CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 19:46
 
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 4.2 Adamo e Cristo, due capostipiti della razza

È importantissimo comprendere la dottrina dei due capostipiti della razza. Se il lettore vuoi soffermarsi un momento su Rom. 5:12-21 vedrà che l’apostolo ispirato considera l’intera razza umana sotto due capi. Non intendo fermarmi su quel passo, ma soltanto riferirmi ad esso a proposito dell’argomento in corso. Il cap. 15 della 1 epist. ai Corinzi ci presenta delle istruzioni analoghe nei versetti 44 e seguenti. Nel primo uomo abbiamo davanti a noi il peccato, la disubbidienza e la morte; nel secondo uomo abbiamo la giustizia, l’obbedienza e la vita. Come ereditiamo per nascita la natura del primo, così ereditiamo con la nuova nascita la natura del secondo. Senza dubbio, ognuna di queste nature spiegherà e manifesterà, in ogni individuo e in ogni caso particolare, le forze e le facoltà che le sono proprie; tuttavia vi è il vero possesso d’una natura reale e positiva. Ora, come per nascita secondo la carne ereditiamo la natura del primo uomo, nello stesso modo, con la nuova nascita, ereditiamo la natura del secondo uomo. Il neonato, benché incapace di compiere l’atto che ridusse Adamo allo stato di creatura scaduta, non è per questo meno partecipe della natura d’Adamo; ne è lo stesso dell’uomo nato da Dio. L’anima rigenerata, benché del tutto estranea all’adempimento della perfetta opera d’obbedienza dell’«Uomo Cristo Gesù», non è per questo meno partecipe della sua natura. Senza dubbio, il peccato del primo uomo non si è fermato su Adamo solo, ma è passato a tutta la sua progenie; così la giustizia non si è fermata sul secondo uomo, ma è abbondata sopra molti. Comunque, vi è una partecipazione vera e attuale a una natura reale qualunque ne siano i caratteri. La prima natura è secondo la volontà dell’uomo (Giov. 1:13); la seconda natura è secondo la volontà di Dio come Giacomo pure ci dice: «Egli ci ha, di sua volontà, generati mediante la parola di verità» (epist. Giacomo 1:18).

4.3 Due sacrifici

Risulta, da tutto ciò che abbiamo detto, che per natura e per le circostanze nelle quali viveva, Abele non era diverso da suo fratello Caino: a questo riguardo, «non v’è distinzione» (Rom. 3:22): eppure differivano l’uno dall’altro e questa differenza consisteva soltanto nei loro sacrifici. Ciò rende molto semplice l’insegnamento che Iddio vuol far trovare qui per ogni peccatore convinto di peccato e per chiunque sente realmente che non soltanto partecipa alla natura scaduta del primo uomo, ma che egli stesso è peccatore. La storia di Abele ci insegna infatti per quale via un peccatore può avvicinarsi a Dio, e su quale fondamento può stare nella sua presenza e aver comunione con Lui; ci insegna chiaramente che ciò non può avvenire che al di fuori di se stesso; è nella persona e nell’opera di un altro che egli deve cercare il vero ed eterno fondamento della sua relazione col giusto, santo e solo vero Dio. Il cap. 11 dell’epistola agli Ebrei sviluppa questo soggetto nel modo più chiaro possibile. «Per fede Abele offerse a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino; per mezzo di esso, gli fu resa testimonianza ch’egli era giusto, quando Dio attestò di gradire le sue offerte; e per mezzo d’esso, benché morto, egli parla ancora». Non è di Abele che si tratta qui, ma del suo sacrificio; non è della persona che apportava l’offerta, ma dell’offerta stessa; ed è riguardo all’offerta che vi è una grande differenza fra Caino e Abele. Il mio lettore non potrà essere mai troppo penetrato dell’importanza di questo punto, poiché tutta la verità che concerne la posizione di un peccatore davanti a Dio è qui racchiusa.

4.4 Il sacrificio di Caino

Vediamo quali erano le offerte: «E avvenne di lì a qualche tempo, che Caino fece una offerta di frutti della terra all’Eterno; e Abele offerse anch’egli dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso. E l’Eterno guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non guardò con favore Caino e l’offerta sua» (Gen. 4:3-5). Caino offerse all’Eterno i frutti di una terra maledetta, e li offerse senza effusione di sangue per togliere la maledizione; offerse un «sacrificio incruento» perché non aveva la fede. Se avesse avuto la fede, questo principio divino gli avrebbe insegnato, anche in quei primi giorni della storia dell’uomo decaduto, che «senza spargimento di sangue non c’è remissione» (Ebrei 9:22). È questa una verità di somma importanza. «Il salario del peccato è la morte». Caino era peccatore, e come tale la morte lo separava da Dio. Ma nella sua offerta, Caino non ne tiene alcun conto; non offre il sacrificio di una vita per soddisfare alle esigenze della santità divina e rispondere alla sua condizione di peccatore. Agisce verso Dio come se Dio fosse simile a lui e come se Dio potesse accettare il frutto contaminato di una terra maledetta. Il sacrificio «non cruento» di Caino implica tutto ciò e molto di più ancora. La ragione dirà senza dubbio: «ma quale sacrificio più accettevole potrebbe offrire l’uomo di quello acquistato col proprio lavoro e col sudore della propria fronte?». Infatti la ragione e anche lo spirito religioso dell’uomo naturale possono pensare così; ma Dio la pensa diversamente, e la fede si accorda sempre con i pensieri di Dio. Dio insegna, e la fede lo crede, che è necessario il sacrificio di una vita perché l’uomo possa avvicinarsi a Dio. Così, quando consideriamo il ministerio del Signore Gesù, ben presto vediamo che se egli non fosse morto sulla croce, tutto il suo servizio sarebbe stato inutile per stabilire le nostre relazioni con Dio. Gesù è andato di luogo in luogo facendo del bene durante tutta la sua vita, questo è vero; ma solo la sua morte poteva strappare la cortina (Matteo 27:51) e nessun’altra cosa avrebbe potuto farlo. Se Gesù avesse continuato ad andare di luogo in luogo facendo il bene fino ad oggi, la cortina sarebbe rimasta intatta per precludere all’adoratore l’accesso al «luogo santissimo», cioè alla presenza immediata di Dio.

Vediamo in tal modo come era falso il fondamento sul quale Caino si presentava davanti a Dio come adoratore e sacerdote: un peccatore non perdonato che si presenta davanti all’Eterno per porgergli un sacrificio «non cruento» non poteva essere considerato che come un peccatore colpevole d’una presunzione inconcepibile. Senza dubbio, la sua offerta era il frutto del suo penoso lavoro; ma che importa? Il lavoro di un peccatore poteva forse togliere la maledizione del peccato e farne sparire la contaminazione? Poteva soddisfare alle esigenze di un Dio infinitamente santo? Poteva fornire al peccatore quello che gli era necessario per essere ricevuto da Dio? Poteva annullare il castigo dovuto al peccato? Poteva togliere alla morte il suo dardo e al sepolcro la sua vittoria? Poteva forse fare questo del tutto o anche in parte? — No, poiché «senza spargimento di sangue, non vi è remissione di peccato». Il sacrificio non cruento di Caino, come qualsiasi sacrificio non cruento, era non solo senza valore, ma addirittura abominevole agli occhi di Dio; dimostrava inoltre l’ignoranza completa di Caino riguardo al carattere di Dio. «Dio non è servito da mani d’uomini, come se avesse bisogno di alcuna cosa» (Atti 17:25). Caino pensava che ci si potesse avvicinare a Dio in questa maniera; ed ogni uomo che non ha altro che una religione umana, pensa lo stesso. Di secolo in secolo Caino ha avuto delle migliaia di discepoli. Il culto di Caino è sempre abbondato nel mondo: è il culto di ogni anima inconvertita; è il culto che mantengono tutti i falsi sistemi di religione che esistono sotto il sole.

L’uomo sarebbe felice di fare di Dio il proprio debitore, ma Dio vuole misericordia e non sacrificio, «poiché, più felice cosa è il dare che il ricevere» (Atti 20:35) e per certo, il primo posto in questo, come in tutto, appartiene a Dio, e, «senza contraddizione, l’inferiore è benedetto dal superiore» (Ebrei 7:7). «Chi gli ha dato per primo?» (Romani 11:35). Iddio accetta la più piccola offerta d’un cuore che ha imparato a dire come Davide: «tutto viene da Te e noi t’abbiam dato quello che dalla tua mano abbiamo ricevuto» (1 Cronache 29:14). Ma dal momento che l’uomo ha la pretesa di essere «primo donatore», Dio risponde: «Se avessi fame, non te lo direi» (Salmo 50:12) poiché «Dio non è servito dalle mani degli uomini, come se avesse bisogno di qualche cosa, Egli che dà a tutti la vita, il fiato ed ogni cosa» (Atti 17:25). Il gran Donatore di «ogni cosa» non può e «aver bisogno d’alcuna cosa». La lode è tutto quello che possiamo offrire a Dio, e non possiamo offrirgliela se non in rapporto a quanto comprendiamo che i nostri peccati sono stati cancellati; e questo ancora lo sappiamo solo per la fede nella virtù d’una espiazione compiuta.

4.5 Il sacrificio di Abele

Dal sacrificio di Caino passiamo ora a quello di Abele. «E Abele offerse anch’egli dei primogeniti del suo gregge e dei loro grasso» (vers. 4). In altri termini, egli afferrò, per fede, la gloriosa verità che l’uomo può avvicinarsi a Dio per mezzo d’un sacrificio, che il peccatore può porre la morte di un altro fra se stesso e le conseguenze del suo peccato: che può soddisfare alle esigenze della natura di Dio e agli attributi del suo carattere, per mezzo del sangue d’una vittima senza macchia, d’una vittima offerta per rispondere sia a quello che Dio domanda, sia ai profondi bisogni del peccatore. Questa è, in riassunto, la dottrina della croce. Ogni uomo divinamente convinto di peccato, sente che la morte e il giudizio sono la giusta ricompensa dei suoi misfatti (ved. Luca 23:41) e che non è in suo potere, qualunque cosa faccia, di cambiare questo destino. Può lavorare ed affaticarsi; può, col sudore della sua fronte, procurarsi una offerta; può fare voti e prendere buone risoluzioni, cambiare il suo modo di vivere, riformare il suo carattere; può essere morale, retto e, secondo il significato umano della parola, religioso; può, senza aver la fede, pregare, leggere la Parola di Dio o udire sermoni; fare tutto ciò che rientra nel dominio della capacità dell’uomo e, malgrado ciò, non aver davanti a sè che la morte e il giudizio, senza alcuna capacità per dileguare le dense nubi che oscurano il suo orizzonte. Esse sono là, e lungi dal poterle allontanare per mezzo delle sue opere, vive nell’anticipazione continua del momento in cui la tempesta scoppierà sul suo capo colpevole.

È impossibile che un peccatore si trasporti dall’altro lato della «morte e del giudizio», nella vita e nella gloria per mezzo delle sue proprie opere; opere ch’egli compie in vista di prepararsi, se possibile ad incontrare queste spaventevoli realtà che gli stanno davanti. Ma è proprio quando il peccatore è giunto a questo punto, che gli è presentata la croce: essa gli fa vedere che Dio ha provveduto a tutto quello che necessitava alla sua colpevolezza e alla sua miseria. Alla croce, il peccatore può vedere la morte e il giudizio cedere il posto alla vita e alla gloria. Cristo ha fatto sparire dalla scena la morte e il giudizio, per quello che concerne il vero credente e ha sostituito ad essi, la vita, la giustizia e la gloria. «Egli ha distrutto la morte ed ha prodotto in luce, la vita e l’immortalità mediante l’evangelo» (2 Tim. 1:10). Egli ha glorificato Dio togliendo quello che ci avrebbe tenuto per sempre lontani dalla sua santa e beata presenza: «Ha annullato il peccato col suo sacrificio» (Ebrei 9:26).

Tutto ciò è rappresentato in figura dal «più eccellente sacrificio» di Abele. Abele non tenta di annullare la verità della sua posizione di peccatore, non cerca di spostare la spada fiammeggiante e di forzare la via all’albero della vita; non presenta presuntuosamente un sacrificio «non cruento» e nemmeno presenta all’Eterno i frutti d’una terra maledetta; prende il posto che si addice ad un peccatore e, come tale, pone la morte d’una vittima fra sè e i propri peccati e fra i suoi peccati e la santità di un Dio che odia il peccato. Abele meritava la morte e il giudizio, ma trova un sostituto.

È lo stesso per un povero peccatore accusato e condannato dalla propria coscienza. Cristo è il suo sostituto, il suo riscatto, il suo «più eccellente sacrificio», il suo «tutto». Come Abele, sente che il frutto della terra non potrà mai essergli di alcun profitto; sente che, se anche presentasse a Dio i più bei frutti della terra, la sua coscienza rimarrebbe sempre contaminata dal peccato, visto che «senza spargimento di sangue, non v’è remissione di peccato». È solo il perfetto sacrificio del Figlio di Dio che può mettere il cuore e la coscienza a loro agio, e tutti quelli che per la fede afferrano questa divina realtà, godranno d’una pace che il mondo non può né dare né togliere. È la fede che fin d’ora mette l’anima in possesso di questa pace.

Pedro

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