento uomini. Allora divise i figliuoli fra Lea, Rachele e le due serve. E mise davanti le serve e i loro figliuoli, poi Lea e i suoi figliuoli, e da ultimo Rachele e Giuseppe» (v. 1-2). I suoi timori non erano finiti; s’aspettava ancora la vendetta di Esaù ed espone per primi quelli a cui era meno affezionato. O inaudite profondità del cuore umano! Quanto è restio a confidare in Dio! Se Giacobbe si fosse realmente abbandonato a Dio, non avrebbe mai paventato la distruzione di sè e dei suoi. Ma, ahimè! sappiamo bene come il cuore stenti a riposare con semplicità, serenamente fiducioso, su un Dio onnipresente, onnipotente e infinitamente misericordioso.

Dio ci insegna qui come è vana tutta questa ansietà del cuore. «Ed Esaù gli corse incontro, l’abbracciò, gli si gettò al collo e lo baciò: e piansero». Il dono di Giacobbe non era necessario e il suo piano non era servito a nulla. Dio placò Esaù come già aveva fatto con Labano. Dio si compiace così di farci provare la viltà e l’incredulità del nostro povero cuore e di dissipare ogni nostra paura. Invece della spada di Esaù, Giacobbe incontra le braccia aperte di un fratello! Invece di dover combattere l’uno contro l’altro, essi confondono le loro lagrime.

Ecco le vie di Dio! Chi non confiderebbe in lui? Come si spiega che, nonostante le prove innumerevoli di fedeltà verso chi confida in lui, siamo, ad ogni nuova occasione, così disposti a dubitare e ad esitare? Ahimè! è perché non conosciamo abbastanza Dio. «Riconciliati dunque con Dio: avrai pace» (Giobbe 22:21). Per l’inconvertito come per il credente, tutto ciò è ugualmente vero. Conoscere Dio realmente, essergli veramente uniti, ecco la via della pace. «E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo» (Giov. 17:3).

Quanto più intimamente conosceremo Dio, tanto più solida sarà la nostra pace e noi saremo elevati al di sopra della nostra vecchia natura e ne saremo indipendenti. «Dio è una rocca»; non abbiamo che da appoggiarci su lui per sapere quanto egli sia ben disposto a sostenerci e potente per farlo.

25.5 Giacobbe si stabilisce a Succot

Dopo questa dimostrazione della bontà di Dio, vediamo Giacobbe stabilirsi a Succot e, contrariamente al principi e allo spirito della vita di pellegrino, costruisce una casa come se quello fosse stato il suo ambiente. È evidente che Succot non era il luogo che Dio gli aveva destinato. L’Eterno non gli aveva detto «io sono l’Iddio di Succot» ma «sono l’Iddio di Bethel». È quindi Bethel che Giacobbe avrebbe dovuto avere in vista come meta principale. Ma noi siamo sempre portati ad accontentarci di una posizione e di una parte inferiori a quelle che Dio, nella sua bontà, vorrebbe assegnarci!

Poi Giacobbe prosegue fino a Sichem e vi compra un appezzamento di terreno, restando sempre al di fuori dei confini che Dio gli aveva assegnati e mostrando, dal nome che dà al suo altare, lo stato morale della sua anima. Lo chiama «all’Iddio di Giacobbe»; senza dubbio abbiamo il privilegio di conoscerlo come nostro Dio, ma è più elevato poterlo conoscere come l’Iddio della sua propria casa, ritenendoci appartenenti a questa casa. Il credente ha il privilegio di conoscere Cristo come suo «Capo» ma è un privilegio più grande ancora conoscerlo come Capo del suo corpo, la Chiesa, e sapere che noi siamo le membra di questo corpo.

Al cap. 35 vedremo Giacobbe spinto a farsi di Dio un’idea assai più elevata e più gloriosa, ma qui, a Sichem, la sua condizione morale è ancora poco elevata. Egli ne soffre ed è sempre così quando non sappiamo raggiungere la posizione assegnataci da Dio. Le due tribù e mezza che si stabilirono al di qua del Giordano, furono le prime a cadere nelle mani del nemico: la stessa cosa avvenne a Giacobbe.

25.6 Guai a Sichem

Il cap. 34 ci mostra i frutti amari del soggiorno di Giacobbe a Sichem, la macchia che portò la sua famiglia nonostante gli sforzi di Simeone e Levi che avevano voluto cancellarla con la violenza e la forza della natura umana, commettendo un atto che aggiunse nuovo affanno ai dispiaceri di Giacobbe. Egli, a dire il vero, è più indignato della loro violenza che dell’insulto fatto alla figlia: «Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: voi mi date grande affanno mettendomi in cattivo odore presso gli abitanti del paese, presso i Cananei ed i Ferezei. Ed io non ho che poca gente; essi si raduneranno contro di me e mi daranno addosso, e sarò distrutto: io con la mia casa» (v. 30). Sono le conseguenze che da quella faccenda avrebbero potuto derivare per lui e per la sua famiglia, a preoccupare di più Giacobbe. Pare che sia vissuto in una costante paura di qualche pericolo per sè e per la sua famiglia, manifestando ovunque un animo inquieto, pauroso, calcolatore, incompatibile con una vita di vera fede in Dio. Non è detto che Giacobbe non fosse un credente; come sappiamo egli ha un posto nel «gran nuvolo di testimoni» (Ebrei 11); però non camminò nell’esercizio abituale di questo principio divino e, di conseguenza, fece tristi cadute. Poteva la fede fargli dire: «sarò distrutto io con la mia casa» dal momento che Dio gli aveva fatto questa promessa «io ti guarderò...; ... io non ti abbandonerò» (cap. 28:15)? La promessa divina avrebbe dovuto tranquillizzargli il cuore, ma in realtà Giacobbe era più occupato del pericolo che correva fra i Sichemiti, che non della sicurezza nella quale si trovava fra le mani dell’Iddio della promessa. Avrebbe dovuto sapere che non un capello del suo capo sarebbe stato toccato; e invece di guardare a Simeone e a Levi o alle conseguenze del loro sconsiderato agire, avrebbe dovuto giudicare se stesso e chiedersi perché si era stabilito a Sichem. Se non si fosse trovato là, Dina non sarebbe stata disonorata e la violenza dei suoi figli non si sarebbe manifestata. Quanti cristiani vediamo immersi nei dispiaceri e negli affanni a causa della loro infedeltà, e li udiamo accusare le circostanze invece di giudicare se stessi! Un gran numero di genitori cristiani gemono e sono angosciati nel vedere la turbolenza, l’insubordinazione e la mondanità dei loro figli; ma il più delle volte non hanno che da biasimare se stessi, perché non hanno camminato fedelmente davanti a Dio riguardo alla loro famiglia. Giacobbe non avrebbe dovuto stabilirsi a Sichem e, dal momento che non possedeva una sensibilità delicata che gli facesse scoprire quell’errata posizione, Dio, nella sua fedeltà, si serve delle circostanze per castigarlo.

«Non v’ingannate; non si può beffarsi di Dio; poiché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà» (Gal. 6:7). Questo è un principio che ha rapporto col governo morale di Dio, e alla cui applicazione nessuno può sfuggire; per il credente è una vera grazia l’essere chiamato a mietere i frutti dei propri errori. È una grazia essere spinti a provare, in un modo o nell’altro, quanto sia amaro allontanarsi o mantenersi a una certa distanza dall’Iddio vivente. Dobbiamo imparare che questo non è il luogo del nostro riposo, perché Dio non vuole darci un riposo contaminato. Sia benedetto il suo nome! Il desiderio di Dio è che dimoriamo in lui e con lui. Questa è la perfezione della sua grazia. Una falsa umiltà, frutto dell’incredulità, induce chi s’è sviato, o è rimasto indietro, a prendere una posizione inferiore a quella che Dio gli ha asseguata, perché non conosce il principio in base al quale Dio ristora chi è caduto, né in qual misura egli lo fa. Il figliuol prodigo chiede di diventare servo, non sapendo di non avere diritto né alla posizione di servo né a quella di figlio, e che sarebbe indegno per il carattere del padre porlo in una tale posizione. Bisogna andare a Dio su un principio e in modo degno di lui, oppure restarne lontani del tutto.

Pedro

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