CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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BREVE STORIA DELLE ERESIE

Ultimo Aggiornamento: 29/01/2011 19:29
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di Leon Cristianì
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CAPITOLO I. LE ERESIE DALLE ORIGINI AL IV SECOLO

 

Perché le eresie.

In quella preghiera sublime, che gli esegeti la sua preghiera sacerdotale, Cristo ha chiesto al Padre, con una specie di angoscia, che i suoi discepoli conservino per sempre l'unità:"Padre santo", diceva, "custodisci nel nome tuo quelli che mi hai affidati, acciocché siano una cosa sola come noi... Né soltanto per questi prego; ma prego ma anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola che siano tutti una sola cosa come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch'essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Giov. 17, 11. 20-24).Egli conosceva quindi il valore e insieme la difficoltà dell'unità. Questa sarebbe stata la caratteristica principale della vera Chiesa. Ma vi sarebbero state divisioni, rotture, divergenze di opinione, in una parola eresie. E' infatti questo il significato di tale termine, derivato dal greco, passato nel latino e che, poco conosciuto nella lingua classica, doveva essere tanto spesso usato in quella dei Padri della Chiesa.Donde provengono dunque le eresie? Dalla diversità degli animi, dei caratteri, dei temperamenti, e in definitiva dal fatto della libertà umana. La fede nella parola di Dio è libera. Dio non forza nessuno. Ma è inevitabile che la fede esiga da parte dell'uomo uno sforzo di sottomissione e di obbedienza. Questa obbedienza è una scelta. E il compito dell'eresia è di mettere in rilievo tale scelta. Perciò S. Paolo ha potuto dire: "E' necessario che ci siano anche delle eresie, affinché tra voi si possa conoscere quelli di virtù provata" (1 Cor. 11, 19).E Tertulliano, 150 anni più tardi, scriveva: "La condizione del nostro tempo ci costringe ad avvertire che non ci si deve stupire, a proposito delle eresie, né della loro esistenza che è stata predetta, né dal fatto che esse guastino la fede in parecchi, poiché hanno come ragion d'essere quella di provare la fede con il tentarla".Se si cerca di considerare questa legge della prova necessaria della fede, si costata che essa fa parte delle leggi essenziali che reggono gli spiriti. Gli angeli erano stati sottoposti ad una prova, di cui non conosciamo le modalità, ma di cui costatiamo il fatto nell'esistenza dei demoni. Erano angeli come gli altri. Soccombettero alla prova. Anche gli uomini, a loro volta, devono essere " tentati ", cioè " provati ". Si possono distinguere nel fatto dell'eresia tre aspetti diversi: l'aspetto filosofico, l'aspetto paradossale e l'aspetto positivo. Dal punto di vista filosofico, l'eresia nasce dal conflitto o dal contrasto tra la verità rivelata e i vari sistemi filosofici già radicati nelle menti sulle quali cade tale rivelazione. La fede infatti non cade mai su menti perfettamente preparate a riceverlo. Cristo aveva scelto degli apostoli senza istruzione. Ma quegli apostoli stessi avevano le loro idee, le loro tradizioni, le loro concezioni del regno messianico. Gli scribi e i farisei, da parte loro, si ritenevano molto più illuminati degli umili pescatori del lago di Galilea. In tutti la fede incontrava ostacoli, in tutti aveva pregiudizi da superare. E passando dai giudei ai pagani, i conflitti di carattere filosofico tra la fede e i sistemi in voga saranno ancora più aspri. E così sarà alla fine dei tempi. Tra le filosofie umane e la verità rivelata non è stato sempre facile l'accordo. I pensatori cristiani dovranno sempre compiere un immenso lavoro di adattamento tra la ragione e la fede.Da questo aspetto filosofico delle eresie si passa inevitabilmente al loro aspetto paradossale. Intendiamo dire con ciò che la verità rivelata, per il fatto stesso della sua origine divina, non può fare a meno di presentare alla ragione ombre che essa non riuscirà a penetrare. E' quanto esprimiamo dicendo che la fede comporta dei misteri. Riflettendovi, si comprende come una religione senza misteri non possa essere una religione divina. Di fronte alla fede venuta da Dio, bisogna che la ragione confessi la propria impotenza. Ed è appunto questo che dà all'eresia il suo aspetto paradossale. Essa fa apparire la realtà antinomica e paradossale del mistero della fede.Infine, nell'eresia va considerato ancora il suo aspetto positivo. Non tutto è falso infatti nell'eresia. Essa contiene sempre una intuizione giusta, ma che si trova falsata dall'interferenza di un sistema filosofico che è in contraddizione con la fede, o dal rifiuto esplicito o implicito del mistero della fede. In ogni eresia appare dunque una ribellione contro la verità rivelata, ed è qui che si manifesta il senso profondamente anticristiano di ogni eresia.Questo modo di intendere l'eresia è tradizionale nella Chiesa. Ma si è sempre insistito anche sul bene che può derivare da quel gran male che essa è; ciascuna eresia è stata l'occasione di un progresso nell'intelligenza della fede e di un rafforzamento dell'unità in seno alla Chiesa. 

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ERESIA DEI GIUDAIZZANTI
La più antica eresia conosciuta nella storia della Chiesa fu quella dei giudaizzanti. Fu l'errore ostinato di coloro che, fin dal principio, si opposero all'allargamento dei quadri della Chiesa perché vi potessero entrare m massa i pagani. Il dogma respinto da questi eretici era quello della cattolicità della Chiesa. Gesù aveva detto: " Andate, insegnate a tutte le genti ". I giudaizzanti esigevano il mantenimento della legge di Mosé e di tutte le sue prescrizioni. Dopo una sorda opposizione manifestata soprattutto contro le sante audacie di S. Paolo, l'apostolo dei gentili, i giudeo-cristiani formarono delle sette separate, la principale delle quali si chiamò Chiesa dei poveri - gli ebioniti o poveri Si è tentato talvolta di ricollegarli agli Esseni che i manoscritti del Mar Morto ci hanno recentemente fatto meglio conoscere. Gli ebioniti pare siano sopravvissuti fino al V secolo, e li si può paragonare alla " Piccola Chiesa " degli inizi del XIX secolo.

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LO GNOSTICISMO
All'opposto degli ebioniti, che rimanevano troppo attaccati alle loro tradizioni giudaiche, gli gnostici furono in genere dei pagani che, accettando la fede cristiana, pretendevano mischiarvi le loro concezioni personali, le loro teorie filosofiche, le loro chimere precedenti.
Il termine gnosi, derivato dal greco, significa " conoscenza " o " scienza ". Gli gnostici si consideravano pensatori originali, che non potevano piegarsi alla fede dei semplici fedeli. E vi fu, nei primi secoli della Chiesa, un vero pullulare di eresie d'ispirazione gnostica.
Sarebbe del tutto inutile riferire qui in particolare le fantasticherie di queste antiche sette. Limitiamoci quindi ad offrirne un'idea generale.
Due problemi sembrano aver attirato l'attenzione degli gnostici: il problema della creazione e il problema del male. Due problemi del resto strettamente collegati, poiché se Dio ha creato il mondo, donde proviene il male? E se non ha creato il male, come lo si può considerare unico Creatore delle cose?
Su questo tema, gli gnostici costruiranno sistemi quanto mai fantastici. A prestar loro fede, si deve distinguere accanto al regno della luce, che è quello di Dio, il regno delle tenebre, che è quello della Materia eterna. Tra il Dio-Abisso, come amavano dire, e l'organizzatore della Materia chiamato Demiurgo, vi dovrebbe essere un gran numero di gradini o esseri intermedi, che chiamavano eoni, e la maggior parte delle sette accoppiavano un Eone maschile e un Eone femminile. Il Demiurgo, o autore del nostro mondo materiale, era l'ultimo degli eoni, il più lontano dal Dio-Abisso, o un Demone che aveva rapito una scintilla della Pienezza divina - il Pleroma - onde animarne la materia.
Per gli gnostici, questa origine del mondo spiega la diversità degli spiriti umani: essi distinguono infatti gli gnostici o spirituali, cioè loro stessi, le persone istruite e nelle quali la materia e dominata dallo Spirito di Dio; i cristiani ordinari, nei quali Materia e
Spirito sono presso a poco equilibrati e i pagani o materiali (ilici), nei quali la Materia domina decisamente lo Spirito.
Applicando i loro sistemi alla fede cristiana, usavano fare di Cristo un eone inviato da Dio. Questo eone si impadronì dell'uomo Gesù al momento del suo battesimo nel Giordano. Da quel momento ebbe la missione di guidare gli uomini alla vera gnosi, che è il puro Vangelo, onde distaccarli dalla Materia. E' così che si operò, grazie a lui, la Redenzione. Quando il Vangelo avrà compiuto la sua opera sulla terra, tutte le particelle dello Spirito divino, che sono prigioniere nella Materia, rientreranno nella Pienezza di Dio – il Pleroma divino. E il regno delle tenebre resterà per sempre nelle tenebre.
In ciò che abbiamo esposto vi è un certo numero di idee che sono riapparse ai giorni nostri, sia nei teosofi sia negli spiritisti.
Fu necessaria alla Chiesa primitiva una miracolosa assistenza da parte dello Spirito Santo perché non fosse sommersa fin dal principio in queste speculazioni fantastiche e pretenziose. Lo gnosticismo le rese un servizio provvidenziale costringendo i fedeli a stringersi attorno ai loro pastori, e specialmente attorno al vescovo, rappresentante di Cristo e successore degli apostoli, in ciascuna Chiesa particolare.

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PRINCIPALI CAPI GNOSTICI
E' usanza comune far risalire lo gnosticismo a quel Simon Mago di cui si parla negli Atti e che voleva acquistare dagli Apostoli il potere di far discendere lo Spirito Santo sui fedeli, come aveva visto fare da loro. Dopo di lui, si fa il nome di un certo Cerinto, che fu combattuto dagli Apostoli e specialmente da san Giovanni evangelista.
Ma sono figure di cui conosciamo ben poco con certezza. In seguito, si svilupparono due correnti gnostiche: una in Siria, più positiva e pratica; l'altra ad Alessandria d'Egitto, più speculativa e fantastica. La prima conta solo pochi nomi conosciuti. La seconda ha invece alcuni capi di talento, i quali sono stati confutati dai Padri, ciò che ci è valso a conoscere i loro sistemi. Ricordiamo qui soltanto Valentino, Carpocrate e Marcione.
Valentino, di origine egiziana, sembra abbia predicato le sue idee a Roma, fra il 135 e il 160. Fu più volte scomunicato e cacciato dalla Chiesa. Finì per ritirarsi a Cipro e vi creò una setta abbastanza fiorente.
Con Carpocrate, è il problema morale che sembra prendere il primo posto. Fra gli gnostici, infatti, alcuni consideravano la materia come la sede di ogni male e di conseguenza pretendevano di proibire il matrimonio come cosa impura. Furono chiamati eucratiti o continenti. Al contrario, Carpocrate e i suoi discepoli assicuravano che quanto avviene nella materia è insignificante dal punto di vista dell'anima, Preludendo al quietismo da cui non sarà esente Lutero, ma che vedremo affermarsi con Molinos nel XVII secolo, egli riteneva come indifferenti tutti i disordini della sensualità. Aveva un figlio, Epifanio, che morì giovane e consumato dai vizi. Lo fece onorare come un dio nella sua setta. Carpocrate ed Epifanio, contemporanei di Valentino, sono anche un poco gli antenati del comunismo. Marcione, occupa un posto a parte nella schiera degli gnostici. Originario di Sinope, nel Ponto, venne a Roma verso il 135-140 e si fece ricevere nella Chiesa. Dieci anni più tardi, se ne staccava rumorosamente e fondava una setta perniciosa, che riuscì a tenersi a lungo in vita. La sua dottrina essenziale era ciò che
egli chiamava l'Antitesi. Egli opponeva infatti, un po' come più tardi Lutero, l'Antico Testamento, opera del Dio giusto, al Nuovo Testamento, opera del Dio buono. Parimenti Lutero inciterà in opposizione fra loro la Legge e il Vangelo, la Legge che condanna e il Vangelo che salva.

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GLI OFITI
Tra le sette gnostiche, ve ne furono alcune che resero un culto al Serpente del Paradiso terrestre, così come ai giorni nostri ve ne sono alcune che rendono un culto a Satana, Principe di questo mondo. Gli adepti di tale setta sono conosciuti sotto il nome di ofiti, o adoratori del Serpente. Essi giustificavano così il culto di Satana: secondo la Scrittura, il Serpente fu il primo a ribellarsi contro il Demiurgo, che aveva creato il mondo di miseria in cui ci troviamo, e a proporre agli esseri umani la " scienza del bene e del male ". E' interessante notare come in sette di questo genere siano stati maggiormente in onore i Libri apocrifi, i quali non sono altro che caricature dei Libri Sacri che formano la nostra Bibbia.

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IL MONTANISMO
Questo pullulare di eresie diverse, e che non possiamo enumerare completamente, testimonia il grande interesse che il messaggio cristiano sollevava nel mondo greco-romano del II secolo. Il montanismo è un'altra prova di tale interesse.
Montano era nato in un villaggio asiatico ai confini della Misia e della Frigia. Era rimasto colpito dai passi del Vangelo di san Giovanni in cui si parla dell'invio dello Spirito Santo da parte di Gesù. E la sua mente si era esaltata al punto che egli si presentava come l'organo stesso dello Spirito Santo promesso da Cristo. Un'era nuova e una nuova rivelazione dovevano - diceva - cominciare con lui. Parlava con una sicumera da demente: " Sono venuto " - diceva - " non come un angelo o un messaggero, ma come lo stesso Dio Padre ". - "Io sono il Padre, il Figlio e il Paraclito". - "Ecco, l'uomo è come una lira ed io vi scorro sopra come un archetto; l'uomo dorme, ed io veglio; ecco, è il Signore che immerge i cuori degli uomini nell'estasi e che dà un cuore agli uomini".
Egli stesso sembrava trovarsi sempre in una specie di estasi. Ben presto due donne, Prisca e Massimilla, furono conquistate alla sua dottrina ed ebbero al pari di lui delle estasi, durante le quali profetizzavano. I vescovi dei dintorni cercarono di riportarle al buon senso, per mezzo degli esorcismi canonici. Fatica inutile.
La setta allora fu scomunicata, perché tendeva a sostituire all'autorità della gerarchia cristiana l'ispirazione diretta.
I montanisti professavano in particolare il millenarismo, errore secondo il quale il Cristo trionfante avrebbe stabilito sulla terra, per mille anni, il regno predetto nell'Apocalisse. La setta, in previsione di questo avvento, predicava un grande rigorismo morale, che sedusse perfino un Tertulliano, il solo grande nome di cui abbia potuto gloriarsi il Montanismo, benché la setta abbia resistito fino all'VIII secolo, soprattutto in Oriente.

ERESIE ANTITRINITARIE
Uno dei dogmi più sublimi della religione cristiana è quello della Santissima Trinità - Un solo Dio in tre persone. Era inevitabile che desse luogo a molte speculazioni e di conseguenza a più d'un errore.
Gli apologisti del II secolo sostenevano energicamente i due termini della dottrina: unita di essenza - trinità delle persone divine. Proprio nel corso di queste esposizioni era apparso, verso l'anno 180, il termine Triade o Trinità, nello scrittore cattolico Teofilo di Antiochia.
Ma verso la stessa epoca aveva origine una gravissima eresia: l'adozianismo. Essa consisteva nello spiegare l'attributo di " Figlio di Dio" dato a Cristo con il fatto della sua adozione da parte di Dio. Vi era qui una duplice eresia: 1) si rigettava la Trinità; 2) si negava la divinità di Cristo e l'incarnazione del Verbo.
Il promotore dell'adozianismo fu un ricco conciatore di Bisanzio, di nome Toedoto, che fu condannato da papa Vittore I verso il 190. Un secondo Teodoto, che faceva il banchiere, e un certo Artemone furono i più illustri seguaci di questa eresia.
Ma un errore più grave, più sottile e più pericoloso si propagava nella stessa epoca. Ne fu iniziatore, a quanto sembra, un certo Nocto, la cui opera fu tuttavia oscurata da quella di Prassea. Il più insigne teologo di questa tendenza fu comunque, dopo il 210, Sabellio. Cosicché questa eresia viene spesso chiamata sabellianismo, o anche monarchianismo. Questo secondo nome deriva dal fatto che i sabelliani proclamavano ad alta voce: "Noi non ammettiamo che la monarchia", cioè l'unità di persona come pure l'unità di natura in Dio.
Ma allora, che significavano dunque i nomi di Padre, Figlio e Spirito Santo, usati fin dal principio nella Chiesa, e in particolare nella liturgia del battesimo? Per i sabelliani, i tre nomi non erano altro che tre aspetti, tre attributi diversi, ma niente affatto persone distinte.
E' quindi il Padre che si è incarnato nel seno della Vergine e che, alla sua nascita, ha preso il nome di Figlio, senza cessare di essere il Padre. E' il Padre, sotto il nome di Figlio, che ha predicato, ha sofferto ed è risuscitato. I cristiani ortodossi diedero per questo motivo ai sabelliani il soprannome di patripassiani - quelli che credono che il Padre abbia sofferto sulla croce per noi. Furono anche soprannominati modalisti, perché le tre persone della Trinità sono da essi ridotte a semplici modi di espressione.
In genere, i sabelliani rigettavano l'adozianismo. Tuttavia, un vescovo del III secolo, Paolo di Samosata, trovò il modo di professare simultaneamente queste due eresie e fu condannato nel concilio di Antiochia, verso il 268.

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PRINCIPALI CONFUTAZIONI
Tutte le eresie che abbiamo indicato furono oggetto di vigorose confutazioni da parte dei migliori scrittori della Chiesa. Mentre gli Apologisti si rivolgevano soprattutto ai pagani, i Padri antignostici o antisabelliani descrivevano e rigettavano energicamente gli errori che minacciavano di sommergere la Chiesa. Limitiamoci a nominare: sant'Ireneo, secondo vescovo di Lione, Tertulliano, Origene, sant'Epifanio, sant'Ippolito.
Non si potrà mai esagerare l'importanza e la fecondità per la Chiesa di queste controversie spesso ardenti. Per una religione, qualunque cosa è più vantaggiosa dell'immobilismo e dell'inerzia. Le dispute sollevate da un Valentino, un Marcione, un Prassea, un Sabellio ed altri eretici determinarono un approfondimento e un consolidamento della dottrina cristiana.
Questa dovette continuamente muoversi e progredire fra errori opposti, tanto dal punto di vista dogmatico che sul terreno morale. Non cadde né nell'encratismo, né nel lassismo quietista. E il dogma trinitario, così profondo e così misterioso, fu sostenuto e confermato con una forza decisiva. Senza dubbio, accadde che, per meglio confondere i patripassiani, si giungesse a distinguere il Figlio dal Padre al punto da dichiararlo inferiore a1 Padre e subordinato al Padre. Lo stesso grande Origene cadde un poco in questo errore, che è noto sotto il nome di subordinazianismo e che avrebbe dato origine nel secolo seguente all'arianesimo, ma fu appunto nel corso di queste ricerche teologiche che si formò una lingua nuova, la quale avrebbe permesso più tardi di confutare errori pericolosi.
Soprattutto Tertulliano è considerato come il creatore di tale lingua in Occidente. Fu lui a trovare la formula fondamentale: Tre persone in un sola sostanza. Si vedrà nel capitolo seguente l'uso che la Chiesa fece di questa preziosa formula che il suo stesso autore non aveva sempe ben compreso e applicato.

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Cap 2
CAPITOLO II. LE ERESIE DEL IV SECOLO

ARIO E LA SUA DOTTRINA
Le controversie provocate nel III secolo dagli errori antitrinitari avevano portato ad una recisa condanna dei patripassiani. Ma gli scrittori cattolici non avevano sempre saputo evitare il subordinazionismo. I papi senza dubbio non avevano mai accettato questa dottrina così poco logica. Paolo di Samosata era stato condannato dal Concilio di Antiochia verso il 268 per avere fatto di Cristo un semplice, figlio adottivo di Dio. Sembra che il prete Luciano di Antiochia abbia tuttavia conservato qualcosa di questa dottrina sotto la forma seguente: in Gesù l'anima che vivifica il corpo dell'uomo era sostituita dal Verbo, che si può chiamare Dio poiché è il primogenito di Dio, ma che è inferiore a Dio, poiché è stato creato e da lui tratto dal nulla. E' probabilmente questo Luciano di Antiochia che si deve considerare come il vero padre dell'arianesimo.
Ario era nato in Egitto verso il 256. Era prete e aveva ricevuto l'incarico di reggere una importante chiesa della metropoli di Alessandria, una delle più splendide dell'Impero romano.
Era un uomo austero, distinto, alto e magro, eloquente e abile, molto popolare nella sua parrocchia, quella di Baucalis. Era però ambizioso, pieno di sé e molto ostinato nelle proprie idee. Verso il 318 si verificò un conflitto dottrinale tra lui e il suo vescovo, Alessandro. Quest'ultimo, dopo aver tentato invano metodi di persuasione e di dolcezza, riunì, verso il 320-321 lui concilio, che contò un centinaio di vescovi dell'Egitto e della Libia. Ario vi fu condannato e dovette lasciare la parrocchia. Ma si rifugiò in Palestina e quindi in Asia, dove si procurò dei seguaci. Aveva composto una raccolta di canti popolari, intitolata Thalia, per propagare le sue idee. Ad Alessandria aveva conservato amici devoti. Si cantavano i suoi cantici contro i cattolici. Questi rispondevano energicamente, e i pagani si divertivano a quelle dispute incresciose.
Proprio in quel tempo, l'imperatore Costantino aveva sconfitto il suo rivale Licinio e ricostituito, sotto la sua autorità, l'unità dell'Impero romano. Le dispute che avevano luogo ad Alessandria, a Nicomedia, in Palestina e in Siria erano troppo scottanti per non attrarre la sua attenzione. Dietro il consiglio del vescovo Osio di Cordova, decise di riunire un concilio generale perché si pronunciasse definitivamente sulla dottrina di Ario.
Questa dottrina era la seguente: Dio è uno e eterno; il Verbo o Logos è la sua prima creatura ed è stato da lui tratto dal nulla; egli se ne è servito per creare il nostro mondo. Il Verbo è quindi superiore e anteriore a tutte le altre creature, ma non lo si può chiamare Dio se non in quanto creatore, del mondo. In realtà, non è che un Figlio adottivo di Dio. Lo Spirito Santo a sua volta è la prima creatura del Figlio e perciò stesso è a lui inferiore. Fu il Verbo che venne ad animare il corpo di Gesù nato dalla Vergine Maria. Per questo si legge in san Giovanni: " Il Verbo, si è fatto carne" e non già "si è fatto uomo". Il Verbo sostituisce, in Gesù, l'anima umana e ne tiene il posto.
Il Concilio di Nicea, riunito nel 325 ad opera dell'imperatore Costantino, adottò, sotto l'influsso del diacono Atanasio, il più insigne teologo del vescovo di Alessandria dove era sorta l'eresia di Ario, il termine consostanziale per affermare categoricamente la perfetta uguaglianza del Verbo e del Padre. Due soli vescovi rifiutarono di sottoscrivere il Simbolo di fede votato nel Concilio, e che noi chiamiamo Simbolo di Nicea.
Tutti i seguaci di Ario furono deposti e deportati.


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L'ARIANESIMO SOTTO COSTANTINO
Ma Costantino non seppe mantenere con fermezza la dottrina definita a Nicea. La sorella Costanza, più o meno guadagnata all'arianesimo, lo spinse a richiamare dall'esilio il vescovo Eusebio di Nicomedia, che acquistò la sua piena fiducia. Eusebio riuscì a fargli credere che il termine consostanziale aveva un sapore di sabellianismo e che cancellava ogni distinzione reale tra il Padre e il Figlio. Grazie a questi equivoci, Ario fu richiamato dall'esilio verso il 329-330, dopo aver emesso una confessione di fede del tutto insufficiente. L'arianesimo puro trovò il modo di rivestirsi di forme mitigate e la polemica si trascinerà ancora a lungo, di simbolo in simbolo, senza giungere ad una soluzione precisa.
Un nome tuttavia incarnava l'ortodossia: quello di Atanasio che, nel 328, era succeduto al proprio vescovo in Alessandria. Fu dunque contro Atanasio che gli amici di Ario e di Eusebio di Nicomedia concentrarono i loro sforzi. Si cercò di perderlo. Avendo Ario sottoscritto una formula imperfetta, ma che si volle ritenere come ortodossa, l'imperatore intimò ad Atanasio di riabilitarlo e di restituirgli la parrocchia. In seguito al suo rifiuto, Atanasio fu tradotto davanti a un concilio a Tiro e, a forza di intrighi, vi fu fatto condannare nel 335. L'anno seguente, Costantino lo esiliava a Trevi all'estremità delle Gallie. Nel frattempo, giunto all'età di 80 anni, Ario moriva - si dice - in mezzo al trionfo che gli amici gli preparavano a Costantinopoli per festeggiare la sua riammissione nella comunione cattolica.

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IL FOTINIANISMO
Ad accrescere la confusione delle idee, avvenne, verso il 335, la pubblicazione di un libro contro l'arianesimo dovuto al vescovo Marcello d'Ancira. Nel suo zelo contro l'eresia, egli parve ricadere nell'errore di Sabellio, non distinguendo nettamente le tre persone della Trinità. Gli eusebiani, che godevano di grande favore presso Costantino, colsero l'occasione e fecero condannare Marcello. Quest'ultimo protestò e si appellò al papa Giulio I il quale, una prima volta nel 338 e una seconda volta nel 341, lo dichiarò ortodosso. Più tardi. tuttavia, si dovette riconoscere che il linguaggio di Marcello d'Ancira non era del tutto soddisfacente. E, siccome le sue idee erano state riprese da Fotino, vescovo di Sirmio, si diede il nome di fotinianismo a questa eresia che rinnovava in parte il modalismo di Sabellio. Ma tutto ciò aveva contribuito non poco a turbare gli spiriti nelle file dell'ortodossia.

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IL SEMI-ARIANESIMO
Si era fatto tuttavia qualche progresso verso la verità. L'arianesimo era costretto a modificare le sue formule, per farle accettare. L'ortodossia, sempre validamente difesa da Atanasio e appoggiata da Roma, guadagnava terreno. Ma essendo morto Costantino nel 337, l'impero fu diviso tra i suoi tre figli, uno dei quali infine ereditò dagli altri due. Quest'ultimo, di nome Costanzo. si piccava di teologia. Come già il padre, si lasciò adescare da Eusebio di Nicomedia, che può essere considerato come il grande capo del semi-arianesimo. Mentre il papa Giulio I prendeva energicamente le difese di Atanasio, prima richiamato dall'esilio e quindi scacciato nuovamente dalla propria sede, Eusebio, in un concilio riunito ad Antiochia nel 341, finse di condannare in Marcello d'Ancira il rinnovato sabellianismo, facendo adottare una formula semi-ariana.
A quell'epoca Costanzo non era ancora unico imperatore. Il fratello Costante regnava in occidente. D'accordo con il papa Giulio I, Costante riunì un concilio a Sardica (l'odierna Sofia, in Bulgaria).
Era presente Atanasio e presiedeva, in nome del papa, il vecchio Osio di Cordova. A dispetto dell'opposizione degli eusebiani, che si ritirarono quasi subito, vi fu riabilitato Atanasio e acclamata l'ortodossia. Atanasio poté rientrare nuovamente ad Alessandria nel 346.
L'anno precedente si era finito, in Occidente, con lo sfatare le dottrine oscure e perniciose di Fotino di Sirmio, e di conseguenza quelle ancor più subdole del suo maestro Marcello d'Ancira. Queste dottrine erano state nettamente condannate nel concilio di Milano nel 345, e tale decisione aveva contribuito a rischiarare l'atmosfera. Grazie all'energico imperatore Costante, si poteva sperare la pace nella Chiesa. Ma egli morì assassinato nel 350, e da quel momento Costanzo rimase unico padrone dell'Impero. Eusebio di Nicomedia era morto. Ma due vescovi, le cui dottrine erano state condannate nel concilio di Sardica del 343, riuscirono ad entrare nelle sue buone grazie: Basilio d'Ancira e Acacio di Cesarea. Sotto l'influsso di Basilio d'Ancira, che era semiariano come lo era stato Eusebio di Nicomedia, fu riunita tutta una serie di concili, con il pretesto di porre fine all'eresia di Fotino di Sirmio (il sabellianesimo).
Ma si mirava a dire che la dottrina di Atanasio, la quale sosteneva che il Verbo è consostanziale al Padre, non era altro se non fotinianismo camuffato. E, siccome la dottrina e la formula di Atanasio erano sostenute soprattutto in Occidente, l'imperatore, dietro la spinta dei suoi consiglieri semi-ariani, moltiplicò in Italia e in Gallia i concili destinati a distruggere quella pretesa d'eresia, l'eresia dei " niceani ", cioè dei sostenitori del Concilio di Nicea del 325.
Tali furono il concilio di Milano del 355, quello di Arles del 353, quello di Beziers del 356, ecc. Dappertutto, ci si limitava a costringere i vescovi a scegliere tra la condanna di Atanasio e l'esilio. Il papa Liberio, succeduto a Giulio I nel 352, si lasciò adescare. Non avendo voluto abbandonare la causa di Atanasio, fu dapprima esiliato da Roma a Berea (fine del 355) e sostituito da un antipapa di nome Felice (355-365), e finì per sottoscrivere una formula equivoca, di cui parleremo tra breve.
Fra i più illustri esiliati di questo periodo così burrascoso si devono segnalare, insieme con il papa Liberio e lo stesso Atanasio, due santi molto venerati in Occidente: s. Eusebio di Vercelli e S. Ilario di Poitiers; e persino il venerando Osio di Cordova, nato nel 258 e vescovo dal 295. Aveva quasi cento anni!

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VARIE FORME DI SEMI-ARIANESIMO
Ma che cosa si metteva al posto della dottrina definita a Nicea? Con che si sostituiva il "consostanziale" di Atanasio?
Ciò che caratterizza l'eresia sono le sue incessanti variazioni e fluttuazioni; perché - come ha giustamente rilevato Newman - appena si esce dall'ortodossia si cade nell'inconsistenza. Tale osservazione si adatta egregiamente ai casi di quest'epoca. I semi-arianni non cessavano di costruire formula. Non volevano saperne di consostanziale con il pretesto che vi sentivano odore di sabellianismo. Perciò, cercavano un altro aggettivo. I semi-ariani propriamente detti, con Basilio d'Ancira, si attenevano al termine simile nella sostanza homoiousios in greco - invece di homoousios che era il termine di Atanasio. Furono quindi chiamati omeousiani. All'estremità della scala delle opinioni si trovavano gli ariani puri, i quali sostenevano che il Verbo era dissimile - anomoios - dal Padre. Questi sono conosciuti sotto il nome di anomei. Infine, tra i due opposti si ergeva l'opinione di Acacio di Cesarea, secondo il quale si doveva dire semplicemente che il Verbo è simile - omoios - al Padre, senza precisare che gli è simile nella sostanza. I sostenitori di questa teoria furono perciò detti omei.
Le differenze che si notano in quelle che sono chiamate le quattro formule di Sirmio (varate dal 351 al 359), mostrano chiaramente le divergenze che travagliavano allora gli animi nella Chiesa. Sirmio, che viene identificata con l'attuale Mitrovitza, sulla Sava, in Jugoslavia, era la residenza abituale di Costanzo. E, appunto alla presenza di quest'ultimo si elaborarano, in quella città, le più mutevoli formule di fede. La prima formula di Sirmio, redatta sotto l'influsso di Basilio d'Ancira, è semi-ariana ma potrebbe interpretarsi in maniera ortodossa. La seconda segna l'influsso passeggero degli Anomei e il declino dell'influsso di Basilio d'Ancira. E' dell'anno 357 e posteriore di sei anni alla precedente. Proclama il Figlio inferiore al Padre e 1o Spirito Santo inferiore al Figlio. Mediante le più odiose e colpevoli violenze, non si ebbe vergogna di far sottoscrivere questa formula al vecchio Osio di Cordova, completamente ingannato; ma non gli si poté mai strappare una condanna dell'amico Atanasio. Aveva allora 99 anni! A partire dal 358, Basilio aveva ripreso l'offensiva ed era riuscito a far ammettere dall'imperatore una terza formula, nella quale senza dubbio non si riscontrava il termine ortodosso consostanziale decretato a Nicea, ma che si poteva tuttavia intendere in modo cattolico. Bisogna riconoscere che certi scrittori anche perfettamente ortodossi, come san Cirillo di Gerusalemme, temevano un poco l'espressione "consostanziale ", quasi potesse portare al sabellianismo. Non è quindi da stupire che il papa Liberio, il quale languiva da tre anni a Berea e vedeva la sua chiesa di Roma dilaniata dallo scisma a causa di un antipapa, abbia creduto di poter sottoscrivere quella formula, onde ritrovare la libertà. Cosa più spiacevole, egli acconsentì n condannare Atanasio per l'uso del termine " consostanziale ". Non è tuttavia da credere che il papa sia, in questa circostanza, caduto egli stesso nell'eresia, benché durante le discussioni sull'infallibilità del papa si sia fatto continuamente ricorso al suo caso. Liberio mancò di chiaroveggenza e di fermezza, ma la sua ortodossia sembra rimanere completamente fuori causa.
Il trionfo di Basilio d'Ancira, autore di questa terza formula di Sirmio, non fu d'altronde di lunga durata, poiché i suoi nemici e rivali strapparono a1 debole e pretenzioso imperatore una quarta formula di Sirmio, che dichiarava il Verbo semplicemente simile al Padre, il che significava la vittoria degli omei sugli omeusiani. Eravamo nel 359. La formula fu sottoscritta per prudenza dagli anomei, e dallo stesso Basilio d'Ancira, che la adattò alla sua opinione personale.
Ma allora si produsse nella Chiesa un vero dramma.
L'imperatore ebbe la pretesa di far sottoscrivere questa formula da tutti i vescovi dell'impero, e a tal fine convocò due concili, uno a Selcucia per l'Oriente e l'altro a Rimini per l'Occidente.
A Rimini, si radunarono 400 vescovi, di cui circa 80 erano ostili alla definizione di Nicea. La maggioranza quindi dichiarò di attenersi al concilio di Nicea e respinse la formula di Sirmio. Ma la minoranza agì con tanta astuzia e fece intervenire l'imperatore con tanta rigidità che, dietro le più gravi minacce e con spiegazioni miranti ad addormentare le coscienze, si ottenne dai Padri la sottoscrizione di questa formula di Sirmio, per di più aggravandola, poiché mentre prima il Verbo vi era detto "simile al Padre in ogni cosa ", a Rimini queste ultime tre parole furono soppresse.
Comunque sia, è certo che la formula di Rimini fu infine adottata nel più assoluto equivoco.
Lo stesso avvenne a Seleucia. Basilio d'Ancira si dibatté dapprima come meglio poté; poi l'autorità dell'imperatore fece pendere la bilancia nel senso inverso. Così la formula, detta omeiana, sottoscritta a Rimini, venne imposta anche a Seleucia. Di qui passò ai popoli barbari che nel secolo seguente avrebbero invaso l'impero romano. Quando si afferma, in storia, che questi popoli, o almeno una parte di essi - per esempio i Burgundi e i Goti - erano ariani, si vuole intendere che professavano la Confessione di fede di Rimini-Seleucia. L'anno seguente, nel 360, gli acaciani o omei riportarono un'ultima vittoria al concilio di Costantinopoli, che condannò insieme i termini consostanziale (ortodosso), simile in sostanza (Basilio d'Anciria, semi-ariano) e dissimile (ariani puri).
Sembrava che l'eresia avesse vinto nella Chiesa. San Girolamo, parlando di questo breve periodo, che terminò con la morte dell'imperatore avvenuta nel 361, disse con una frase rimasta celebre:" L'universo gemette nello sbalordimento di vedersi diventato ariano! "
Non era nulla di grave. Gli spiriti ingannati dagli intrighi e vessati dalle minacce della Corte, si risolleveranno ben presto.
Alla morte di Costanzo, fu uno dei suoi nipoti, Giuliano - che in storia è soprannominato l'Apostata - a prendere il potere. Egli aveva segretamente abbracciato il paganesimo. Ed era venuto in urto con lo zio, l'imperatore, in seguito alla rivolta dell'esercito, che proclamava Augusto lui stesso. Costanzo era morto mentre marciava contro di lui. Una volta padrone dell'impero, Giuliano cercò di ristabilire il paganesimo. Il suo primo atto fu quello di rimandare alle proprie diocesi tutti i vescovi esiliati, senza dubbio con l'idea di provocare in tal modo delle divisioni in seno alla Chiesa.
Non starò a descrivervi qui tutti i tentativi da lui fatti per risuscitare il paganesimo ormai sorpassato e sepolto. Del resto non ebbe il tempo di impegnarvisi a lungo, poiché già nel 363 scompariva, all'età di 32 anni durante una spedizione contro i Persiani. I suoi successori Gioviniano, Valentiniano e Graziano e soprattutto Teodosio - o usarono una larga tolleranza, rimanendo fuori delle dispute teologiche, o si mostrarono decisamente favorevoli all'ortodossia cattolica. Uno solo, Valente, fratello di Valentiniano I e da lui associato all'impero, si fece, al pari di Costanzo, difensore dell'arianesimo, senza portare d'altronde gravi disordini in seno alla Chiesa d'Oriente, in cui risplendevano allora autentici geni, come Basilio di Cesarea e il suo grande amico Gregorio Nazianzeno.
Atanasio ebbe l'onore di contribuire, prima della sua morte, alla riconciliazione e alla pacificazione degli animi. Rientrato al pari degli altri, nel 362, nella sua chiesa di Alessandria, radunò un concilio e in esso dette prova di una grande larghezza d'animo per porre fine a tutte le dispute dogmatiche. Fece semplicemente rivivere i decreti del concilio di Nicea del 325 rifuggendo da qualunque discussione di termini. Quando morì - nel proprio letto, lui che era stato così spesso scacciato dalla sua sede - aveva adempiuto - uno dei più nobili compiti che possano incombere a un pastore di anime, poiché aveva ristabilito dovunque intorno a sé la pace nell'unità della fede. Era il 2 maggio del 373.
Fra coloro che seguirono il suo esempio è da segnalare sant'Ilario di Poitiers nelle Gallie, sant'Eusebio di Vercelli in Italia, e i cosiddetti tre Cappadoci: Basilio di Cesarea, già ricordato, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno, fratello di Basilio - forse il più profondo dei tre.

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GLI PNEUMATOMACHI
Per quasi tutto il IV secolo - uno dei più splendidi della storia della Chiesa - si discusse animatamente sulla divinità del Verbo, ma si perdette un poco di vista quella dello Spirito Santo. E' chiaro tuttavia che coloro i quali rigettavano la divinità consostanziale del Figlio respingevano a maggior ragione quello dello Spirito Santo, da tutti ritenuto al terzo posto tra le "persone divine ". Solo verso il 360 si pose chiaramente la questione su questo punto. La persona dello Spirito Santo era infatti sempre associata alle altre due, particolarmente nella liturgia battesimale. La maggior parte dei semi-ariani e soprattutto degli ariani puri si dichiararono contro la divinità dello Spirito Santo. Per questo motivo furono chiamati pneumatomachi, cioè avversari dello Spirito, ed anche macedoniani, dal nome di Macedonio, vescovo intruso di Costantinopoli, che fu uno dei loro capi più eminenti, e venne deposto nel 360. Questa nuova disputa aveva il vantaggio di costringere le menti a considerare il dogma della Trinità in tutta la sua ampiezza. Fu vanto del grande imperatore Teodosio mettere un punto finale a quelle interminabili controversie, attraverso le quali, tuttavia, la teologia della Trinità aveva preso una mirabile consistenza. Fin dal battesimo, ricevuto nell'età adulta, Teodosio aveva dichiarato di volersi attenere in tutto, ma specialmente in materia trinitaria, al pensiero del vescovo di Roma e alla fede professata in comune dal papa e dal vescovo Atanasio di Alessandria. Ma, una volta divenuto imperatore, comprese che gli Orientali conservavano una certa suscettibilità riguardo al papa e al successore di Atanasio. Ebbe quindi l'accortezza, di radunare a Costantinopoli un concilio di soli orientali. Era da poco tempo vescovo della città Gregorio Nazianzeno, grande oratore, grande teologo e autentico santo. L'imperatore cominciò col far restituire ai cattolici tutte le chiese della città che erano state occupate dagli ariani. Quindi, d'accordo con Gregorio Nazianzeno, convocò i vescovi orientali. Ne vennero 186, di cui 36 erano pnematomachi. Il concilio fu presieduto successivamente da Melezio di Antiochia, da san Gregorio Nazianzeno e, dopo le dimissioni di quest'ultimo, dal suo successore Nettario. Esso consacrò definitivamente la dottrina di Nicea, scagliò l'anatema contro l'arianesimo e il semi-arianesimo, specialmente contro l'eresia degli anomei e degli omei, come pure degli omeusiani. Infine, il concilio proclamò la divinità dello Spirito Santo pari a quella del Verbo e del Padre. Gli pneumatomachi furono quindi respinti dalla Chiesa, e in questo senso fu completato il Simbolo di Nicea. L'arianesimo continuò a vivere sol più presso i " barbari " fino al secolo VII.

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Cap 3
CAPITOLO III. LE ERESIE IN OCCIDENTE
CARATTERI GENERALI
Passando dall'Oriente all'Occidente, è impossibile non rilevare una profonda differenza tra le eresie che sono sorte da una parte e dall'altra. Le grandi eresie del IV secolo si erano sviluppate soprattutto in Oriente ma avevano avuto indubbiamente una ripercussione anche in Occidente. In particolare, la sede di Roma aveva sempre avuto la sua parola da dire nella determinazione del dogma cattolico di fronte a ciascuna di esse. Però tutti i capi di sette erano stati orientali. Le eresie di cui dovremo parlare nel presente capitolo nacquero invece in Occidente. E avranno un carattere del tutto diverso. Il genio orientale indugiava con ardore soprattutto sui grandi problemi metafisici: la Trinità, la divinità del Verbo e quella dello Spirito Santo, la creazione del mondo e l'origine del male. E' sarà quasi sempre così anche in seguito. Si tratterà della unione ipostatica delle due nature di Gesù Cristo, dell'unione in lui della volontà divina e di quella umana, ecc. Si potrebbe dire che il genio greco è attratto maggiormente verso gli oggetti, mentre l'animo occidentale si rivolge di preferenza verso il soggetto: l'uomo, la libertà umana, la grazia, la predestinazione, la fede e le opere, il male in noi.
I greci si sono mostrati sempre amanti dell'alta metafisica e i latini della psicologia. Non si deve tuttavia spingere troppo oltre questa distinzione. I latini infatti non hanno esitato a seguire i greci nelle loro alte speculazioni, e i trattati sulla Trinità o sulla Incarnazione non sono stati minori in Occidente che in Oriente. Ma l'iniziativa non partiva da loro. In senso inverso, il problema della grazia e del suo legame con la libertà umana è stato approfondito con maggior vigore in Occidente che in Oriente.
Tenendo conto di queste premesse, passeremo in rassegna le eresie occidentali.

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LO SCISMA DONATISTA
Se si parla di uno scisma a proposito del donatismo africano, non significa che non vi sia stata, nel fondo della questione, una precisa eresia. Lo scisma ebbe origine in occasione della elezione di Ceciliano ad arcivescovo di Cartagine. Si formò un partito contro di lui. Si pretese che la sua consacrazione per mano del vescovo Felice di Aptonga fosse invalida. Si diceva infatti che Felice, al tempo della prescrizione, avesse consegnato i Libri sacri alla polizia. Essere stato, come si diceva, un traditor, gli toglieva per sempre il potere di consacrare validamente. Questa teoria si riaccostava alquanto all'errore dello stesso san Cipriano, vescovo di Cartagine. quando aveva affermato, contro il pensiero di Roma, che il battesimo conferito dagli eretici era invalido. E gli avversari di Ceciliano si appellavano alla autorità di Cipriano. Il loro capo fu un certo Donato, detto delle Capanne Nere dalla località africana di cui era vescovo, e il loro più insigne teologo fu un altro Donato, che chiamarono il Grande. Di qui il nome di donatisti. Essi trovarono facilmente dei seguaci in un paese dalle accese passioni come l'Africa e dove abbondavano gli scontenti contro la dominazione romana. I donatisti ebbero anche delle pattuglie d'assalto, come diremmo oggi, sotto forma di bande fanatiche, composte di uomini che si attribuivano il nome di soldati di Cristo, ma che i cattolici soprannominarono circoncellioni o vagabondi.
Dal punto di vista dottrinale, i donatisti, non senza varianti, professavano due princìpi ugualmente eretici:
1) i peccatori pubblici e manifesti, specialmente i vescovi e i preti prevaricatori, non appartengono più alla Chiesa: 2) fuori della vera Chiesa, tutti i sacramenti sono invalidi.
Cosa ancor più grave, i donatisti pretendevano scacciare dalla Chiesa non solo i vescovi e i preti che essi accusavano di prevaricazione, ma anche tutti i fedeli che restavano in comunione con loro. Giungevano quindi a considerarsi come la sola vera Chiesa! Tutto il resto della Chiesa, a sentir loro, era fuori della verità cristiana. Si era ben lontani dallo spirito di misericordia che regna nel vangelo!
Una eresia così radicale e perniciosa doveva essere vigorosamente combattuta dai cattolici. Il donatismo fu infatti condannato nel Concilio I Lateranense a Roma nel 313, e quindi, nel 314, in quello di Arles, presieduto dall'imperatore Costantino. Gli imperatori furono fin da allora tutti senza eccezione - salvo Giuliano l'Apostata - decisi avversari del donatismo, ma senza riuscire a sradicarlo. Ragioni politiche, e un nazionalismo africano analogo a quello che costatiamo ai nostri giorni, agivano sugli animi in favore della setta.
Il grande avversario dottrinale del donatismo fu, nel V secolo, sant'Agostino, vescovo di Ippona. Nel 411 si tenne a Cartagine un grande concilio a forma di contradittorio. Erano presenti 286 vescovi cattolici africani, contro 279 donatisti. Vi erano quindi quasi dovunque, nei paesi africani, due vescovi; uno cattolico e uno donatista. Il concilio, grazie all'eloquenza e alla scienza biblica di Agostino, tornò a confusione degli scismatici.
Lo Stato prese severe misure contro di essi. Le conversioni si moltiplicarono e l'eresia scomparve a poco a poco.
Queste dispute, talvolta così accese, ebbero un buon risultato. Si stabilì infatti: 1) che non si esce dalla Chiesa con il peccato, anche mortale e pubblico, ma solo con l'apostasia dalla fede; 2) che non si richiede nel ministro di un sacramento lo stato di grazia perché quel sacramento sia valido.

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09/10/2009 17:37
 
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IL PRISCILLIANISMO
L'eresia priscilliana deve la sua origine a un certo Priscilliano, vescovo di Avila (il futuro luogo di nascita di santa Teresa). Priscilliano apparteneva a una nobile famiglia spagnola ed era versato nell'arte allora molto popolare della divinazione, che confinava il più delle volte con la magia. Aveva cominciato, verso il 370, a diffondere idee di origine gnostica e manichea, per mezzo delle quali si vantava di condurre i suoi discepoli alla perfezione. Aveva così acquistato la fiducia di parecchi vescovi spagnoli ed era diventato lui stesso vescovo. Le sue dottrine furono tuttavia validamente combattute dai vescovi ortodossi. Sant'Ambrogio in Italia e san Martino nella Gallia presero parte alle controversie che esse suscitavano. Priscilliano fu condannato da parecchi concili e consegnato alla giustizia civile, con gran dispiacere di San Martino di Tours, il quale pensava che si dovessero convertire gli eretici e non condannarli a morte! La morte di Priscillinno si colloca intorno al 385. Ma egli lasciava dei seguaci che prolungarono e anzi aggravarono i suoi errori. Essi si possono considerare come lontani antenati degli albigesi. Praticavano una certa magia, credevano nel destino scritto, secondo loro, negli astri.
Due secoli dopo, il papa Gregorio Magno si vedeva ancora costretto a confutarli.
" Occorre sapere - scriveva - che gli eretici priscillianisti pensano che ogni uomo nasca sotto una combinazione di stelle. E chiamano in aiuto del proprio errore il fatto che una nuova stella apparve quando Nostro Signore si mostrò nella carne ".
Il concilio lusitano di Braga aveva condannato solennemente i priscillianisti nel 565.

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09/10/2009 17:38
 
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ERRORI SULLO STATO DI VERGINITÀ
Se citiamo qui i nomi di Elvidio, Bonosa, Gioviniano e Vigilanzio non è perché essi abbiano prodotto gravi dissidi nella Chiesa. Questi personaggi sono noti solo attraverso le vigorose confutazioni di san Girolamo e di alcuni altri Padri. Furono tutti più o meno avversari dell'ascetismo cristiano e specialmente della pratica, antica quanto la Chiesa, della verginità consacrata a Dio. Ciò che la Chiesa, attraverso la voce di san Girolamo e le decisioni dei concili, volle stabilire contro di essi è: 1) La superiorità dello stato di verginità consacrata a Dio, nella vita religiosa, sullo stato di matrimonio; 2) la perpetua verginità di Maria, madre del Salvatore; 3) l'utilità e il merito dell'ascetismo cristiano, della pratica dei digiuni, delle astinenze o della vita monastica; 4) la legittimità del culto dei santi e delle reliquie.
Le negazioni di quegli eretici su tutti questi punti si ritroveranno, dodici secoli dopo, in seno al protestantesimo. Il più noto di essi, Gioviniano, un italiano, a quanto sembra, fu condannato nel 390 dal papa Siricio in un concilio tenuto a Roma e da sant'Ambrogio nel 391 in un concilio tenuto a Milano.

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09/10/2009 17:43
 
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PELAGIO E IL PELAGIANESIMO
Molto più grave fu l'eresia che si ricollega al nome di Pelagio. Questi era nato in Inghilterra intorno al 354, data della nascita di s.Agostino che doveva essere il suo grande avversario. Pare che sia venuto a Roma verso il 384. Era un uomo di grande talento e di insigne virtù. Oratore, scrittore, esegeta, rimase " dottore laico e indipendente" ma si riallacciava forse alle dottrine dello pseudo-Ambrogio - l'Ambrosiaster - che si ispirava alla scuola di Antiochia. Pelagio era certamente in assoluta buona fede. Non sembra che abbia mai pensato ano fare uno scisma o a fondare una setta. Suo scopo era di reagire contro una religione superficiale e tutta esteriore, come quella che vedeva propagarsi nel mondo pagano convertito in massa al cristianesimo. Scrisse molto, ma la maggior parte delle sue opere sono andate perdute. Si conservano alcuni lavori di esegesi, e soprattutto una lettera a Demetriade che è come un trattato di spiritualità.
Pelagio era anzitutto un moralista severo e intransigente, un rigorista alla sua maniera, che era all'opposto di quella dei giansenisti di cui dovremo parlare più avanti. Predicava il distacco dalle ricchezze, la pratica dei consigli evangelici di povertà e di castità, in tutto il loro rigore. Combatté con forza qualunque rilassamento, insistendo sulle sanzioni eterne dei nostri atti: il paradiso e l'inferno.
In che cosa consiste dunque l'eresia di un direttore di anime così zelante e degno di rispetto? Nel fatto che egli deforma la grazia. Propone alle anime un alto ideale di " giustizia ", cioè di santità, ma per questo conta soprattutto sulla volontà individuale, sulla libertà umana interamente protesa verso Dio. Senza dubbio, Pelagio non può fare a meno di parlare della grazia, di cui si tratta così spesso negli scritti di san Paolo. Ma per lui la grazia è semplicemente la natura stessa, così splendidamente dotata da Dio, nella creazione.
Anche noi, certo, ringraziamo Dio dei suoi doni, ma crediamo che il peccato originale ci ha fatto perdere gran parte di questi doni. Ora, Pelagio nega il peccato originale. E' impossibile, secondo lui, che l'anima immediatamente creata da Dio sia caricata di un peccato che non ha commesso. Gli si obbietta il fatto del battesimo dei bambini, in uso nella Chiesa fin dalle origini. Pelagio si rifiuta di ammettere che tale battesimo cancelli un peccato originale nell'anima di coloro che lo ricevono. Negli adulti, senza dubbio, il battesimo cancella i peccati commessi in precedenza, ma non si può dire che esso venga conferito ai bambini " in remissione dei peccati ". Non ha altro scopo che quello di aprire loro il " regno dei cieli ", ma questo regno è solo un aspetto della vita eterna. Anche i bambini molti senza battesimo vanno in paradiso, ma non nel " regno dei cieli ", che è soltanto una parte di esso.
Pelagio tuttavia evita di spiegarsi su questo punto oscuro. Ciò che egli soprattutto prediligeva era magnificare l'attitudine della nostra libertà a scegliere a suo arbitrio fra il bene e il male e ad adempiere, con le proprie forze, tutta la legge divina. Il suo discepolo più insigne, il vescovo italiano Giuliano di Eclano, dirà in termini giuridici: "Mediante il libero arbitrio l'uomo si e sentito emancipato da Dio". Voleva intendere che noi non siamo degli scliiavi. grazie alla nostra libertà. Possiamo dire a Dio " sì " o " no " a nostro piacere e a nostro rischio e pericolo. Il primo dovere dell'uomo è dunque prendere coscienza di questa sublime autonomia e di usarne per la propria completa santificazione.
La dottrina di Pelagio aveva sembianze di grandezza. E questo appunto spiega il gran numero di vittime che riuscì a fare. Egli esaltava la volontà umana. In certi ambienti romani, in cui sopravviveva lo stoicismo, non si poteva fare a meno di applaudire a queste rivendicazioni dell'energia umana. Pelagio pare abbia predicato liberamente e senza trovare ostilità in Italia fino al 410. Ma a quest'epoca, si verificò una catastrofe spaventosa. Le frontiere romane cedevano da tutte le parti sotto la pressione delle invasioni barbariche. Bande di Visigoti, guidate da Alarico, si diffusero attraverso il nord nell'Italia, e presto raggiunsero Roma. La città " eterna ", come già era chiamata fu presa e orribilmente saccheggiata. Si pensò alla fine del mondo! Le popolazioni sgomente fuggivano nella direzione opposta a quella dei barbari. Pelagio e il suo più eminente discepolo romano, il giovane avvocato Celestio, furono nel numero dei profughi. Passarono dapprima in Africa, ma mentre Pelagio si recava in Palestina dove riceveva un'accoglienza abbastanza favorevole, Celestio sollevava intorno a sé obiezioni, critiche e opposizioni ben motivate. Nel 411 si radunò un concilio a Cartagine. Vi furono condannate le sue dottrine e lui stesso fu scomunicato. Fece appello a Roma, ma invece di recarsi dal papa, per patrocinale la propria causa, fuggì a Efeso dove si fece ordinare prete. In Africa, frattanto, continuava la lotta contro le sue dottrine. Sant'Agostino ne fu 1'animatore. Scrisse l'uno dopo l'altro parecchi libri contro il pelagianesimo: De spiritu et littera (Lo spirito e la lettera) nel 412; De natura et gratia (La natura e 1a grazia) nel 415 e altre ancora. Appunto allora meritò di diventare quello che è rimasto per noi, il " dottore della grazia ". Nessuno meglio di lui seppe ricavare dalla Scrittura e dalla Tradizione la dottrina della Chiesa: 1) sul peccato originale; 2) sulla necessità del battesimo per la salvezza; 3) sull'azione preveniente e adiuvante della grazia nell'opera della nostra salvezza. Il pelagianesimo, dapprima mal compreso dagli orientali, e dichiarato ortodosso nel concilio di Gerusalemme e in quello di Diospolis nel 415, fu senza tregua condannato dai concili africani, approvati da Roma. A dispetto delle astuzie tattiche dei pelagiani i quali si difendevano con ogni sorta di cavilli, il papa Zosimo, ingannato per qualche istante, finì per colpire di anatema questa eresia perniciosa e sottile, in una Enciclica intitolala Epistola tractoria (estate del 418). Vi furono tuttavia 18 vescovi italiani, il più noto dei quali è Giuliano di Eclano, che rifiutarono di sottoscrivere la dottrina definita dal papa. Ma furono vigorosamente confutati, e l'eresia scomparve con discreta rapidità.

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09/10/2009 17:44
 
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IL SEMI-PELAGIANESIMO
Sant'Agostino aveva tratto dal Vangelo e dalle Epistole di san Paolo tutti gli argomenti che opponeva al pelagianesimo. Non aveva fatto fatica a dimostrare che si intaccavano le fondamenta stesse della fede cristiana. Il pelagianesimo tendeva per se stesso a dimostrare l'inutilità del Cristo. Sarà più tardi il grande argomento del giansenismo. Se non vi è stato peccato originale, non c'era bisogno di un Redentore. E' inutile la preghiera se bastiamo a noi stessi.
"Nessuno viene a me se il Padre mio non lo attrae", aveva detto Gesù'. " Che cosa hai che non hai ricevuto, e se l'hai ricevuto, perché gloriarti come se non l'avessi ricevuto? ", aveva dichiarato san Paolo.
Vi è in questi testi una tale forza dimostrativa che il pelagianesimo non avrebbe potuto opporvisi. Ma vi furono mezzogiorno della Francia dei monaci che rimasero turbati dal vigore delle espressioni di sant'Agostino sulla necessità della grazia. Pensarono che non si desse al libero arbitrio la parte che gli spettava nelle opere della salvezza, Loro interprete fu il celebre autore delle Conferenze spirituali, Giovanni Cassiano, fondatore del monastero di San Vittore di Marsiglia. Giovanni Cassiano ammetteva la necessità della grazia. Raccomandava la preghiera, anzi la preghiera incessante.
Ma, nella sua Conferenza XIII, propose sotto l'etichetta degli asceti e dei pii autori spirituali del deserto egiziano che egli aveva conosciuto e consultato, la seguente dottrina: 1) è in potere dell'uomo volgersi per primo verso Dio, cosi come è in potere del malato andare per primo a chiamare in aiuto il medico; 2) allo stesso modo la predestinazione eterna dipende in ultima analisi dalla volontà umana, poiché spetta ad essa perseverare sino alla fine. In altri termini, Cassiano rigettava la grazia preveniente e la grazia di perseveranza finale.
Messo al corrente da mio dei suoi discepoli – san Prospero di Aquitania - Agostino scrisse subito due libri sull'argomento, nei quali confutava ciò che fu chiamato per secoli "l'errore dei marsigliesi " ma che noi chiamiamo, a partire dal secolo XVII, il semi-pelagianesimo. Egli insisteva sulle parole di Cristo: "Senza di me non potete far nulla ", e sugli altri testi citati più sopra. Dopo la morte di Agostino (28 agosto del 430), la sua dottrina fu confermata da una Enciclica del papa Celestino I ai vescovi delle Gallie. Non vi fu condanna di persone. Le idee di Cassiano furono sostenute da uno scrittore degno di nota, san Vincenzo di Lerins, e da un vescovo zelante, Fausto di Riez. Ma nella Gallia si sviluppò parallelamente l'agostinismo, e infine furono due grandi vescovi della regione, san Cesario di Arles e sant'Avito di Vienna, che assicurarono la definitiva condanna del semi-pelagianesimo nel concilio di Orange del 529. Il papa Bonifacio II approvò solennemente i decreti di questo concilio nel 532. Fu stabilito che l'uomo decaduto per il peccato originale non può né ottenere la fede né desiderarla senza una grazia preveniente. Tanto meno può perseverare nel bene senza una sequela di grazie adiuvanti, né perseverare sino alla fine senza un dono speciale collegato alla sua predestinazione.
Erano gravi e difficili problemi. Ci si può chiedere se talora sant'Agostino, nel suo zelo di riferire tutto a Dio nell'opera della salvezza, e nel suo impegno di stabilire la necessità della predestinazione, non abbia aperto la via a dottrine confinanti con il fatalismo. Quel che è incontestabile è il fatto che egli sarà continuamente invocato dai predestinaziani. Era stato già necessario condannare il prete Lucido, per le sue dottrine a questo proposito, Parimcnti Lutero, Calvino, Baio e Giansenio pretenderanno di porsi sotto il patrocinio di Agostino, e la Chiesa dovrà dare del pensiero agostiniano una interpretazione capace di conciliare i diritti della libertà umana e l'azione della grazia divina. Come sempre, sarà fra i due estremi, ugualmente falsi, che la dottrina cattolica dovrà tracciare e mantenere la sua via. Ma nasceranno su questo punto gravi controversie che certo non saranno mai definitivamente risolte (soprattutto tomismo e molinismo). Il detto di Bossuet: " Teniamo saldi i due capi della catena.." rimarrà una parola di saggezza per tutti.

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Cap 4
CAPITOLO IV.
GLI ERRORI CRISTOLOGICI DAL IV AL VII SECOLO

L'APOLLINARISMO
Se lasciamo l'Occidente per tornare in Oriente, vi troveremo ancora delle controversie di ordine speculativo. Si discute meno sulla grazia e sulla libertà umana che sulla natura di Cristo, e sulla unione, in lui, della natura umana e della natura divina. Ed è sempre in stretto legame con le eresie ariane e semi-ariane che si producono nuove deviazioni dottrinali.
Si è visto ad esempio che, per Ario, l'anima di Cristo non era altro che il Verbo, la prima creatura tratta dal nulla da Dio. Troveremo qualcosa di simile con il vescovo Apollinare di Laodicea. Questi era un uomo di virtù e di scienza. Si era mostrato avversario risoluto dell'arianesimo, sostenendo la divinità del Verbo o Logos. Ma non seppe difendersi dall'errore dello stesso Ario in ciò che riguarda l'anima di Cristo. Per lui, come per Ario, è il Verbo che tiene il posto di quest'anima. E interpreta in tal senso, al pari di Ario, le parole del Vangelo: " E il Verbo si fece carne " (Giov.1, 14). Credeva con ciò di salvaguardare meglio l'unità di persona in Cristo e soprattutto la sua perfetta santità, poiché - diceva - "dal momento che esiste l'uomo completo esiste anche il peccato ".
L'apollinarismo fu tuttavia rigettato in parecchi concili e particolarmente nel grande concilio di Costantinopoli del 381.

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