CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro della GENESI

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 20:27
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19/04/2011 20:26
 
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30.4 Restaurazione dei fratelli di Giuseppe

Esaminiamo ora il colloquio intercorso tra Giuseppe ed i suoi fratelli. Esso rassomiglia in più punti alla storia di Israele negli ultimi giorni. Durante il periodo in cui Giuseppe fu nascosto ai fratelli, questi furono chiamati ad attraversare una prova grande e profonda e a passare per esercizi di coscienza assai dolorosi. In uno di questi momenti di tristezza aprirono il loro cuore, dicendo: «Sì, noi fummo colpevoli verso il nostro fratello, giacché vedemmo l’angoscia dell’anima sua quando egli ci supplicava e noi non gli demmo ascolto! Ecco perché ci viene addosso quest’angoscia. E Ruben rispose loro dicendo: non ve lo dicevo io: non commettete questo peccato contro il fanciullo? Ma voi non mi voleste dare ascolto. Perciò, ecco che il suo sangue ci è ridomandato» (cap. 42:21-22). Poi, al cap. 44: «Giuda rispose: che diremo al mio signore? Quali parole useremo? O come ci giustificheremo? Dio ha ritrovato l’iniquità dei suoi servitori».

Nessuno può insegnare come Dio. Nessuno può produrre nell’anima il sentimento reale del peccato e la coscienza del proprio stato davanti a Dio. L’uomo prosegue, incurante, la sua professione di peccato finché i dardi dell’Onnipotente gli trafiggono la coscienza; allora deve passare per questi dolorosi esercizi di cuore e di coscienza che non possono trovare conforto se non nelle immense ricchezze dell’amore redentore. I fratelli di Giuseppe non avevano la minima idea di ciò che sarebbe derivato per loro dalla loro condotta verso di lui: «Lo presero e lo gettarono nella cisterna... poi si misero a sedere per prender cibo». «Guai a quelli che... bevono il vino in larghe coppe e s’ungono con gli oli più squisiti, ma non s’addolorano per la ruina di Giuseppe» (Amos 6:6).

Tuttavia, mediante vie meravigliose Dio tocca il cuore dei fratelli di Giuseppe ed esercita la loro coscienza. Erano trascorsi molti anni e i fratelli di Giuseppe avevano potuto illudersi che tutto sarebbe andato bene; ma i «sette anni di abbondanza e i sette anni di carestia» sopraggiungono, e cosa reppresentano? Da dove provengono? A cosa devono servire? Meravigliosa provvidenza! Saggezza incomprensibile di Dio! La fame si fa sentire nel paese di Canaan, e i bisogni della fame spingono quei fratelli colpevoli ai piedi di colui che hanno oltraggiato! Come si mostra dappertutto la mano di Dio! La spada della convinzione ha trafitto la loro coscienza, ed essi si ritrovano in presenza dell’uomo che, «con mani inique» avevano gettato nella cisterna. La loro iniquità li ha ritrovati, ma in presenza di Giuseppe. Che beata posizione!

«Allora Giuseppe non potè più contenersi dinanzi a tutti gli astanti, e gridò: fate uscir tutti dalla mia presenza! E nessuno rimase con Giuseppe quand’egli si die’ a conoscere ai suoi fratelli» (cap. 45:1). A nessun estraneo è concesso di essere testimone di questa sacra scena; quale estraneo, infatti, avrebbe potuto comprenderla o apprezzarla? Ci è dato di vedere qui la vera e divina convinzione di peccato alla presenza della grazia di Dio; quando questa convinzione e questa grazia si incontrano, ogni questione è rapidamente risolta.

«E Giuseppe disse ai suoi fratelli: Deh, avvicinatevi a me! Quelli s’avvicinarono, ed egli disse: io son Giuseppe vostro fratello, che voi vendeste perché fosse menato in Egitto. Ma ora non vi contristate, né vi dolga d’avermi venduto perch’io fossi menato qua; poiché Iddio m’ha mandato innanzi a voi per conservarvi in vita. ... Dio mi ha mandato dinanzi a voi perché sia conservato di voi un resto sulla terra e per salvarvi la vita con una grande liberazione. Non siete dunque voi che m’avete mandato qua, ma è Dio». È proprio la grazia che pone la coscienza convinta di peccato in un perfetto riposo. I fratelli di Giuseppe si erano già giudicati ed egli non ha che da spandere il balsamo sui loro cuori contriti.

Tutto questo è una preziosa figura del modo con cui Iddio agirà riguardo a Israele negli ultimi giorni, allorché essi «riguarderanno a colui ch’essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio». Sperimenteranno allora la realtà della grazia divina e l’efficacia di quella «fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, per il peccato e per l’impurità» (Zacc. 12:10 e 13:1).

Nel cap. 3, vers. 13-15, degli Atti, vediamo lo Spirito Santo che cerca di produrre, per mezzo della voce di Pietro, questa convinzione divina nella coscienza dei Giudei: «L’Iddio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, l’Iddio de’ nostri padri ha glorificato il suo Servitore Gesù, che voi metteste in man di Pilato e rinnegaste dinanzi a lui, mentre egli aveva giudicato di doverlo liberare. Ma voi rinnegaste il Santo ed il Giusto, e chiedeste che vi fosse concesso un omicida; e uccideste il Principe della vita, che Dio ha risuscitato dai morti; del che noi siamo testimoni». Queste parole avevano lo scopo di far uscire dal cuore e dalla bocca degli uditori la confessione dei fratelli di Giuseppe: «Sì, noi fummo colpevoli!». Poi viene la grazia; «Ed ora, fratelli, io so che lo faceste per ignoranza, al pari dei vostri rettori, Ma quello che Dio aveva preannunziato per bocca di tutti i profeti, cioè che il suo Cristo soffrirebbe, egli l’ha adempiuto in questa maniera. Ravvedetevi dunque e convertitevi onde i vostri peccati siano cancellati, affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di refrigerio» (vers. 17-20). Sebbene i Giudei abbiano dato libero corso all’inimicizia dei loro cuori facendo morire Gesù, come avevano fatto i fratelli di Giuseppe verso di lui, la grazia di Dio appare a ciascuno di loro nella dimostrazione che tutto è stato decretato e predetto da Dio per la loro benedizione. È la grazia perfetta: grazia che supera ogni nostro pensiero; ma, per gioirne, bisogna che la verità di Dio abbia prodotto nella coscienza una reale convinzione di peccato. Chi poteva dire «Sì, noi fummo colpevoli!», poteva anche capire le parole della grazia «Non siete dunque voi... ma è Dio». Bisogna che sia sempre così: l’anima che ha giudicato se stessa è in grado di apprendere e di apprezzare il divino perdono.

Pedro

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