CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:24
 
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27. Capitolo 36: La discendenza di Esaù

Questo capitolo contiene la genealogia dei figli di Esaù, con i nomi e il luogo della loro abitazione. Non ci soffermeremo, ma passeremo subito a una delle più ricche e interessanti parti della Scrittura.

28. Capitolo 37: Giuseppe e i suoi fratelli

28.1 Una figura di Cristo

Non conosco una figura di Cristo più bella e più perfetta di quella di Giuseppe, sia che lo consideriamo come l’oggetto dell’amore del padre, dell’odio dei «suoi», o nella sua umiliazione, nella sofferenza e nella morte, o nella sua esaltazione e nella gloria.

Conosciamo, dal capitolo 37, i sogni di Giuseppe che risvegliarono l’odio dei suoi fratelli. Giuseppe era l’oggetto dell’amore del padre, era chiamato a un destino glorioso, e poiché il cuore dei fratelli non era in comunione con quello del padre ed era estraneo a tutto ciò che attendeva Giuseppe, essi lo odiavano. Non condividevano l’amore del padre per Giuseppe e non volevano sottomettersi al pensiero che egli dovesse essere innalzato. In questo, i fratelli di Giuseppe rappresentano i Giudei ai giorni di Cristo. «È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto» (Giov. 1:11); «Non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza, da farcelo desiderare» (Isaia 53:2). Non vollero riconoscerlo né come figlio di Dio né come re di Israele. I loro occhi non erano aperti per contemplare «la sua gloria, gloria come quella dell’Unigenito venuto d’appresso al Padre» (Giov. 1:14). Non l’hanno voluto; non solo: l’hanno odiato!

Ma Giuseppe, sebbene non fosse ricevuto dai suoi fratelli, rimane fermo nella propria testimonianza. «Or Giuseppe ebbe, un sogno, e lo raccontò ai suoi fratelli; e questi l’odiarono più che mai... ebbe ancora un altro sogno e lo raccontò ai suoi fratelli». Non faceva altro che rendere una semplice testimonianza, basata su una rivelazione divina, ma che lo avrebbe fatto scendere nella cisterna. Se avesse taciuto, se avesse lasciato smussarsi il filo tagliente e la potenza della sua testimonianza, sarebbe stato risparmiato, senza dubbio: ma egli dice ai suoi fratelli tutta la verità e perciò l’odiarono!

La stessa cosa avvenne al grande «antitipo» di Giuseppe. Cristo testimoniò della verità (Giov. 18:37): fece «la bella confessione» (1 Tim. 6:13); non nascose nulla della verità e la manifestò nel suo parlare, perché egli stesso era la verità; e l’uomo rispose alla sua testimonianza con la croce, la spugna imbevuta d’aceto e la lancia del soldato. La testimonianza di Cristo era connessa alla gloria più piena, più ricca, più perfetta. Venne non solo come «la verità» ma anche come l’espressione perfetta di tutto l’amore del cuore del Padre. «La grazia e la verità son venute per mezzo di Gesù Cristo» (Giov. 1:17). Egli era la rivelazione perfetta, all’uomo, di ciò che Dio era. Per questo l’uomo è senza scusa (Giov. 15:22-25).

Egli venne a manifestare Dio all’uomo; e l’uomo odiò Dio di un odio perfetto. Vediamo questo alla croce; e la fossa in cui Giuseppe è stato gettato dai suoi fratelli ce ne dà già una commovente immagine.

«Essi lo scorsero da lontano; e prima ch’egli fosse loro vicino, macchinarono d’ucciderlo. E dissero l’uno all’altro: ecco cotesto sognatore che viene! Ora dunque venite, uccidiamolo, e gettiamolo in una di queste cisterne; diremo poi che una mala bestia l’ha divorato, e vedremo che ne sarà de’ suoi sogni» (37:18-20).

Queste parole ci ricordano in modo commovente la parabola dei vignaiuoli del cap. 21 dell’Evangelo secondo Matteo. «Finalmente mandò loro il suo figliuolo, dicendo: avranno rispetto al mio figliuolo. Ma i lavoratori, veduto il figliuolo dissero tra di loro: costui è l’erede, venite, uccidiamolo, e facciam nostra la sua eredità. E presolo, lo cacciarono fuori della vigna, e l’uccisero». Dio mandò il suo figliuolo nel mondo dicendo: «Avranno rispetto al mio figliuolo», ma, ahimè! il cuore dell’uomo non ebbe alcun rispetto per il «diletto» del Padre. Lo gettarono fuori! La terra e il cielo erano, e sono tuttora, divisi e opposti a causa di Cristo; l’uomo l’ha crocifisso, ma Dio l’ha risuscitato dai morti; l’uomo l’ha posto su una croce fra due ladroni, Dio l’ha fatto sedere alla propria destra nei cieli; l’uomo gli ha assegnato l’ultimo posto sulla terra, Dio gli ha offerto la posizione più elevata nei cieli e l’ha rivestito della più splendida maestà.

28.2 Le sofferenze e la gloria

Troviamo tutto questo nella storia di Giuseppe. «Giuseppe è un ramo d’albero fruttifero; un ramo d’albero fruttifero vicino a una sorgente; i suoi rami si stendono sopra il muro. Gli arcieri l’hanno provocato, gli han lanciato dei dardi, l’hanno perseguitato, ma l’arco suo è rimasto saldo; le sue braccia e le sue mani sono state rinforzate dalle mani del potente di Giacobbe, da colui che è il pastore e la roccia d’Israele, dall’Iddio di tuo padre che t’aiuterà, e dall’Altissimo che ti benedirà con benedizioni del cielo di sopra, con benedizioni dell’abisso che giace di sotto, con benedizioni delle mammelle e del seno materno. Le benedizioni di tuo padre sorpassano le benedizioni dei miei progenitori, fino a raggiunger la cima delle colline eterne. Esse saranno sul capo di Giuseppe, sulla fronte del principe dei suoi fratelli» (49:22-26).

Questi versetti dipingono in modo ammirevole il quadro «delle sofferenze di Cristo, e delle glorie che dovevano seguire» (1 Pietro 1:11). «Gli arcieri» hanno agito contro di lui, ma Dio è stato più forte di loro. Hanno tirato contro il vero Giuseppe e l’hanno gravemente ferito nella casa dei suoi amici, ma «le sue braccia e le sue mani sono state rinforzate» nella potenza della risurrezione; ora la fede lo riconosce come il fondamento su cui poggiano tutti i disegni di Dio per la benedizione e la gloria della Chiesa, di Israele, e dell’intera creazione. Se consideriamo Giuseppe nella cisterna e in prigione, poi come vicerè d’Egitto, vediamo la differenza che c’è tra i pensieri di Dio e quelli degli uomini; la stessa differenza la constatiamo quando guardiamo la «croce» e poi il «trono della Maestà nei cieli».

È stata la venuta di Cristo a mettere a nudo ciò che l’uomo realmente provava per Dio. «S’io non fossi venuto e non avessi loro parlato non avrebbero colpa» (Giov. 15:22). Non che gli uomini non sarebbero stati peccatori ma «non avrebbero avuto colpa». È detto pure, in un altro passo, «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato» (Giov. 9:41). Dio, nella persona del Figlio, è venuto vicinissimo all’uomo, per cui questi ha potuto dire: «Ecco l’erede», ed ha aggiunto: «Venite, uccidiamolo». Per questo «non hanno scusa del loro peccato» (Giov. 15:22). Chi dice di vedere, non ha scusa. La gravità consiste non nell’essere ciechi, se si confessa di esserlo, ma nel fare professione di vedere. In un tempo di professione esteriore come il nostro, questo principio è ancor più serio.

Gli occhi di chi sa di essere cieco possono essere aperti da Gesù; ma che fare a colui che crede di vedere, e in realtà non vede?

29. Capitolo 38: Giuda e sua famiglia

Questo capitolo ci mostra una di quelle notevoli circostanze nelle quali la grazia di Dio trionfa gloriosamente sul peccato dell’uomo.

«È ben noto che il nostro Signore è sorto dalla tribù di Giuda» (Ebrei 7:14). In che modo? «Giuda generò Fares e Zara da Tamar» (Matteo 1:3).

Questo fatto merita tutta l’attenzione dei nostri cuori. Nella sua infinita grazia, Dio si eleva al di sopra del peccato e della follia dell’uomo, per compiere i disegni del suo amore e della sua misericordia. Così, poco dopo, in questo stesso Evangelo, leggiamo «Davide generò Salomone da quella ch’era stata moglie d’Uria». È degno di Dio agire così. Lo Spirito ci fa seguire la genealogia di Cristo secondo la carne e mette in questo elenco i nomi di Tamar e Bath-Sheba! È evidente che là non v’è nulla di umano. Alla fine di questo capitolo di Matteo arriviamo a Dio manifestato in carne, rivelato come tale dalla penna dello Spirito Santo. L’uomo non avrebbe mai potuto inventare una simile genealogia. Da un punto all’altro essa è divina e nessun uomo spirituale può leggerla senza trovare, nel suo contesto, una manifestazione della grazia di Dio e della divina ispirazione di quest’Evangelo (confr. 2 Samuele 11 e Genesi 38 con Matteo 1).

Pedro

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