CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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BREVE STORIA DELLE ERESIE

Ultimo Aggiornamento: 29/01/2011 19:29
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09/10/2009 17:53
 
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Gnosticismo (dal I secolo) 
La storia
Vasto movimento filosofico-religioso spontaneo e non unificato, diffuso in Egitto e in Palestina dai tempi degli Apostoli almeno fino al IV° secolo.
Le sue origini rimangono oscure: nacque probabilmente come movimento sincretico, teso a fondere, in vari momenti storici, religioni misteriche, astrologia magica persiana, zoroastrismo, ermetismo, kabbalah, filosofie ellenistiche, giudaismo alessandrino fino a giungere ad un sincretismo con il Cristianesimo dei primi secoli.
Detta forma però fu anche caratterizzata da un forte antinomismo, cioè da tendenze anarchiche e dal rifiuto di norme legali, e, a maggior ragione, di una Chiesa Cattolica organizzata.
E proprio quest'ultima forma, gnostico-cristiana, che venne combattuta dai Padri della Chiesa come Ireneo, Giustino, Tertulliano, che ne rimasero per secoli l'unica fonte di informazione fino al 1945.
In quell'anno furono scoperti i manoscritti in copto a Nag Hammadi, in Egitto, un gruppo di 44 opere gnostiche, come ad es. il Vangelo di Filippo, quasi tutte sconosciute fino ad allora.

Lo G., nel periodo di massimo sviluppo, intorno al II° secolo, si distinse in due filoni principali:;   ; Lo G. cosiddetto volgare di tipo magico astrologico persiano, rappresentato da Cerinto, Carpocrate, Simon Mago, Menandro. 
  Lo G. cosiddetto dotto con le grande scuole di pensiero, facenti capo a Basilide, Valentino e Marcione.
Intorno al IV° secolo, lo G. confluì nella sua forma avanzata, il Manicheismo e nei secoli successivi influenzò tutta una serie di eresie, come ad esempio i bogomili ed i catari.
Ma vi fu anche una setta di G., che, isolandosi geograficamente, giunse a noi in forma molto pura: si tratta dei Mandei, tuttora abitanti nell'Iraq meridionale.
Più recentemente, lo G. ha influenzato molti studiosi cristiani, come Pierre Teilhard de Chardin, Paul Tillich, Mary Baker Eddy e la sua Christian Science e non cristiani come il grande psicanalista Carl Jung, che dichiarò: la gnosi è indubbiamente la conoscenza psicologica, i cui contenuti derivano dall'inconscio.
Infine alcuni studiosi identificano parecchi elementi gnostici in quel confuso fenomeno sociale-filosofico attualmente di moda, che è la New Age.

La dottrina
Lo G. deve il suo nome alla gnosi, cioè, come insegnavano i maestri gnostici, alla conoscenza di Dio e delle origini e destino della razza umana, attraverso la “rivelazione”.
Detta rivelazione era trasmessa direttamente da Cristo (nella forma gnostico-cristiana) ad una ristretta cerchia di iniziati e non attraverso la gerarchia della Chiesa.
Inoltre essa doveva giungere attraverso esperienze personali e non attraverso lo studio dei testi canonici.
Per gli G., Dio aveva emanato una serie di entità incorporee (eoni), per formare tutti insieme il Pleroma (pienezza del divino), ma l'ultimo degli eoni, Sophia (la Saggezza) o Barbelos si corruppe con la lussuria, creando il Demiurgo, creatore del mondo materiale.
Per alcuni G., il Demiurgo era identificato con Yahweh, il Dio vendicativo del Vecchio Testamento, in contrasto con il Dio Buono del Nuovo Testamento: questa corrente di pensiero gnostico era detta dualistica.
Tuttavia, avendo il Demiurgo creato il mondo materiale e gli uomini, sua madre Sophia o Barbelos, all'insaputa del figlio, aveva infuso in alcuni uomini la scintilla spirituale divina, che poteva permettere a costoro di giungere alla gnosi.
Gli G. tendevano, infatti, a rifiutare l'universalismo, dividendo gli uomini in:  ilici o terreni,     psichici che credevano nel Demiurgo, ma ignoravano l'esistenza di un mondo spirituale superiore a lui e    pneumatici o spirituali (gli iniziati di cui prima), che erano dotati della scintilla divina. Per portare informare gli iniziati della loro potenzialità inespressa, cioè la scintilla divina, fu inviato sulla terra l'eone Cristo come emissario di Dio e guida suprema.
Tuttavia Cristo non si incarnò sulla terra come Gesù, ma fece sì che questo fatto apparisse agli uomini, e dal greco dokéin, cioè apparire, deriva questo pensiero filosofico, comune a molti G., cioè il docetismo.
Infine lo sviluppo di questa negazione del concreto e il relativo disprezzo per il mondo materiale portò, per esempio, molti G. a comportamenti quotidiani radicalmente opposti: dalla sessualità più sfrenata (Basilide, Carpocrate, cainiti) alla castità e all'ascetismo più rigorosi (Saturnino).



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09/10/2009 17:54
 
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Guglielma di Boemia (m.1281 o 1282) e guglielmiti


Guglielma, considerata (ma la cosa viene contestata da alcuni storici) la figlia del re boemo Ottocaro I Pøemysl (1214-1230) e per questa soprannominata la Boema, giunse a Milano nel 1260 con un figlioletto al seguito.
G. divenne una oblata (cioè una laica che viveva in un monastero) dell'abbazia cistercense di Chiaravalle, vicino a Milano, dove visse secondo l'amore cristiano, i precetti apostolici e la moralità evangelica, e dove, intorno a lei, crebbe rapidamente la sua fama di santa guaritrice.
Da lei prese avvio la setta dei cosiddetti guglielmiti, formata soprattutto da donne, anche se non mancarono aderenti dell'aristocrazia milanese, come Galeazzo, figlio di Ottone Visconti. Un certo numero delle donne aderenti, tra cui Maifreda (o Manfreda) da Pirovano, erano suore Umiliate del convento di Biassono (vicino a Monza).
Inoltre ella venne considerata l'incarnazione dello Spirito Santo e mediante questo miracolo, secondo i suoi seguaci, tra cui spiccava il teologo della setta, Andrea Saramita, veniva compiuto ciò che venne predetto da Gioacchino da Fiore. Secondo il mistico calabrese, infatti, l'incarnazione dello Spirito Santo sarebbe stato, per l'appunto, una donna, destinata a diventare una Papessa e rifondare la Chiesa, dove, secondo il concetto dell'apocatastasi, tutti, compresi Giudei e Saraceni, si sarebbero salvati.
G. morì il 24 Agosto del 1281 o 1282, fu traslata e sepolta nel cimitero di Chiaravalle, e fatta da subito segno di un culto popolarissimo in quel periodo a Milano.
Tuttavia, già due anni dopo, nel 1284, il culto di “santa” Guglielma attirò l'interesse degli inquisitori, che interrogarono alcuni aderenti alla setta, estorcendo una confessione seguita da abiura.
Ma fu l'episodio della domenica di Pasqua del 1300 a scatenare la reazione della Chiesa Cattolica: infatti, secondo la denuncia di alcuni testimoni, in quella data la sua erede spirituale Maifreda da Pirovano, in qualità di sacerdote e Papessa, aveva celebrato una solenne messa.
Il culto di G. fu quindi non fu più oggetto di un processo di santificazione, come chiedevano i suoi seguaci, ma divenne una inchiesta degli inquisitori domenicani Guido da Cocconato e Ranieri da Pirovano, i quali la condannarono postuma come eretica e fecero bruciare sul rogo le sue ossa e le sue immagini, tale e quale come, l'anno successivo, nel 1301, sarebbe successo al culto di Armanno Pungilupo a Ferrara.
Inoltre anche i suoi due più fedeli seguaci, Maifreda e il teologo Andrea Saramita, finirono sul rogo.



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09/10/2009 17:54
 
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Iconoclastia (VIII-IX secolo)


L'iconoclastia (dal greco eikonoklasmos, distruzione di immagini) fu un'eresia dal 725 al 842, che scavò un profondo solco tra Roma e le Chiese Cristiane d'Oriente e preparò il terreno allo scisma di Fozio del 867.

Origini
L'iconoclastia cristiana, nel VIII secolo, prese spunto indubbiamente dall'influenza esercitata dai Mussulmani, i quali condannavano (e condannano) qualsiasi rappresentazione della divinità in forma umana. Oltre a questo, un certo peso l'aveva probabilmente avuto l'atteggiamento dei pauliciani, contrari alle immagini sacre, che nel VII secolo avevano avuto la possibilità di influenzare, in tal senso, alcuni alti prelati delle Chiese Orientali, come, ad esempio, Costantino, vescovo di Nacolia, in Frigia.
Questi prelati, comunque, avevano già espresso critiche sull'abuso di immagini sacre soprattutto da parte dei monaci, i quali attribuivano spesso poteri taumaturgici a quadri sacri, alcuni dei quali venivano perfino spacciati come dipinti mediante intervento divino.

Prima persecuzione iconoclasta
Le perplessità furono raccolte dall'imperatore Leone III (717-741), fondatore della dinastia isaurica, che lanciò una campagna di riforma moralizzatrice della Chiesa, pubblicando nel 726 un editto in cui dichiarò il culto delle immagini sacre alla stregua di quello di idoli e ordinò la distruzione di queste immagini nelle chiese.
Seguirono disordini di piazza e persecuzioni nei confronti dei monaci recalcitranti nei confronti dell'editto imperiale.
Scese in campo anche Papa (San) Gregorio II (715-731), il quale, convinto dell'efficacia educativa delle immagini, si impegnò in una lunga, ma alquanto inconcludente, prova di forza epistolare con Leone: ognuno rimase sulle proprie posizioni.
Tuttavia, l'azione energica di Gregorio mise in crisi l'autorità imperiale in Italia: fu scomunicato l'esarca Paolo, che cercò inutilmente di arrestare il Papa e da questo periodo i Papi iniziarono a considerarsi i “sovrani” del Ducato romano, la regione sotto il loro controllo.
Si schierò contro questa furia distruttrice anche San Giovanni Damasceno, che, per la verità, era ben al riparo dall'eventuale reazione dell'imperatore, poiché abitava vicino a Gerusalemme, nel Califfato arabo.
La furia iconoclasta, nel frattempo, si allargò con la distruzione delle reliquie dei santi e si sviluppò perfino in un rifiuto dell'intercessione dei santi.
La polemica non si calmò né con la morte di Gregorio II nel 731, poiché il successore San Gregorio III (731-741) continuò la battaglia con uguale vigore, né con la morte di Leone III nel 741: il figlio Costantino V Copronimo (741-775) fu un persecutore di immagini anche più accanito del padre.
Nel 754 Costantino convocò un concilio a Costantinopoli, al quale si rifiutarono di partecipare il Papa e i patriarchi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, e che ovviamente si concluse con la conferma della condanna delle immagini sacre e diede luogo ad una persecuzione nei confronti dei monaci senza precedenti.
L'iconoclastia scese di tono durante il regno di Leone IV (775-780), figlio di Costantino, soprattutto grazie all'imperatrice Irene, segretamente favorevole alla venerazione delle immagini. Come reggente del figlio minorenne Costantino VI (780-797), Irene fece riaprire i monasteri e riammettere le immagini sacre nelle chiese.
Inoltre Irene convocò nel 787 il secondo Concilio di Nicea, dove fu dichiarata l'adesione alla dottrina della venerazione delle immagini, esposta in una lettera inviata all'imperatrice da Papa Adriano I (772-795), dove si precisava che le immagini venivano venerate (proskynesis) non con la stessa adorazione (latreia) dovuta a Dio e che l'onore a loro dovuto era comunque trasposto verso il santo venerato.

Seconda persecuzione iconoclasta
Tuttavia, 27 anni dopo Nicea, la campagna iconoclasta riprese con nuovo vigore, sotto l'imperatore Leone V l'Armeno (813-820), il quale fece rimuovere le immagini sacre da chiese ed edifici pubblici, poiché egli era convinto che le sfortune dell'impero erano da attribuire ad un giudizio negativo di Dio sulla venerazione delle immagini. Fu esiliato anche San Teodoro Studita, ideatore del concetto dell'equivalenza tra iconoclastia e monofisismo, poiché ambedue negavano, a loro modo, la natura umana di Cristo.
Leone V fu assassinato in una congiura di palazzo nel 820, ma i successori Michele II il Balbuziente (820-829) e Teofilo (829-842) perseguitarono accanitamente i cattolici, oramai identificati come adoratori di immagini.
Ancora una volta fu una imperatrice a mettere fine alle persecuzioni, la moglie di Teofilo, Teodora, che, come Irene, fu la reggente per il figlio minorenne, Michele III detto l'Ubriaco (842-867, di cui fino al 856 con la reggenza della madre) e, come Irene, reinstallò le immagini e liberò i monaci imprigionati, uno dei quali, Metodio, divenne patriarca di Costantinopoli.
Fu convocato nel 842 un concilio a Costantinopoli, che rinnovò le decisioni di Nicea e la scomunica dell'iconoclastia.
Venticinque anni dopo iniziò il Grande Scisma d'Oriente con il patriarca Fozio.

Iconoclastia in Occidente
Anche in Occidente, nel regno dei Franchi di Carlomagno, alcuni vescovi reagirono negativamente alle conclusioni di Nicea ed emanarono nel 790 delle controdeduzioni, elaborate dal monaco Angilberto, in cui venivano accettate le immagini sacre nelle chiese, ma veniva ribadito che solo Dio poteva essere adorato, Queste conclusioni vennero respinte da Papa Adriano I (772-795).
Durante la seconda persecuzione iconoclasta, nuovamente i vescovi franchi, riuniti a Parigi nel 825, cercarono di proporre una formula di compromesso, sponsorizzata dall'imperatore franco Ludovico I il Pio (814-840), da presentare a Papa Eugenio II (824-827).
Comunque le risultanze del II Concilio di Nicea furono gradualmente accettate in Occidente.
Ci furono solo alcuni casi isolati, il più famoso dei quali fu il vescovo di Torino, Claudio, che nel 824 distrusse tutte le immagini e croci nella sua diocesi, ma venne successivamente condannato dal Concilio di Parigi.



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09/10/2009 17:55
 
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Giorgio RuffaLa zizzania atea del pensiero moderno. Ovvero, il cristianesimo pelagiano.         Sebbene il Pelagianesimo fosse stato condannato nel 529 dal sinodo d'Orange, esso sopravvive sino ai nostri giorni camuffato nelle più disparate correnti filosofiche, per non parlare del mondo cristiano in tutte le sue espressioni confessionali. L'aspetto filosofico sarebbe interessante da studiare nel suo cammino, ma questo esula dai fini di questo articolo. Una chiave di lettura filosofica può essere data, per esempio, dall'analizzare quanto una determinata corrente di pensiero si focalizzi sull'uomo a scapito di Dio o della trascendenza. Nella storia del pensiero questo spostamento di livello è stato inesorabile: dalla teologia in senso forte sino alla morte di Dio. In epoca moderna, forse, il movimento che forse ha accentuato quest'aspetto è stato , per certi aspetti, l'esistenzialismo. Comunque possiamo tranquillamente partire da Cartesio e nominare, di seguito, in modo incompleto, a titolo di traccia, Locke, Hume, Rosseau, Kant, Hegel, Kierkegaard, Nietzsche, Sartre, Freud, Barth, Bultmann, Malthus, Huxley etc. A quanto pare, visto che tutti i più grandi pensatori, filosofi e non, sono stati citati sembra che sia stata proprio l'epoca moderna la più grande nemica di Dio, almeno nel senso inteso da Lutero, e forse, analizzando la secolarizzata società contemporanea, sembrerebbe molto facile dirlo. Questa annotazione è sicuramente carente e discutibile, in quanto è da contestualizzare e da analizzare nei singoli momenti, va quindi considerata semplicemente come una proposta, si spera futura, d'approfondimento. Ora, mi limiterò ad una breve annotazione.        Personalmente, come ho anticipato, vedo nel pensiero moderno il trionfo del Pelagianesimo, che come estremo esito risulta essere una forma d'ateismo, in quanto pone l'uomo arbitro del proprio destino, riducendo Dio ad una specie di contabile delle buone opere. Questo pensiero ha emancipato l'uomo da tutto ciò che poteva essere d'ostacolo alla propria volontà di potenza. Massima espressione dell'uomo schiavo del peccato: essere come, o superiore, a Dio. Il pensiero moderno ha costruito una serie di Torri di Babele, nella teologia e nella filosofia, il cui unico fine è giustificare le proprie ambizioni di controllo della realtà.        Partendo da pensatori, apparentemente "positivi", possiamo vedere i semi di questa zizzania ideologica. Ad esempio, Rousseau ha visto nell'uomo primitivo, "il nobile selvaggio," come superiore all'uomo "civilizzato". Rousseau ed i suoi seguaci hanno cominciato a giocare con la ragione, e hanno visto le limitazioni malvagie della civiltà: "L'uomo è nato libero, ma dappertutto è in catene!" Rousseau ha visto nel "primitivo" la libertà innocente, autonoma e finalisticamente buona. Il problema del peccato originale non è coinvolto. Dobbiamo, comunque, comprendere che la libertà difesa da Rosseau non era la libertà dell'uomo giustificato da Dio, ma libertà da ogni genere di limitazione contingente: libertà di cultura, libertà da qualsiasi autorità, una libertà assoluta dell'individuo, una libertà, quindi, nella quale l'individuo è il centro dell'universo.        Immanuel Kant, ha definito in Was ist Aufklärung, nel 1784, l'illuminismo come quella cultura che ha la forza di emancipare, attraverso la ragione, l'uomo e farlo uscire da un'immaturità intellettuale nella quale si era fissato. E' facoltà dell'uomo, per Kant, pensare autonomamente senza contare sull'autorità della chiesa, della Bibbia, o della filosofia. Nessuna generazione dovrebbe essere limitata dal credo e dai dogmi delle età passate. Per Kant, questa limitazione sarebbe stata un'offesa contro la grandezza della natura umana, il cui destino procede per successivi progressi in avanti. Come sappiamo, lo sforzo teoretico di Kant, mirava a stabilire gli esatti strumenti gnoseologici su cui si poteva contare con certezza, portando ad un drastico cambiamento del concetto antico di metafisica. Egli lavorò anche per liberare la scienza e la filosofia dallo scetticismo. Kant ha rimosso la concezione e la struttura della realtà dal loro luogo precario di in un mondo problematico esterno e separato, in un certo senso, dalla mente umana. La sua rivoluzione copernicana ha posto l'uomo al centro della scena. La conoscenza viene ordinata in modo soggettivo, ed il soggetto diviene l'unica condizione per la percezione dei fenomeni. La ragione domina gli eventi esterni attraverso le proprie strutture (le forme pure della sensibilità spazio e tempo, categorie, schemi etc. etc.) e la funzione dell'intelletto, tramite il giudizio, è quello di unificare i dati (connettere soggetto e predicato) che provengono dal processo gnoseologico esaminato, nella Critica della Ragion Pura, dall'analitica trascendentale. E' comunque chiaro che il dato esterno è comunque "informato" da una sintesi a priori. Detto banalmente, noi possiamo conoscere la nostra sintesi della realtà non quella che è in sé (Ding an sich).        La prima vittima di questo pensiero è proprio Dio. Ciò che noi conosciamo è possibile non attraverso Dio, non dalla penetrazione della mente nella verità, ma dalle proiezioni delle mente su quello che possiamo conoscere intorno ad un mondo essenzialmente inconoscibile. Kant ha messo Dio, l'anima, la libertà morale nel regno delle cose in sé. Se da un certo punto di vista Kant compie un positivo ridimensionamento delle facoltà della ragione, dall'altro getta i semi di un ateismo esasperato, ponendo l'uomo come centro del discorso gnoseologico.        Ma, come in tutte le opere diaboliche, il Pelagianesimo si nasconde anche nelle correnti di pensiero che apparentemente nascono come apologie del Cristianesimo. Sicuramente influenzato da Kant, e negativamente da Hegel, troviamo questi semi pelagiani in Søren Kierkegaard, il teologo danese che con il suo pensiero gettò le fondamenta del moderno esistenzialismo. Ha visto in Dio il significato ultimo dell'esistenza umana, ma in un modo che non riesco a definire cristiano. Egli, detto sommariamente, affermava che ciascuno individuo, ossia il singolo, deve scegliere, consciamente e responsabilmente, fra lo stadio estetico, etico e religioso. Già da questo cominciamo ad avere qualche dubbio. Kierkagaard, letteralmente seduce con le sue descrizioni dei vari stadi della vita. Ma credo che in realtà rappresentino una semplice, ma geniale, descrizione della vita, non uno strumento per muoversi in essa: questa è l'illusione di un'umanità veramente schiava delle passioni. In effetti, sotto la legge, viviamo perennemente nello stadio estetico. La storia dei conflitti umani, dimostra quanto nell’uomo sia presente un male radicale che abbrutisce anche il sublime ideale di servire per la gloria di Dio. L'autocoscienza non è un movimento che nasce in sé, ma dipende, a mio parere, da qualcos'altro, che, parafrasando Tommaso, possiamo chiamare Dio.        Kierkegaard vuole disperatamente salvare la soggettività, altrimenti, si cadrebbe nel fatalismo (Cfr. Briciole di Filosofia), ma non si rende conto, che il servo arbitrio non coincide con il fatalismo? Tutto ciò che facciamo di bene proviene dalla grazia e non da noi: "Quale è dunque il merito dell’uomo precedente alla grazia, in virtù del quale possa riceverla, dal momento che ogni nostro merito è in noi solo l’effetto della stessa grazia? Quando Dio premia i nostri meriti non fa che premiare i suoi benefici" (Agostino, Lettere 194, 5, 19. PL 33, 880).        Il rapporto tra il singolo e Dio, ammettendo che quest'ultimo permetta all'uomo di esprimersi in un libero arbitrio assoluto (ma questa libera volontà era perfetta solo nello stato iniziale di innocenza) risulta essere comunque difettoso. Un Dio d'amore può permettere ad un uomo di dannarsi, solo perché non comprende pienamente il suo errore? Sarebbe come dire ad un cieco d'attraversare liberamente la strada. Ma se il Dio d'amore non dona prima la vista, come potrebbe pretendere una scelta giusta. Ma, almeno logicamente, una volta riavuta la vista il cieco sarebbe un pazzo a non scegliere la salvezza, anche ragionando egoisticamente. La grazia è pertanto salvifica di per sé. La lettura di Lutero, da parte di Kierkegaard, forse è stata viziata dal contesto del suo tempo e dalle nuove correnti culturali, ma, forse sbagliando, non credo che il filosofo danese tratti con serietà i veri stadi dell'uomo: innocenza, peccato e redenzione. E tutto questo per dare senso ad una visione antropocentrica del mondo. Una scappatoia per Kierkegaard, è rappresentata dal suo sistema dialettico, dove tenta di conciliare i concetti di libertà e necessità. Sarà, ma non ne sono convinto. La dialettica va affrontata tenendo sempre presente la sua fondazione: DioCome se non bastasse positivismo, scienza moderna, hanno fatto di tutto per uccidere Dio, ma, purtroppo per loro, egli gode tuttora d'ottima salute, con buona pace di Woody Allen.        Una critica che faccio ai cristiani odierni, ubriacati di liberalismo, neopositivismo, ebraismo legalistico, esistenzialismo etc., è, appunto, quella di avere lentamente traslato la teologia da un piano cristocentrico verso un piano antropocentrico, trasformando la religione in moralità pragmatica, quando non astratta... traslazione ambigua, altrimenti si dichiarerebbero apertamente, ma presente...        Certo, possiamo negare questo male radicale e non interessarci del fatto che Cristo, solamente ci offre una mano per uscirne (cfr. Atti 4, 28-30), ma allora perché ci si vuol chiamare cristiani? Nulla di "male", vedere il mondo in modo nietzscheano o feurbachiano, se Dio vuole che anche la contraddizione venga espressa. Ma solo una cosa, ripeto: non chiamiamoci cristiani.        Per chiudere, riporto questa interessante riflessione del teologo O.H. Pesch: "La nostra impostazione deve escludere che l'antropologia che si elabora vada poi qualificata, in senso peggiorativo, come 'antropocentrica', che non consente dunque di mantenere aperto lo sguardo per il Dio sempre più grande. E Dio è ben più del partner trascendente dell'essere umano, la sua opera è ben più della creazione e salvazione. La teologia dovrà sempre combattere una 'riduzione antropologica' di questo tipo, che limita l'interesse teologico esclusivamente per una salvezza dell'uomo intesa possibilmente in termini individualistici, stigmatizzando il resto come 'speculazione' indebita. Difenderà invece le elaborazioni (apparentemente) niente affatto antropologiche della tradizione preluterana, e le sue varianti moderne, ma anche i timidi tentativi di una teologia della 'con-creatura', un riflettere teologico che non dovrà degenerare in 'teologia ecologica'. Del resto anche colui che passa per l'ideatore di questa riduzione di tipo antropologico — Martin Lutero [ndr. antropologico, non antropocentrico] — tutto sommato intendeva la divinità di Dio come il senso della dottrina della giustificazione. Appellandoci alla comune tradizione cattolica e riformata — per non parlare di quella ortodossa — dobbiamo rimettere al centro l'antropologia teologica e mantenerla libera da un antropocentrismo egoistico per il quale la divinità di Dio e la sua creazione altro non sarebbero che note marginali, o tutt'al più il tema per una riflessione meta-teologica. [Vedi a questo proposito le relazioni di lavoro c le bibliografie che la "Ökumenische und interdisziplinäre Studiengruppe 'Ethik der Schöpfung' pubblica regolarmente sotto la direzione di G.M. Teutsch (Padagogische Hochschule Karlsruhe, Archiv für Hodegetische Forschung); inoltre JENSEN, Unter dem Zwang des Wachstums spec. 45-48; KROLZIK, Umweltkrise, T. KOCH, Der Leib und die Natur]". Vedi PESCH O.H., Liberi per grazia, Queriniana, Brescia, 1988, p. 24.
La fede evangelica riformata classica vivente

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09/10/2009 17:56
 
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Lo gnosticismo di Ermanno Pavesi1. Lo gnosticismo nell’antichitàCon il termine "gnosticismo" si designa un gruppo di correnti filosofico-religiose dell’antichità, che hanno avuto la loro massima diffusione nei secoli II e III dell’era cristiana nei maggiori centri culturali dell’area mediterranea, come Roma e Alessandria d’Egitto. In certi casi si tratta di scuole fondate da personaggi noti, come Basilide, Marcione o Valentino — tutti vissuti nel secolo II —, in altri casi di gruppi di cui non si conoscono i fondatori e la cui denominazione deriva da elementi dottrinali: per esempio, gli ofiti attribuiscono un ruolo importante al serpente, in greco ofis; i cainiti si richiamano a Caino, e così via.Fino al ritrovamento nel 1945 a Nag Hammadi, nell’Alto Egitto, di un’intera biblioteca gnostica, gli studiosi disponevano di scarsi testi originali e integrali, ritrovati nel corso del tempo, e le fonti per lo studio delle teorie gnostiche erano costituite per lo più da descrizioni e da citazioni contenute nelle confutazioni da parte di autori cristiani, che scrivono in difesa dell’ortodossia, come sant’Ireneo, vescovo di Lione (sec. II) nell’opera Denuncia e confutazione della pseudo-gnosi.Il cristianesimo nei primi secoli è minacciato dallo gnosticismo tanto dall’esterno, cioè da movimenti che si pongono dichiaratamente in posizione alternativa a esso, quanto dall’interno, da gruppi che cercavano d’infiltrarsi in ambienti cristiani rifacendosi talvolta a scritti, come i vangeli apocrifi — cioè non riconosciuti nella Chiesa come ispirati —, ritenuti più autorevoli dei vangeli canonici: questi ultimi raccoglierebbero gl’insegnamenti di Gesù alle masse e avrebbero un carattere essoterico, mentre testi come La Sofia di Gesù Cristo o l’Apocrifo di Giovanni conterrebbero una dottrina rivelata da Gesù ad alcuni apostoli o a discepoli e destinata solo a pochi adepti.2. Dualismo radicaleUn carattere fondamentale dello gnosticismo è il dualismo radicale. Anche nella tradizione biblica esiste un dualismo fra Dio creatore da una parte e l’uomo e l’universo dall’altra, ma tanto la creatura quanto il creato corrispondono a un progetto divino e questo conferisce loro dignità: l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e la creazione contiene l’impronta del creatore. Per lo gnosticismo, invece, esiste una differenza abissale fra Dio e la realtà materiale: lo spirito è sostanzialmente estraneo all’universo e il rapporto con il mondo materiale non può contribuire in nessun modo all’elevazione spirituale dell’uomo.Gli specialisti distinguono due tipi principali di dualismo gnostico: il tipo iranico ammette la contrapposizione di due princìpi in lotta fra di loro e considera il mondo materiale come il dominio di una potenza negativa, mentre la speculazione siriaco-egizia — secondo lo storico delle religioni e filosofo Hans Jonas (1903-1993) — fa "[…] derivare il dualismo stesso, e la conseguente situazione del divino nel sistema di creazione, dall’unica e indivisa fonte dell’essere, per mezzo di una genealogia di stati divini personificati che si evolvono l’uno dall’altro e descrivono il progressivo oscuramento della Luce originaria in categorie di colpa, errore e fallimento. Questa interna "involuzione" divina termina nella decadenza completa dell’alienazione di sé che è questo mondo".Caratteristica di molti sistemi gnostici è pure la descrizione mitologica dei passaggi intermedi. Tanto ammettendo un processo di degenerazione o di "devoluzione", con la comparsa di uno stato inferiore, quanto la creazione da parte di un essere malvagio, il demiurgo, né la creazione del mondo né l’ordine di natura corrispondono alla volontà dell’Essere Supremo. Le leggi di natura sarebbero dettate dal demiurgo che, orgoglioso del proprio dominio, cerca d’indurre l’uomo a riprodursi, aumentando e prolungando la condizione di alienazione dello spirito nella materia.3. Dualismo antropologicoAll’irriducibilità fra Essere Supremo e natura corrisponde quella fra spirito e materia, e, a livello antropologico, fra anima e corpo. Lo spirito corrisponde a una particella divina, con la vocazione a riunirsi all’Essere Supremo e quindi eterna, mentre il corpo costituisce solo il carcere in cui l’anima è prigioniera o esiliata, ed è destinato a dissolversi nel nulla.Certi sistemi gnostici inseriscono questa teoria in una visione astrologica basata sulla concezione geocentrica. Per unirsi al corpo lo spirito deve arrivare sulla terra e attraversare una dopo l’altra le sfere dei pianeti. In questa "caduta" nel mondo sublunare, prima di penetrare nel corpo materiale, lo spirito riceve una specie d’involucro, il "corpo astrale", che cresce al passaggio da ogni sfera planetaria. Alla fine lo spirito risulta rivestito, occultato da queste stratificazioni, che sono il presupposto delle corrispondenze cosmiche e delle influenze astrali condizionanti l’esistenza umana.Nella condizione terrena l’uomo avrebbe dimenticato la sua origine e si troverebbe come in uno stato di ebbrezza, di sonno o di oblio, che lo porterebbe ad assoggettarsi alle leggi demiurgiche della natura e alle influenze cosmiche. Per alcuni sistemi gnostici non tutti gli uomini sarebbero in grado di pervenire alla conoscenza, alla gnosi, e quindi di superare la condizione di alienazione. Secondo il sistema valentiniano, per esempio, gli uomini per nascita sono di tre tipi diversi: gli "spirituali" hanno la possibilità di pervenire alla conoscenza e, una volta arrivati a tale livello, sono al di sopra delle leggi; gli "psichici" hanno bisogno per la loro realizzazione delle leggi e delle dottrine di una religione, mentre gli "ilici" sono incapaci di superare i condizionamenti materiali. Solo con un atto di ricordo o di risveglio l’uomo, o almeno chi ha la necessaria vocazione, può riconoscere la propria natura spirituale e affrontare la via della liberazione progressiva dai condizionamenti subiti al passaggio di ogni sfera. Questo è possibile per mezzo di un processo descritto come ascesa dell’anima, in cui l’adepto, percorrendo a ritroso l’itinerario della caduta, deve affrontare a ogni sfera gli esseri spirituali a essa preposti, gli arconti, e riuscire a passare grazie alle formule e alle parole di passo apprese nell’iniziazione gnostica.In questo processo l’uomo deve staccarsi anche dagli elementi materiali della propria individualità, riconoscendo che il proprio spirito è solamente una scintilla dell’Essere Supremo e a esso identico, in altri termini di essere egli stesso Dio.La concezione negativa dell’esistenza terrena e della vita condiziona profondamente anche i rapporti fra i sessi. Ammesso che il piacere sessuale è una specie di esca con cui il demiurgo induce l’uomo a riprodursi, lo gnostico ha due possibilità: astenersi da ogni attività sessuale, oppure svincolare la sessualità dalla riproduzione, per poter godere del piacere sessuale evitando però di procreare. Effettivamente nei movimenti gnostici si possono osservare tanto un ascetismo radicale quanto il libertinismo, comportamenti opposti ma che presentano un elemento comune: il disprezzo per la vita.4. Il rifiuto della tradizione biblicaL’identificazione del Dio creatore della Bibbia con il demiurgo, quindi con una figura negativa, comporta pure un rovesciamento nella valutazione dei singoli personaggi biblici, con l’idealizzazione di chi ha infranto le leggi del Creatore, come Caino. Il paradiso terrestre diventa una specie di giardino incantato in cui il Dio biblico tiene Adamo ed Eva nell’ignoranza. Nell’Apocrifo di Giovanni lo stesso Cristo Salvatore incita i progenitori a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, con un’interpretazione che introduce una netta frattura fra il Dio creatore dell’Antico Testamento e il Salvatore che proclama l’emancipazione dalla Legge.Se alcuni studiosi hanno considerato eccessivo e di parte l’impegno degli apologisti cristiani nel combattere lo gnosticismo e nel considerarlo estraneo al cristianesimo, nonostante le pretese di alcuni gruppi di rappresentarne addirittura la tradizione più autentica, i ritrovamenti di Nag Hammadi confermano le tesi degli apologisti. Per esempio, uno dei testi ritrovati è La Sofia di Gesù Cristo, in cui Cristo ammaestra alcuni discepoli rispondendo alle loro domande: ebbene, risulta essere trascrizione in forma di dialogo di un testo gnostico più antico, Eugnosto il Beato, forse risalente al secolo I a. C., quindi conferma l’origine precristiana o almeno non cristiana di temi fondamentali, anche prescindendo dal fatto che contatti secolari con il cristianesimo possono aver portato a una certa cristianizzazione di un gnosticismo originariamente estraneo a esso.5. Implicazioni socialiLe teorie gnostiche non sono prive di conseguenze sociali: infatti, se la concezione della realtà terrena come "acosmica", "senza ordine", mette in discussione l’esistenza del diritto naturale, il giudizio negativo sulla vita e sulla procreazione mina le basi stesse della società, della famiglia e della civiltà in genere. Quindi, lo gnosticismo non è solamente alternativo al cristianesimo, ma anche al pensiero greco e al diritto romano.L’affermazione del cristianesimo sullo gnosticismo non rappresenta quindi solo una questione interna della Chiesa, ma il punto di partenza per la formazione di una nuova civiltà, quella cristiana, con il riconoscimento del valore tanto dell’ordine spirituale quanto di quello temporale.Per questo il politologo Eric Voegelin (1901-1985) interpreta la secolarizzazione dell’Occidente cristiano come effetto dell’azione di una serie di movimenti rivoluzionari, fra i quali annovera la Riforma protestante, la Rivoluzione francese e il marxismo, in cui ritiene di riconoscere tratti comuni gnostici.6. Elementi gnostici nel Medioevo e nel mondo modernoSe la rilevanza dello gnosticismo declina a partire dal secolo IV, dopo il quale per gli studiosi non si può più parlare di gnosticismo in senso vero e proprio, il fenomeno sopravvive anche in quelli successivi, assume nuove forme e raggiunge talvolta dimensioni inquietanti, come con i catari. Scienze come l’alchimia e l’astrologia nonché la pubblicazione da parte dell’umanista Marsilio Ficino (1433-1499), nel 1463, del Corpus Hermeticum, una raccolta di scritti sapienziali di epoca ellenistica attribuiti a Ermete Trismegisto, contribuiscono alla diffusione di temi gnostici nella cultura rinascimentale.In epoca contemporanea oltre a movimenti, per lo più elitari, che si richiamano esplicitamente a correnti gnostiche del passato, non sono mancati tentativi d’identificare caratteri gnostici in fenomeni culturali moderni anche molto diversi: dalla mancanza di senso dell’esistenza terrena, come nel caso del nichilismo oppure dell’esistenzialismo, al rifiuto di accettare la realtà naturale con progetti d’interventi radicali, come nel caso delle manipolazioni genetiche. Caratteri gnostici si possono osservare anche in una certa mitologia relativa a Internet: se "[…] la pretesa gnostica — come scrive Giovanni Cantoni — sta nel ricostruire il reale attribuendo un diverso statuto ontologico a "enti di ragione" o a "opere di fantasia"", Internet fornisce la possibilità di modificare la realtà in modo più radicale di quanto sia stato finora possibile per mezzo dell’ideologia o della manipolazione creando una realtà virtuale in cyberspace, in cui ciascuno può "navigare", svincolato dai limiti del corpo.

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Mani (216-277) e manicheismo
 

La vita
Mani nacque, secondo la tradizione, il 25 Aprile 216 nel villaggio di Mardinu, vicino a Seleucia (Ctesiphon) sul fiume Tigri in Babilonia.
Man, il cui significato in aramaico è “l'illustre”, era probabilmente un titolo onorifico, piuttosto che un nome proprio. Il suo vero nome è sconosciuto, anche se alcune fonti riportano Shuraik.
La famiglia era di origini nobili persiane ed il padre, Fâtâk (o Pattak) Bâbâk era nato ad Ectabana, mentre per il nome della madre, anche essa di origini nobili, le varie fonti riportano Mes, Utâchîm, Marmarjam e Karossa.
Poco dopo la nascita di M., il padre abbandonò la madre e, portando il piccolo con sé, si ritirò in una comunità religiosa di elcasaiti o, secondo altre fonti, di encratiti o di mandei.
All'età di 12 anni, M. ebbe una visione: fu visitato da un angelo di nome El-Tawan (o Al-Tawn), suo gemello nell'aspetto e nel nome (infatti el tawan significa letteralmente il gemello).
El-Tawan lo istruì sulla sua missione sulla terra, ma gli disse anche di pazientare per almeno 12 anni, prima di rivelarsi al mondo. E infatti, dopo una seconda visita di El-Tawan, M., all'età di 24 anni, si recò in Persia ed iniziò a predicare il giorno della incoronazione dell'imperatore persiano Shapur I, il 20 Marzo 242 (data sacra per i Manichei), proclamandosi “l'apostolo del vero Dio”.
Ben presto M. entrò in conflitto con i Magi, i sacerdoti del Zoroastrismo, religione di stato della Persia a quei tempi, e fu esiliato.
Tuttavia, questo evento sfortunato risultò essere vincente per la diffusione del manicheismo nel mondo: infatti  durante i suoi viaggi in Turkmenistan, India e Cina, M. predicò e fece molti adepti e discepoli, fondando ovunque comunità manichee. In Cina fu molto popolare e conosciuto dai taoisti come “Moni Jiao”.
Dopo molto anni, tornò in Persia, dove poté predicare sotto la protezione dell'imperatrice Nadhira e del principe Peroz, fratello dell'imperatore. Nonostante ciò, fu imprigionato in seguito alle congiure dei suoi mortali nemici, la casta dei Magi, e liberato solo dopo la morte dell'imperatore nel 274.
Salì allora al trono il figlio di Shapur, Ormuzd I, che era sì favorevole a M., ma che regnò solo per 1 anno.
Il successore, Bahram I, sobillato dai soliti Magi, fece imprigionare e torturare M. per 30 giorni, al termine dei quali egli morì o crocefisso o frustato a morte o soffocato dalle sue stesse catene (le fonti non concordano sulle cause della morte).
Dopo la morte, M. fu decapitato e la sua testa esposta su una picca vicina alle porte della città. Sembra che anche il suo corpo fosse stato impagliato ed esposto al pubblico ludibrio.
La data tradizionalmente accettata per la sua morte è il 3 Marzo 277.

La dottrina
La complessissima dottrina di M., un sincretismo tra Cristianesimo, Buddismo, Mazdeismo e Gnosticismo, era basata sul principio dualista del confronto tra il Bene ed il Male, tema caro alle sette gnostiche, soprattutto quella di Valentino, i cui adepti confluirono, nei secoli successivi, nel Manicheismo.
La cosmogonia manichea si fondava, quindi, sulla contrapposizione tra:
  Il regno del Bene, comandato da Dio, cioè Padre di Grandezza (megethos), il quale si manifestava attraverso quattro persone (tetraposopon): Tempo, Luce, Forza, e Bontà. All'infuori di Dio, esistevano i Suoi cinque tabernacoli o eoni: Intelligenza, Ragione, Pensiero, Riflessione e Volontà oppure, secondo altri testi, Longanimità, Conoscenza, Ragione, Discrezione e Comprensione. Il Suo regno si espandeva in tutte le direzioni e l'unica limitazione era:
 
  Il regno del Male, comandato dal Principe delle Tenebre, i cui eoni erano Fiato pestilente, Vento ardente, Oscurità, Nebbia e Fuoco distruggente oppure Pozzi avvelenati, Colonne di fumo, Profondità abissali, Paludi fetide e Pilastri di fuoco. Il Principe, inoltre, si manifestava sotto forma di un'incarnazione, Satana, un mostro metà pesce, metà uccello, con quattro zampe e testa di leone.
In seguito ad una catastrofe primordiale, il regno delle Tenebre aveva invaso quello del Bene, gettando nel panico gli eoni: il Padre aveva deciso allora di creare una prima emanazione, la Madre di Vita, che, a sua volta, creò il Primo Uomo (protanthropos).
Anche il Primo Uomo aveva i suoi cinque elementi da opporre a quelli del Male: Aria pura, Vento rinfrescante, Luce brillante, Acque che donano la vita e Fuoco riscaldante, ma fu ugualmente sopraffatto dal Principe delle Tenebre. Sconfitto, il Primo Uomo invocò il Padre, che creò la seconda emanazione, lo Spirito di Vita, con le sue cinque personalità: Ornamento di splendore, Re dell'onore, Luce, Re della gloria e Supporto, i quali discesero nel reame delle tenebre e salvarono il Primo Uomo dal suo degrado.
Il Padre, allora, creò la Sua terza emanazione, il Messaggero, che emanò a sua volta dodici vergini: Maestà, Saggezza, Vittoria, Persuasione, Purezza, Verità, Fede, Pazienza, Rettitudine, Bontà, Giustizia e Luce. Questo Messaggero dimorava nel Sole e le vergini gli ruotavano intorno: una chiara allegoria dello zodiaco.
Dalla lotta tra il Messaggero e i figli delle tenebre nacquero due bambini, Adamo ed Eva, che avevano intrappolati in se i germi della luce. Le potenze del Bene mandarono allora il Salvatore o il Gesù celeste (M. rifiutava il concetto di Gesù terreno), personificazione della Luce cosmica, il quale risvegliò Adamo e gli fece vedere il Regno del Bene ed assaggiare i frutti dell'albero della vita. Adamo pianse e maledisse il suo destino: da allora, secondo M., l'uomo doveva cercare di purificarsi, dominando i desideri carnali per poter elevarsi al Regno del Bene.

Organizzazione e rituali
I manichei erano divisi in pochi “Perfetti”, molto assomiglianti ai monaci buddisti e molti “Uditori” o catecumeni.
I “Perfetti” non potevano avere alcuna proprietà, mangiare carne o bere vino, avere rapporti sessuali, svolgere qualsiasi attività lavorativa, praticare la magia o altri religioni.
Erano tenuti a rispettare i tre sigilli (signacula), e cioè:
  Il sigillo della bocca, che proibiva parole impure e cibi impuri, come la carne o il vino. Solo la verdura e la frutta erano permessi.
 
  Il sigillo delle mani, che proibiva qualsiasi lavoro manuale, anche la raccolta della frutta.
 
  Il sigillo del seno, che proibiva i pensieri malvagi ed il matrimonio, nel senso della procreazione. I manichei pensavano, infatti, che era male continuare la propagazione della razza umana, perché ciò significava un continuo imprigionamento della Luce nella materia.
Gli “Uditori” erano invece tenuti al rispetto dei dieci Comandamenti di M., che condannavano l'idolatria, la menzogna, l'avarizia, l'uccisione, la fornicazione, il furto, l'inganno, la magia, l'ipocrisia e l'indifferenza religiosa. Inoltre essi dovevano badare al mantenimento dei Perfetti, pregare quattro volte al giorno e digiunare in giorni ben precisi. Potevano, comunque, sperare nella metempsicosi, la trasmigrazione delle anime, per rinascere “Perfetti”.
Gli unici sacramenti previsti erano il battesimo e il consolamentum, o consolazione, una specie di imposizione delle mani.

I manichei
Nonostante le violente persecuzioni degli imperatori persiani e romani (Valentiniano nel 372, Teodosio nel 382, Giustino e Giustiniano nel VI secolo emisero decreti contro la setta), il Manicheismo si diffuse in vaste parti del mondo: ad est della Persia diversi popoli della Cina occidentale (la regione dello Xinjiang dove si crede la setta sia sopravvissuta fino al XVII secolo), India e Tibet si convertirono: addirittura gli Uigùri, tribù del Turkmenistan, adottarono, nel 763, il Manicheismo come religione di stato fino al XV secolo.
Ad ovest e sud della Persia, il Manicheismo si diffuse in Siria, Egitto e Nord Africa, dove l'esponente più famoso fu Fausto di Milevi, ma soprattutto dove Sant'Agostino (353-430) aderì alla setta per ben nove anni prima di convertirsi al Cristianesimo e combattere successivamente, in maniera feroce, la sua antica religione.
La punta massima della diffusione del M. avvenne verso la fine del IV secolo, dopo del quale la setta iniziò lentamente a declinare anche sotto l'attacco sistematico del Cristianesimo ad ovest e dell'Islamismo a sud ed est. Come già detto, si mantenne per lungo tempo solo in alcune zone dell'Asia centrale.
Tuttavia, sebbene non sia ancora stata dimostrata la connessione, il M. indubbiamente influenzò tutta una serie di eresie dualiste dei secoli successivi, come i Pauliciani, i Bogomili, i Catari. Questi ultimi, nel Medioevo, venivano chiamati “Manichei” dai Cristiani.

I testi
Sebbene nulla sia arrivato a noi integralmente, dai frammenti si capisce che la produzione letteraria manichea fu particolarmente copiosa. Si conoscono:
  Shapurakan, escatologia manichea in tre capitoli, dedicata al principe Peroz.
 
  Il libro dei misteri
 
  Il libro dei Giganti
 
  Il libro dei precetti per gli uditori
 
  Il libro del dono della vita
 
  Il libro della pragmatica
 
  Il Vangelo
 
  Altri testi vari, attribuiti direttamente a M. stesso o agli autori di ispirazione manichea, come l'ignoto scrittore del pezzo letterario, l'Inno della Perla.
 

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Marcione (ca. 85- ca. 160)


La vita
Marcione era figlio del vescovo di Sinope della provincia del Ponto, nato, secondo la maggior parte degli autori, nel 85 ca. (ma secondo altri nel 100 o addiritura nel 110).
In età adulta diventò alquanto benestante, facendo l'armatore e, grazie alla sua vita di castità e ascetismo, fu nominato vescovo.
Tuttavia fu scomunicato dal suo stesso padre, probabilmente per le sue idee religiose, rimanendo priva di ogni fondamento una versione piccante, riportata da Epifanio, di un'infatuazione di M. per una giovane vergine.
Nel 140, M. si recò a Roma, giungendo nel periodo di sede vacante tra Papa Igino (136-140) e Papa Pio I (140-155), e cercando di entrare nella comunità cristiana locale, anche per mezzo di generosi elargizioni: donò, infatti, l'enorme cifra di 200.000 sesterzi, denaro che però gli fu restituito quando si concretizzò il suo definitivo strappo dalla Chiesa Cattolica.
Egli, infatti, diede luogo al primo scisma nella storia del Cristianesimo nel 144: la sua chiesa dei marcioniti organizzata e strutturata, ebbe il suo massimo splendore durante il papato di Aniceto (155-166), e continuò, con una certa risonanza, fino al VI secolo, soprattutto nella parte orientale dell'impero.
M. ebbe, in seguito, molti allievi degni di nota, tra i quali spiccò Apelle e morì, probabilmente, nel 160.

La dottrina
Dal punto di vista dottrinale, M., oppositore del mondo giudaico, negò l'importanza per i cristiani del Vecchio Testamento e propugnò il concetto dualista di due Dei, il Dio del Vecchio Testamento (che peraltro egli totalmente rigettava), vendicativo e terribile Demiurgo creatore del mondo, e il Dio del Nuovo Testamento, descritto dal Cristo come buono e misericordioso e che aveva mandato Suo Figlio per riscattare il genere umano.
Inoltre M. riteneva che tutta la materia fosse male e seguì la dottrina del Docetismo, in cui il corpo di Cristo era del tutto immateriale in contrasto con i Cattolici, che credevano nella totale incarnazione del Cristo.
In ciò M. si avvicinò alle posizioni del gnostico Cerdo, sebbene, d'altra parte, M. non si possa definire totalmente un gnostico, in quanto la salvezza per lui non derivava dalla gnosi, ma dalla grazia.

I testi canonici per i marcioniti
Per M., gli unici testi canonici accettati furono 10 delle lettere di S.Paolo (escludendo le pastorali) e una forma abbreviata del Vangelo di Luca (mancante di parti come, ad esempio la nascita di Gesù).



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Monofisismo (V-VII secolo)


Dottrina eretica sviluppata da Eutiche, archimandrita (superiore) di un monastero con più di trecento monaci a Costantinopoli.

Dottrina
Nel 448, all'età di settant'anni, Eutiche scese in campo nella disputa teologica con Nestorio, ed in polemica con quest'ultimo, che affermava la presenza di due persone distinte (l'una divina e l'altra umana) nel Cristo incarnato, Eutiche ribadì che, prima dell'incarnazione, c'erano due nature, ma dopo una sola, quella divina, derivata dall'unione delle due nature stesse (ek duo physeon).
In questa maniera, Eutiche negò che la natura di Cristo fosse consustanziale alla nostra, fatto che, quindi, impedirebbe di redimerci attraverso di Lui.
Detta dottrina fu definita monofisismo, ma secondo alcuni autori, Eutiche non ne fu il vero fondatore, che si deve probabilmente ricercare in San Cirillo di Alessandria (376-444, Vescovo e Padre della Chiesa). Altri fanno risalire le prime credenze monofisite ad Apollinare di Laodicea.

La storia fino al Concilio di Calcedonia
La chiave di volta per la diffusione del m. fu il Concilio di Efeso dell'Agosto 449, presieduto da San Flaviano, Patriarca di Costantinopoli e fortemente voluto da Dioscoro, vescovo monofisita di Alessandria e successore di Cirillo: in questo Concilio, l'insegnamento di Eutiche venne dichiarato ortodosso.
Sfortunatamente l'intero andamento del Concilio fu palesemente falsato dal clima di terrore instaurato da Dioscoro e dai suoi monaci semianalfabeti violenti e fanatici, capeggiati da Barsumas: furono destituiti i più importanti teologi antiocheni (Domno di Antiochia, Eusebio di Dorileo, Iba di Edessa e Teodoreto di Ciro), con l'accusa di nestorianesimo e perfino San Flaviano fu percosso, probabilmente da Barsumas, e morì alcuni giorni dopo, non si sa se per lo choc o per le percosse.
Ovviamente, il concilio si concluse con l'assoluzione di Eutiche e la scomunica di Flaviano e di Papa Leone I Magno (440-461), che definì questo sinodo come non un “concilium”, bensì un “latrocinium” (brigantaggio)!
Fu altresì ovvio che il Papa considerasse privo di validità qualsiasi decisione presa, ma in contrasto con il pensiero papale, l'imperatore Teodosio II lo ritenne valido.
Tuttavia, dopo la morte di Teodosio nel 450, nel Concilio a Calcedonia, convocato dall'imperatrice Pulcheria, fervente cattolica ortodossa nell'Ottobre 451, il monofisismo venne condannato e furono esiliati sia Dioscoro, che Eutiche.

Il m. si sviluppò in molte parti dell'impero, ma soprattutto in quattro paesi: Egitto, Etiopia, Siria e Armenia.

Egitto
Dopo che Dioscoro fu bandito, l'imperatore Marciano (450-457) fece eleggere al seggio di Alessandria Proterio. Ma questi fu semplicemente ignorato dagli egiziani e successivamente assassinato nel 457.
Fu, invece, eletto a Patriarca d'Alessandria nel 457 (o 460), per acclamazione popolare, Timoteo Aeluro (dal nome del gatto sacro agli antichi egizi), ma questo diede luogo alla creazione, nell'impero, di due fazioni contrapposte: i cattolici ortodossi, chiamati Melchiti, fedeli all'imperatore, e i monofisiti.
Aeluro, con l'aiuto dei monaci cristiani egiziani, denominati in arabo qubt (copti) dal greco (e)gýpt(ikos), fu il fondatore della Chiesa Egizia monofisita, detta appunto Chiesa Copta.
Il tipo di monofisismo adottato dai Copti rifiutava il concetto espresso da Eutiche di fusione tra le due nature, divina e umana, di Gesù Cristo, per favorire un'unione come tra corpo e anima.
Nel periodo 484-519, durante lo scisma acaciano, provocato dal patriarca di Costantinopoli, Acacio di Berea, il m. si rinforzò in Egitto, grazie soprattutto a Pietro Mongo, vescovo di Alessandria e successore di Aeluro, che accettò il Henoticon, il documento di compromesso (poi fallito) tra cattolici e monofisiti, voluto dall'imperatore Zenone (474-475 e 476-491).

Etiopia
L'Etiopia venne cristianizzata, nel IV secolo, da San Frumenzio, diventato vescovo di Axum nel 356. Le resistenze nei confronti della nuova religione furono elevate e solo nel VI secolo il Cristianesimo riprese vigore con l'arrivo dei “Nove Santi”, monaci monofisiti giunti in Etiopia, probabilmente per sfuggire alle persecuzioni dei cattolici.
Dal 640, la Chiesa di Etiopia fu assorbita da quella Copta egiziana e questa dipendenza rimase fino al 1951.

Siria
Il monofisismo siriano fu fondato da Severo di Antiochia, patriarca tra il 512 ed il 518, ma nel Settembre 518, un sinodo, convocato dall'imperatore Giustino I (518-527), che desiderava la riunione con i cristiani occidentali, depose Severo ed iniziò una campagna di persecuzione nei confronti del m.: solo l'azione di Giovanni Bar Qursos, vescovo di Tella (in Siria), impedì la scomparsa del movimento per mancanza di nuovi sacerdoti.
Infatti Bar Qursos, a suo rischio e pericolo, si mise ad ordinare quanti più preti monofisiti possibili su un vasto territorio corrispondente agli odierni Siria, Turchia, Libano, Iraq e Armenia.
Simile azione fu compiuto da Giacomo Baradeo, l'eroe del m. siriano, nominato al seggio di vescovo di Edessa nel 542 con la protezione dell'imperatrice Teodora, moglie di Giustiniano. Baradeo fu il vero fondatore della Chiesa Nazionale Siriana o Chiesa Siriana Occidentale, chiamata in suo onore Giacobita.

Armenia
Il Cristianesimo in Armenia fu introdotto da San Gregorio l'Illuminatore nel 314, anche se la data ufficialmente accettata è il 306. La Chiesa Armena rimase fino al V secolo sotto l'influenza bizantina, ma durante il Concilio di Calcedonia del 451 gli armeni ruppero le relazioni, in quanto non condividevano la dottrina della doppia natura di Cristo.
Essi si accostarono, quindi, al monofisismo, se pur con varianti locali, anche per un'opportunità politica: infatti i nemici di sempre, i persiani, avevano aderito al nestorianesimo.
I bizantini cercarono più volte di riportare l'Armenia al cattolicesimo e nel 591, l'imperatore Maurizio (582-602), dopo aver occupato parte del territorio, provocò una scissione interna, facendo nominare un patriarca fedele alla dottrina di Calcedonia.
Questa scissione non durò a lungo e nel 645 al sinodo armeno di Tvin furono condannate le decisioni di Calcedonia. In quegli anni, l'Armenia fu conquistata dagli arabi, che garantirono comunque una certa libertà religiosa, la quale permise alla Chiesa Armena di consolidarsi e svilupparsi.

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Sergio di Costantinopoli (m. ca. 638) e monotelitismo (o monotelismo)


Sergio diventò patriarca di Costantinopoli nel 610: nel 622 accadde un episodio che ebbe un notevole effetto sulla sua futura memoria: l'imperatore Eraclio (610-641) diede udienza ad un monofisita, della corrente degli Acefali, di nome Paolo, il quale dibatté con l'imperatore per perorare la dottrina, in cui credeva.
Eraclio, nella contestazione dei punti teologici di Paolo, incorse nell'uso delle parole: unica “operazione” (enérgheia), a proposito delle attività di Cristo. Qualche anno più tardi, nel 626, Eraclio chiese a Ciro, a quel tempo vescovo di Phasis, conforto sull'ortodossia delle parole da lui usate.
Non avendo ricevuto una risposta soddisfacente, Eraclio scrisse direttamente a S., di cui l'imperatore aveva massima stima.
S. rispose facendo riferimento a una lettera di un suo predecessore, Menas, approvata dal Papa Vigilio (537-555), in cui si citava una volontà (thélema) di Cristo, il quale compiva opere divine ed umane mediante un'unica operazione (enérgheia).
Non è mai stato accertato se questo documento fosse autentico: è stato ipotizzato che fosse stato redatto, assieme ad altri documenti di supporto, dal Pseudo-Dionigi l'Aeropagita, un teologo mistico del VI secolo, che veniva spesso confuso con Dionigi l'Aeropagita, un greco convertito da San Paolo ad Atene.
Dall'unico thélema deriva il termine, data a questa dottrina, di monotelismo (o monotelitismo) e dall'unica enérgheia deriva il termine di monoenergismo.
La dottrina, rielaborata da S., permise a Ciro, diventato, nel frattempo, nel 631, vescovo di Alessandria, di riconciliare temporaneamente i cattolici e i monofisiti dell'Egitto, ma fu contestata da San Sofronio, vescovo di Gerusalemme.
Allora S. si decise, nel 634, a scrivere a Papa Onorio (625-638) lasciando cadere, per prudenza, la questione dell'unica o due (umana e divina, come chiedeva Sofronio) operazioni e concentrandosi sull'unica volontà di Cristo, da cui il nome di monotelitismo (o monotelismo).
Papa Onorio, imprudentemente, la approvò, senza troppo sottoporla al vaglio dei teologi, e S. la incluse in un editto intitolato Ékthesis (Esposizione).
Tuttavia, dopo la morte di Papa Onorio e di S. stesso nel 638 e quella dell'imperatore Eraclio nel 641, i teologi cattolici, con a capo Papa Giovanni IV (640-642), smentirono questa dottrina, tornando alla dottrina più canonica delle due volontà, divina e umana, di Cristo.
Il dibattito su energia e volontà, comunque, continuò ad infiammare gli animi dei cristiani, a tal punto che l'imperatore Costante II (641-668) dovette emanare, nel 648, l'editto Typos per frenare le polemiche.
Ma sulla cattedra di Pietro sedeva un energico Papa (San) Martino I (649-655), il quale convocò, nel 649, un sinodo in Laterano, dove condannò gli editti Ékthesis e Typos, scomunicò S. e ribadì l'esistenza in Cristo delle due volontà.
Costante reagì molto male ai pronunciamenti di Martino: lo fece arrestare nel 653 dall'esarca Teodoro Calliope e portare in catene a Costantinopoli.
Qui Martino fu imprigionato in attesa di essere condannato a morte, ma poi, grazie all'intercessione del patriarca monotelita di Costantinopoli, Paolo, la sentenza fu dall'imperatore trasformato in esilio a Cherson, in Crimea, dove il povero Martino morì per stenti nel 655.
Ciononostante, l'ortodossia si era oramai pronunciata su questa dottrina e nel 680 al VI Concilio Ecumenico a Costantinopoli, presieduto dall'imperatore Costantino IV Pogonato (668-685) e voluto da Papa Agatone (678-681), il monotelismo ed il monoenergismo vennero definitivamente condannati.
In questo Concilio la scomunica venne estesa anche a Papa Onorio, colpevole di aver avallato la dottrina di S.
Successivamente Papa Leone II (682-683) nel 683 corresse il tiro, cambiando la condanna di Onorio da eresia in negligenza pastorale.
Comunque la condanna a Onorio rimase ed il fatto che un Papa potesse cadere in errore fu utilizzato durante la Riforma del XVI secolo dai protestanti, che contestavano, a quel tempo, l'infallibilità papale.

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09/10/2009 17:58
 
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Montano e montanismo (II secolo)


Che Montano sia stato un riformatore della giovane Chiesa Cristiana o un millenarista trascinatore di folle poco importa, sicuramente egli fu il fondatore di un fenomeno di massa molto popolare, il montanismo o catafrigismo (dalla Frigia, regione di origine del movimento), che preoccupò non poco i vescovi cattolici del II e III secolo.

La vita
M. nacque, con ogni probabilità, ad Ardabau, in Frigia (Asia Minore), nella prima metà del II secolo.
Secondo S. Girolamo, egli era stato sacerdote di Cibele fino alla conversione al Cristianesimo ed a questo passato tenebroso (il culto di questa dea comprendeva crudeli cerimonie, come l'autocastrazione dei suoi sacerdoti) il Padre della Chiesa attribuiva le estasi di M. come comportamento tipico dei seguaci di Cibele. Oggigiorno si tende, tuttavia, a non dare molto credito a questa ipotesi, probabilmente una fantasiosa forzatura di S. Girolamo.
M. iniziò a predicare nella regione natale nel 156 (o 157) accompagnandosi con due profetesse Massimilla e Priscilla (o Prisca), anch'esse, come M., illuminate dallo Spirito Santo e dotate di capacità profetiche.
Ed infatti, invece di riti più tradizionali, M. riuniva i suoi seguaci in manifestazioni di massa nella piana tra Pepuza e Tymion, dove i profeti andavano in estasi e parlavano per bocca dello Spirito Santo.
Il fenomeno montanismo continuò a diffondersi fino alle prime reazioni, piuttosto contrastanti, da parte della Chiesa: la denuncia fatta nel 171 dal vescovo di Ierapoli, Apollinare e l'attacco da parte di Sant'Ireneo (ca. 140-200) (per la verità, non molto incisivo per il fatto che Ireneo stesso era un millenarista convinto come M.) nel suo Adversos haereses del 177 vennero vanificati dall'atteggiamento piuttosto neutrale dei Papi Eleuterio (175-189) e Vittore I (189-199), nel periodo dei quali il movimento poté prosperare indisturbato.
Infatti una vera e propria condanna avvenne solo nel 202/203, sotto Papa Zefirino (199-217), cioè molti anni dopo la morte dell'ultima dei tre fondatori, Massimilla avvenuta nel 179 (la data della morte di Montano,che, secondo alcune fonti, si sarebbe impiccato, e di Priscilla è probabilmente anteriore).
Anche dopo la morte dei fondatori e nonostante la persecuzione da parte dell'imperatore Settimio Severo (173-211) nel 193, il montanismo continuò a diffondersi in Asia Minore, Africa settentrionale (Cartagine), Gallia (Lione) e a Roma stessa, dove diventarono celebri le scuole montaniste di Eschine e Proclo. A Cartagine, nel 207, fu guadagnato alla causa montanista un convertito d'eccellenza: il noto scrittore e teologo cristiano Tertulliano (ca. 155-222).
Il movimento si espanse fino al IV secolo, quando iniziò il suo lento declino grazie al nuovo corso dato alla Chiesa Cristiana dall'imperatore Costantino (306-337), ma si estinse solo nel VI secolo soprattutto a causa delle dure repressioni ordinate dall'imperatore Giustiniano (527-565), durante il regno del quale, si dice, furono scoperti e bruciati i resti di Montano, Massimilla e Priscilla.
Tuttavia sopravvisse qualche frangia montanista isolata , poiché nel VIII secolo se ne sentiva ancora l'influenza tant'è che l'imperatore d'Oriente Leone III l'Isaurico (717-741) adottò misure repressive contro i montanisti nel 722.

La dottrina
Il montanismo non era dotata di una vera e propria dottrina, bensì di una serie di comportamenti e precetti. Infatti, sotto questo punto di vista, non si può definire una eresia vera e propria, ma piuttosto uno scisma interno alla Chiesa Cristiana.
Lo scisma era sorto perché i montanisti affermavano la superiorità dei profeti carismatici sui vescovi e ammettevano, in contrasto con la Chiesa “ufficiale”, la partecipazione delle donne, soprattutto per quanto riguardava le rivelazioni e le profezie: Massimilla e Priscilla ne erano i più celebri esempi.
I montanisti erano quartodecimani, cioè festeggiavano la Pasqua il 14° giorno del mese di Nisan (mese ebraico tra Marzo e Aprile, il cui inizio era stabilito dalla luna di Marzo), indipendentemente dal giorno della settimana, e non nella domenica successiva.
Tuttavia il vero punto focale del movimento era lo spirito millenarista, l'attesa del ritorno a breve di Cristo sulla terra, chiamata parusía: ciò era probabilmente dovuto all'enorme influenza sul mondo cristiano di quel periodo che ebbe l'Apocalisse di Giovanni.
I montanisti, quindi, per prepararsi degnamente a questa venuta, avevano adottato dei comportamenti morali molto severi: proibivano il secondo matrimonio, e certe volte il matrimonio stesso, praticavano la castità assoluta e periodi di digiuno molto drastici, erano inflessibili con chi commetteva i peccata graviora (adulterio, omicidio, apostasia) e condannavano coloro che fuggivano durante le persecuzioni, arrivando perfino a lodare l'autodenuncia.
Per i suoi seguaci, M. era il novello paraclèto, cioè consolatore, secondo il passo dal Vangelo di San Giovanni (14,16): io invocherò il Padre ed egli vi darà un altro consolatore, affinché resti con voi per sempre, e la nuova Gerusalemme, scesa dal cielo in terra, sarebbe diventata la città di Pepuzia (da cui il nome di pepuziani dato ai montanisti) secondo l'interpretazione di un sogno di Priscilla.
E nonostante che le date fissate per la parusía venissero puntualmente disattese, come spesso è successo anche in altri casi (vedi le sette millenariste del XIX e XX secolo), la popolarità del movimento rimase, come si è detto, altissimo per parecchio tempo.

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Nestorianesimo


L'affermazione del N. in oriente si inserì in una complessa lotta a tre con gli altri due protagonisti, il cattolicesimo ed il monofisismo.
Nell'anno della morte di Nestorio, 451, si tenne il concilio di Calcedonia, dove si ripudiò, almeno formalmente, sia il N. che il monofisismo: anche Teodoreto di Ciro, l'ex-alleato di Nestorio, fu costretto ad allinearsi su posizioni più ortodosse.
Tuttavia la zona di confine orientale dell'impero e gli stati limitrofi permisero la propagazione del N. Infatti, già dal Concilio di Efeso del 431, la Chiesa nestoriana di Seleucia-Ctesiphon, nel regno sassanide della Persia, fondata nel 410, rifiutò la condanna di Nestorio, isolandosi dalla Chiesa Cattolica.
Grande promotore del N. in Persia fu Barsumas di Nisibis, che, nel 489, fece aprire una scuola di teologia nella sua città, accogliendo gli insegnanti espulsi dall'arcivescovo Ciro in occasione della chiusura della scuola persiana di teologia di Edessa. Ed anche il direttore della scuola di Nisibis, il n. Narsai, proveniva dalla scuola di Edessa, dove ricopriva lo stesso incarico.
Nel 486, al sinodo di Seleucia-Ctesiphon, la Chiesa persiana accettò ufficialmente il credo n. e nel 498 il patriarca o catholicos di Seleucia divenne il patriarca n. anche di Persia, Siria, Cina e India e i cattolici furono trattati alla stregua di eretici ed espulsi dal territorio.
La capacità di fare proselitismo e attività missionaria dei n. in zona fu sempre molto elevata. Oltre a convertire molti zoroastristi in Persia, furono portati alla fede cristiana dai n. gli Unni Bianchi nel VI secolo, i Keraiti (turchi dell'Asia centrale) e gli Onguti (popolazione tartara) nel XI secolo. La massima diffusione in Cina del n. fu quando i missionari riuscirono a consacrare un vescovo a Pechino.
Tuttavia due episodi storici segnarono il declino del n. in Asia: l'invasione di Tamerlano del 1380 e l'espansione dell'islamismo con la conversione della Persia.
Per la verità finche in Persia dominarono gli arabi Ommiadi, la Chiesa n. poté continuare a fiorire, ma la situazione peggiorò con la venuta al potere della dinastia Abbasside.
Rimasero alcune zone isolate:

• I n. di Cipro, che si unirono a Roma nel 1445,

• La Chiesa n. di Socotra che si estinse nel XVII secolo,

• La Chiesa siro-malabarita, sulla costa del Malabar in India, noti anche come Cristiani di San Tommaso. Nel 1599 la Chiesa subì una scissione in seguito al sinodo di Diamper, dove fu decisa la riunione con il Cattolicesimo e l'affidamento dei fedeli alla curia portoghese locale. Infatti una cospicua parte dei fedeli, pur di mantenere rito, liturgia e lingua siriaca, abbandonarono la Chiesa, aderendo nel 1603 al monofisismo (sic!) del patriarca Thomas Parampil .

• I cristiani assiri, che, in seguito ai massacri di Tamerlano del 1380, trovarono rifugio sulle montagne dei Kurdistan. Nel XVI secolo, ci fu un tentativo di conciliazione con la Chiesa Cattolica ed il metropolita Abdisho fu invitato ad assistere al Concilio di Trento. Tuttavia questo tentativo portò alla scissione, guidata dal vescovo Denha Simeon, di una parte dei fedeli, che costituirono la Chiesa Caldea. Nel XX secolo i caldei sono passati attraverso numerosi espulsioni e stragi compiuti dai Turchi, Curdi, Iracheni e questo ha portato alla quasi totale estinzione della Chiesa, che, per sopravvivere, ha dovuto emigrare negli anni '40 in America.

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Nicolaiti (½ I° secolo)


Il diacono Nicola, proselita di Antiochia fu uno dei sette prescelti dagli apostoli per amministrare la comunità dei primi cristiani, ma secondo Sant'Ireneo (ca. 140-200), Nicola fu anche il fondatore della setta dei Nicolaiti.
Tuttavia questa paternità viene contestata da altri autori cristiani, come Eusebio di Cesarea (ca. 265-340).
Che il fondatore fosse questo o un altro Nicola, poco importa: la setta ebbe una certa diffusione, tale da essere citata anche nell'Apocalisse di Giovanni 2,6 (tuttavia hai questo: odi le opere dei Nicolaiti che anch'io odio) e 2,15 (così anche tu, parimenti, hai di quelli che professano la dottrina dei Nicolaiti), dove una profetessa (probabilmente nicolaita) di Tiàtira (una città, oggi denominata Akbisar, 100 km. a NE di Efeso), tale Iezabele, seduceva i cristiani incitandoli a fornicare e a mangiare le carni consacrate agli idoli. A questo episodio venne dedicata l'intera quarta lettera dell'Apocalisse 2,18:29.
La dottrina di questa setta, infatti, non ammettendo la divinità di Cristo, portava ad una interiorizzazione della fede e ad una mancanza di pratiche esterne, quindi i suoi adepti si dedicavano all'idolatria e libertinismo.
Su quest'ultimo punto si intrecciano le testimonianze, molto spesso di parte: secondo alcuni, lo stesso Nicola di Antiochia, rimproverato di essere troppo attaccato alla moglie, la offrì ad un altro per dimostrare di voler servire solo Dio.

La terminologia di nicolaiti tornò di moda nel Medioevo, per indicare i religiosi che vivevano in concubinato con donne e contro questa pratica, alquanto diffusa all'epoca, lottò il movimento riformatore dei patarini.



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Pelagio Britannico (ca. 360-420) e pelagianismo e predestinazionismo


Può l'uomo salvarsi con le sue sole forze, senza la Grazia divina o è predestinato alla salvezza o alla dannazione eterna?
Questo dilemma, ricorrente nella storia del pensiero Cristiano (basti solamente pensare al dibattito nell'ambito del Protestantesimo), fu posto, per primo, dal monaco britannico Pelagio.

La vita
Pelagio Britannico, di nome e di fatto poiché era nato in Britannia nel 360 ca., fu un monaco teologo di grande cultura, vissuto a Roma almeno dal 400, altamente rispettato da molti personaggi dell'epoca, tra cui quel Sant'Agostino, che tuttavia diventò in seguito il suo acerrimo avversario.
A Roma egli conobbe Celestio, un uomo di legge di origini nobili, diventato suo amico e con il quale P. fuggì, in seguito all'invasione e sacco di Roma da parte dei Goti di Alarico nel 410. I due si rifugiarono dapprima ad Ippona, in Nord Africa, e poi a Cartagine, dove rielaborarono la dottrina del pelagianismo.
Durante il suo soggiorno in Africa, P. conobbe solo occasionalmente il suo futuro avversario, Sant'Agostino, impegnato all'epoca nella disputa contro i donatisti.
Successivamente, P. si trasferì in Palestina, mentre Celestio, rimasto in Nord Africa, fu condannato dal sinodo di Cartagine nel 411 per le sue dottrine. In Palestina P. produsse svariati scritti, alcuni dei quali ci sono giunti: una lettera alla nobile romana Demetria, residente a Cartagine, contenente i principi della sua filosofia e un lavoro, De natura, del 415, condannato da Sant'Agostino nel suo De natura et gratia.
Nel luglio del 415 San Girolamo e Paolo Orosio, un prete spagnolo, discepolo di Sant'Agostino, cercarono di far condannare P. da parte di un sinodo a Gerusalemme, presieduto dal vescovo della città, Giovanni, ma sia l'atteggiamento di quest'ultimo, favorevole al pelagianismo, che l'ottima autodifesa di P. fecero sì che il sinodo non prendesse alcuna decisione rimandando il tutto a Papa Innocenzo I (401-417).
Simile risultato ebbe un ulteriore sinodo nel dicembre dello stesso anno a Diospolis, convocato in seguito alla denuncia dei vescovi francesi, Ero di Arles e Lazzaro di Aix.
Tuttavia l'offensiva degli ortodossi fu senza sosta: l'anno successivo, nell'autunno del 416, furono convocati ben due sinodi, il primo a Cartagine, con la presenza di 67 vescovi ed il secondo a Milevi (in Numidia) con la presenza di 59 vescovi. Entrambi condannarono il pelagianismo e i relativi atti, rinforzati da una lettera di Sant'Agostino e di altri 4 vescovi, furono inviati a Papa Innocenzo I per l'avvallo. Il papa, pur precisando la suprema autorità di Roma nelle decisioni in materia dottrinale, in un sinodo a Roma nel 417 condannò il pelagianismo.
Tuttavia, quando tutto sembrò volgere al meglio per gli ortodossi, il papa Innocenzo I morì ed il suo successore Zozimo (417-418) venne, in un incontro, abilmente convinto da Celestio, dell'ortodossia del pelagianismo: il papa prosciolse la dottrina da ogni accusa, anzi addirittura tirò pure le orecchie a Sant'Agostino e ai vescovi africani per la precipitazione delle loro decisioni.
Successivamente, Zozimo corresse il tiro, dando ai vescovi il tempo per portare, davanti a lui, le prove dell'eresia pelagiana.
Per ottemperare a questa disposizione papale, fu convocato il sinodo di Cartagine del 418, dove, in presenza di 200 vescovi, furono stabiliti otto (o nove) dogmi di confutazione del pelagianismo, riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da Papa Zozimo, sono poi diventati articoli di fede per la Chiesa Cattolica.
Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore Onorio (395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418 un ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi: furono costretti all'esilio Celestio e Giuliano vescovo di Eclano (vicino a Benevento in Campania).
L'ordine non colpì P., che ormai da tempo risiedeva in Palestina e dove probabilmente morì nel 420 ca.

La dottrina
La dottrina di P. venne da lui sviluppata come reazione al monachesimo ascetico di San Girolamo e al fatalismo manicheo, molto diffuso all'epoca: si pensi che anche Sant'Agostino stesso era stato manicheo in gioventù.
Secondo P., gli uomini non erano predestinati (concetto di Sant'Agostino elaborato da una sua interpretazione molto personale del pensiero di San Paolo), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna: non era necessario l'intervento della Grazia divina.
Questo concetto, comunque, non era nuovo, essendo già stato abbozzato dal grande teologo Origene all'inizio del III secolo, e la conseguenza di questo revival fu che l'origenismo stesso fu condannato nel 401 dal vescovo di Alessandria, Teofilo.
Il pelagianismo inoltre negava la trasmissione del peccato originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano, anche se sembra che questo concetto sia stato per primo introdotto da un tale Rufino il Siriano, aderente alla setta, e solo successivamente ripreso da P.
Poiché non sussisteva il peccato originale, il battesimo era visto da P. come un momento di accoglimento nella Chiesa: tuttavia, se il bambino moriva senza battesimo, veniva ugualmente accolto in paradiso.
Il punto sul peccato originale venne vigorosamente contestato da Sant'Agostino, convinto assertore che il peccato originale fosse ereditario e collegato all'atto sessuale (il furore sessuofobico di Agostino era leggendario), quindi “siamo tutti peccatori”.
Le idee pessimistiche di Agostino, molto influenzate da una visione di tipo manicheo, trionfarono sulla scelta umana di P. e influenzarono il Cristianesimo per secoli.
Del resto la libertà di decisione data all'uomo da P. mal si sposava con un apparato ecclesiastico, che non aveva altrimenti ragione di esistere, se non di aiutare l'uomo, perenne peccatore, ad evitare la dannazione eterna.

Il pelagianismo dopo la morte del fondatore
Dopo la morte di Pelagio nel 420 ca., il bastone del comando fu preso soprattutto da Giuliano, vescovo di Eclano, che, dal suo esilio in oriente, si impegnò in una disputa decennale con Sant'Agostino.
Tuttavia, un fatto alquanto imprevedibile segnò il destino dei pelagiani: il supporto dato loro dal patriarca di Costantinopoli, Nestorio. Quando il nestorianesimo venne condannato dal Concilio di Efeso del 431, anche il pelagianismo seguì la stessa sorte e fu perseguitato in Oriente dall'imperatore Teodosio II (408-450) fino alla sua estinzione.
In Occidente esso sopravvisse più a lungo nelle isole Britanniche, particolarmente in Galles ed in Irlanda, ed in Gallia, dove fu rielaborata dal monaco Giovanni Cassiano nella forma del semi-pelagianismo, condannato dal II sinodo di Orange del 529.

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09/10/2009 18:00
 
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(San) Giovanni Cassiano (ca. 360-ca. 435) e semipelagianismo e massiliani


La vita
Giovanni Cassiano nacque in Provenza ca. nel 360 da famiglia molto benestante e ricevette in gioventù un'ottima educazione.
Ancora giovane, decise con un suo amico, tale Germano, di visitare i luoghi sacri in Palestina, soggiornando lungamente in Betlemme. Tuttavia a colpire profondamente C. fu soprattutto una visita ai più famosi eremi del deserto egiziano, dove conobbe e divenne probabilmente discepolo di Evagrio Pontico, il grande ispiratore del monachesimo orientale.
Dall'Egitto, C. si trasferì a Costantinopoli, dove diventò allievo di San Giovanni Crisostomo, patriarca della città, il quale lo nominò diacono e tesoriere della cattedrale.
Tuttavia, nel 403, Crisostomo fu condannato all'esilio ad Antiochia e poi nel Ponto, dal sinodo di Ad Quercum, cioè la Quercia, sobborgo di Costantinopoli, in seguito ai loschi maneggi del suo acerrimo avversario, Teofilo, patriarca di Alessandria.
Per perorare la causa di Crisostomo, C. fu inviato presso Papa Innocenzo I (401-417) a Roma, dove fu successivamente ordinato sacerdote.
Nel 415, C. fondò a Marsiglia due monasteri, uno per uomini, intitolato a San Vittore, e l'altro per donne, sull'esempio di quelli egiziani, ed in Provenza visse per il resto della sua vita, scrivendo i suoi due libri, De institutis coenobiorum e Collationes, rispettivamente un trattato di regole monastiche ed una serie di conversazioni di C. con eremiti egiziani.
C. morì nel 435 ca.
Benché non sia stato mai canonizzato dalla Chiesa Cattolica, tale lo considerarono due papi: San Gregorio Magno (590-604) e Urbano V (1362-1370), quest'ultimo ex abate di San Vittore di Marsiglia.
Inoltre venne nominato santo dalla Chiesa Greca e a Marsiglia viene celebrato la sua festa il 23 Luglio.

La dottrina del semipelagianismo
C. venne considerato il fondatore dell'eresia (condannata, per la verità, in maniera definitiva quasi 100 anni dopo la sua morte) conosciuta come semipelagianismo, tentativo ingegnoso di mediare le posizioni del Pelagianismo e quelle espresse da Sant'Agostino.
Se i pelagiani affermavano che, con la propria volontà (liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, l'uomo poteva, senza l'intervento della Grazia divina, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna, ed gli agostiniani affermavano che, al contrario, senza l'intervento della Grazia divina, l'uomo non poteva salvarsi; C. predicò che l'uomo non poteva salvarsi senza la Grazia divina, tuttavia doveva decidere di vivere in maniera virtuosa, prima che Dio concedesse la Sua Grazia.
In questa maniera, secondo C., sia la volontà dell'uomo che la Grazia divina erano importanti per la salvezza, tuttavia la predestinazione eterna era più legata alla volontà umana, fondamentale per l'ottenimento successivo della Grazia.

Il semipelagianismo e i massiliani
Le dottrine di Giovanni Cassiano furono propagandate dai monaci di San Vittore in Marsiglia, che dal nome latino della città furono denominati massiliani.
Essi, partendo da una iniziale posizione neutrale verso Sant'Agostino, diventarono man mano suoi avversari. Agostino impiegò gli ultimi anni della sua vita per confutare le loro tesi, tuttavia, nel 430, durante l'assedio di Ippona da parte dei Vandali, egli morì. La lotta contro i massiliani fu ereditata dal suo discepolo Prospero di Aquitania senza particolare fortuna, visto che per tutto il V secolo, il semipelagianismo rimase la dottrina più diffusa in tutta la Gallia.
Di questo periodo l'esponente più autorevole fu Fausto, vescovo di Riez.
Nel VI secolo, tuttavia, una nuova confutazione fu elaborata da San Fulgenzio, vescovo di Ruspe (in Nord Africa), il “novello Sant'Agostino”, che, esiliato in Sardegna dal re ariano dei Vandali, Trasmundo, scrisse una confutazione delle tesi di Fausto, accelerando la fine della dottrina semipelagianista.
Questa era difesa all'epoca da Cesario, vescovo di Arles, il quale fu attaccato dapprima nel sinodo di Valence del 528, ma soprattutto nel secondo sinodo di Orange del 529.
Quest'ultima congregazione condannò il semipelagianismo, oltre al pelagianismo, come eresia e le sue conclusioni furono ratificate nel 530 da Papa Bonifacio II (530-532).



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09/10/2009 18:00
 
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Grande scissione d'Oriente (1054) e filioque


Filioque
Formula in lingua latina inserita nel Credo Cattolico al punto: “Credo nello Spirito Santo, ... che procede dal Padre (e dal Figlio = Filioque)”. Questo concetto viene anche denominato da alcuni autori come “Doppia Processione dello Spirito Santo”.
La relativa dottrina fu per prima esposta in alcuni documenti di Patristica del IV secolo (scritti di San Basilio, Sant'Atanasio, San Gregorio Nazianzo), ma successivamente la formula stessa fu aggiunta al Credo Niceno Costantinopolitano in occasione del III Concilio di Toledo del 589.
Tuttavia nel 787, durante il II Concilio Ecumenico di Nicea (ultimo concilio ufficialmente riconosciuto dai Cristiani Ortodossi), il Patriarca di Costantinopoli, San Tarasio ribadì la formulazione nicena del Credo senza l'aggiunta del Filioque.
In Oriente, infatti, i vari patriarcati (soprattutto quello di Costantinopoli) rifiutavano questa aggiunta, in quanto vedevano l'unità divina riferita all'unica fonte divina del Padre, da cui procedevano sia il Figlio che lo Spirito Santo: quest'ultimo procedeva, a sua volta, attraverso o per il Figlio (per Filium). I teologi franchi criticarono questa “dimenticanza” orientale, mentre il loro imperatore Carlomagno (771-814) fece anche di più: approfittando di una ambasciata all'emiro di Baghdad per cercare alleanze in chiave anti-bizantina, convinse l'abate Giorgio del monastero latino sul Monte degli Olivi in Palestina ad adottare la nuova formula, scatenando la reazione del vicino monastero greco di San Sabba e del mondo cristiano orientale.
Nonostante il richiamo alla prudenza di Papa Adriano IV (772-795) e l'esplicito invito del successore Papa San Leone III (795-816) a non utilizzare questa formula, essa divenne gradualmente di uso comune nell'Occidente, fino ad essere accettata dalla liturgia romana nel 1014.
Il primo patriarca d'Oriente a sollevare la questione con una tale forza da creare un temporaneo scisma fu Fozio di Costantinopoli, nipote di Tarasio, il quale nella sua enciclica del 867 proclamò la condanna del concetto di Filioque, dando quindi luogo ad una scissione, che rientrò solo vent'anni dopo, nel 886 circa.

Grande scissione d'Oriente (o d'Occidente, secondo gli Ortodossi)
Il processo di separazione fra le Chiese d'Oriente e d'Occidente fu lento, inesorabile e costellato da episodi significativi già nel VIII e IX secolo, come quello dell'iconoclastia o quello già citato di Fozio, tuttavia fu solo durante il patriarcato di Michele Cerulario (1043-1058) che si è collocata la data ufficiale del “divorzio”.
Nel 1054, infatti, Cerulario si incontrò con il legato papale Umberto di Silva Candida per discutere di questioni dogmatiche: l'incontro ebbe un esito drammatico quando il 16 luglio 1054, Silva Candida scomunicò Cerulario, e fu a sua volta scomunicato, assieme al Papa Leone IX (1048-1054), dal patriarca di Costantinopoli.
Fu l'inizio della scissione e di una lunga serie di incomprensioni reciproche: i rapporti tra l'Oriente e l'Occidente peggiorarono fino all'onta della IV Crociata del 1204, finita in un indegno saccheggio di Costantinopoli ad opera dei crociati, che instaurarono un impero latino nella regione fino al 1261.
Una prima prova di riconciliazione avvenne durante il Concilio di Lione del 1274, ma il tentativo più serio avvenne nel periodo 1439-1445 durante il Concilio iniziato a Ferrara, proseguito a Firenze ed infine terminato a Roma, dove si cercò di superare i punti di contrasto dogmatico che esistevano tra le Chiese latine e greche, queste ultime incalzate dall'avanzata turca.

I principali punti di controversia erano:

• La doppia processione dello Spirito Santo (procede sia dal Padre che dal Figlio),

• La dottrina del purgatorio, che i greci rifiutavano,

• Il primato del Papa,

• L'uso del pane non lievitato nell'Eucaristia.
Si arrivò ad un accordo di riunificazione firmato il 5 Luglio 1439, che ebbe tuttavia breve durata solo fino al 1453, anno in cui i Turchi conquistarono Costantinopoli.
A quel punto, infatti, pur restando intatto il prestigio del Patriarcato di Costantinopoli, al quale il Sultano Mehmed II diede la giurisdizione su tutti i cristiani residenti nell'impero ottomano, si svilupparono una serie di Chiese Ortodosse indipendenti, cosiddette autocefale, la più importante delle quali diventò gradualmente la Chiesa Ortodossa Russa e Mosca fu denominata la “terza Roma” dopo Roma stessa e Costantinopoli.
Nel 1965 lo storico incontro tra il Papa Paolo VI (1963-1978) ed il Patriarca Atenagora (1948-1972) permise almeno di revocare le rispettive scomuniche del 1054, ma l'ipotesi di una prossima riunione sembra ancora abbastanza lontana.

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09/10/2009 18:03
 
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Templari (Poveri cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone) (1118-1311)


Le origini
Alla fine della prima Crociata conclusosi con la conquista di Gerusalemme il 15 Luglio 1099, molti crociati considerarono esaurito il proprio compito e quindi ritornarono in patria, lasciando però la difesa delle precarie conquiste ad un esiguo contingente militare, letteralmente circondato dai mussulmani.
Fu così che nel 1118, durante il regno di Baldovino II di Gerusalemme (1118-1131), un cavaliere di Troyes, nella regione francese dello Champagne, Ugo di Payens (o Payns o Paganis) (m. 1136) e otto suoi compagni, fecero voto di difendere i viaggi dei pellegrini nel pericoloso tratto tra il porto di Jaffa e la città di Gerusalemme, obbligandosi anche alla regola di povertà, castità e obbedienza, un primo caso quindi di veri monaci guerrieri.
Si potrebbe obbiettare che nove cavalieri erano un po' pochi per difendere il percorso tra Jaffa e Gerusalemme, ma bisogna considerare che ciascun cavaliere aveva comunque un discreto seguito di “fratelli attendenti” o “sergenti”, ossia di cavalleria leggera.
Furono immediatamente e con gratitudine accettati da re Baldovino e dal Patriarca Stefano de la Feré e alloggiati presso la moschea di al-Aqsa, dove una volta sorgeva il tempio di re Salomone, e per i loro voti pronunciati e questa ubicazione furono denominati Poveri cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone o più semplicemente Templari.
Nel 1128, al concilio di Troyes, voluto da Papa Onorio II (1124-1130), i T. furono riconosciuti come ordine e San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) ne giustificò l'uso delle armi e ne compilò la Regola, come quella dei Benedettini, riformata dai Cistercensi. Similmente a questi ultimi, i T. portarono un mantello bianco, al quale nel 1147 fu autorizzata da Papa Eugenio III (1145-1153) l'aggiunta di una croce rossa.
I T. incontrarono immediatamente i favori sia dei Papi, ai quali giurarono sempre eterna obbedienza, che dei regnanti dell'epoca e, grazie alla concessione di privilegi, lasciti e donazioni, il tutto esentasse, diventarono ben presto potentissimi e influenti.
Essi svilupparono una organizzazione ben strutturata, comandata da un Maestro dell'Ordine e divisa in provincie territoriali e molti valenti cavalieri dell'aristocrazia europea fecero a gara per entrare nei loro ranghi.
Svilupparono infine il primo sistema bancario del Medioevo e garantirono per l'emissione delle prime lettere di credito.

La difesa della Terrasanta
I T. si distinsero nelle varie battaglie che vennero combattute contro i mussulmani negli anni successivi alla fondazione del loro ordine e spesso i Maestri dell'Ordine cadevano combattendo, come Bernardo di Tremelay all'assedio di Ascalona nel 1153.
Il formidabile avversario, che essi si trovarono a fronteggiare, era il famoso sultano d'Egitto Salah Al-Din (Saladino) (sultano:1176-1193), il quale in pochi anni riuscì a mettere in ginocchio i regni cristiani in Terrasanta, approfittando anche degli intrighi e congiure tra le file degli occidentali, dai quali non erano esenti neanche i T. stessi.
Questi, con il Maestro Gerard di Rideford in testa, vanificarono gli sforzi di Raimondo III, conte di Tripoli, di ottenere un patto di convivenza con gli arabi. L'esito fu disastroso: nella battaglia del Monte Hattin del 1187 (seguita dalla caduta di Gerusalemme), l'esercito cristiano fu pesantemente sconfitto e tutti i T. presenti furono massacrati, eccetto Gerard, che si dice avesse abiurato, diventando mussulmano.
I T. allora cambiarono tattica: presiediarono i punti nevralgici asserragliandosi nelle loro grandiose fortezze, come il Krak dei Cavalieri e uscendone per compiere veloci sortite, ma purtroppo anche azioni di vero e proprio taglieggiamento delle carovane di pasaggio.
Negli anni successivi, dal 1189 al 1228, furono organizzate altre 3 crociate (III, IV, V), ma, nonostante tutti gli sforzi, nel 1244 il regno di Gerusalemme diventò definitivamente mussulmano. Nello stesso 1244, i T., con il Maestro Armand di Périgord, pur alleandosi momentaneamente con gli odiati rivali dell'Ordine degli Ospitalieri e perfino con il sultano di Damasco, non riuscirono ad evitare la sconfitta ad opera dei Mongoli nella battaglia di Gaza , dove lasciarono sul campo 312 cavalieri, compreso il Maestro stesso.
Le due ultime disastrose Crociate (VI e VII), organizzate da re (San) Luigi IX di Francia (1226-1270) accelerarono la caduta dell'ultimo baluardo cristiano in Terrasanta di San Giovanni d'Acri nel 1291. Molti T. furono uccisi durante l'assedio, compreso il Maestro Guglielmo di Beaujeu, e i superstiti riuscirono a fuggire a Cipro.

Il declino
Persa la Terrasanta, contrariamente agli altri ordini cavallereschi, i quali si posero un altro obiettivo geografico per la difesa della Cristianità (i Teutonici a Nord-Est e gli Ospitalieri di San Giovanni a Rodi), i Templari superstiti rimasero militarmente “disoccupati”, se si esclude la Spagna dove combatterono contro i Saraceni.
E sì vero che i T. difesero Cipro, ma il processo in Francia fece sì che a questa difesa venne data bassa priorità, ed infatti già nel 1310 essi abbandonarono l'isola in seguito alla riconquista del potere da parte del re Enrico II di Cipro e Gerusalemme, spalleggiato dagli Ospitalieri.
In Europa incominciò a diffondersi l'idea che era stata colpa dei T. la perdita della Terrasanta e quindi che era inutile mantenere in vita l'Ordine, idea corroborata oltretutto dal fatto che la potenza dei T. , veri e propri banchieri mercantili, nella finanza e nella diplomazia incominciava a dare fastidio a molti.
Inoltre la fedeltà esclusivamente verso il Papa fu invisa dal clero secolare, particolarmente dai vescovi, che mal sopportavano la loro totale autonomia di azione sul territorio.
Comunque il destino dei t. fu segnato dalle lotte tra il Papa Bonifacio VIII (1294-1303) ed il re di Francia Filippo IV, detto il Bello (1285-1314), scomunicato da Bonifacio nel 1302 per una diatriba sui limiti dei poteri della Chiesa e dello Stato.
Era un momento negativo per Filippo, che, oltretutto, era stato sconfitto dai Fiamminghi a Courtrai nel 1302 ed era sull'orlo della bancarotta, dal quale si risollevò solo attingendo a pesanti prestiti da parte dei T.
Fu allora che Filippo concepì il suo piano: indebolire il papato ed incamerare i beni dei T.
Per la prima parte, fece sequestrare e maltrattare Bonifacio nel suo palazzo di Anagni (il cosiddetto “schiaffo di Anagni”) da parte della sua anima nera, Guglielmo di Nogaret. Benché Bonifacio venisse liberato dal popolo indignato, morì per lo choc riportato qualche settimana dopo.
Il nuovo Papa, Benedetto XI (1303-1304) non durò molto: morì infatti il 7 Luglio 1304 per una indigestione di fichi...avvelenati con polvere di diamante da Guglielmo di Nogaret.
Della morte fu ingiustamente incolpato il francescano Bernard Délicieux, che aveva incautamente scritto al medico del Papa, Arnaldo di Villanova, che dalle profezie di Gioacchino da Fiore si poteva desumere la morte del papa per il 1304.
In realtà il regista dell'assassinio fu il solito Filippo il Bello, a cui era rimasta “indigesta” una bolla papale con una sua condanna come mandante per il famoso episodio dello “schiaffo di Anagni”.
Finalmente un anno dopo Filippo riuscì a far eleggere il “suo” Papa, Clemente V (1305-1314), un uomo debole e influenzabile, e a far trasferire la sede papale sotto la sua “protezione” ad Avignone.
Con Clemente, Filippo giocò pesante minacciando di allestire un processo per giudicare postumo Bonifacio, accusato di eresia e magia nera. Pare che, pur di salvare l'onore della Chiesa, Clemente acconsentì a procedere contro i Templari, l'altra spina nel fianco di Filippo.

La fine
Il 13 Ottobre 1307 (un venerdì 13!), tutti i T. sul territorio francese, compreso il Maestro Giacomo di Molay (1243-1314), furono arrestati su ordine di Filippo. L'accusa fu di eresia, basata sulle farneticanti dichiarazioni di un tale Esquieu de Floryan, testimone diretto di una "confessione" di un T. espulso dall'ordine e suo compagno di cella nel carcere di Béziers.
Quest'ultimo aveva narrato di un cerimoniale basato sul rinnegamento di Cristo, di sputi sulla Croce, di sodomia e baci osceni, di riti magici e tanto bastò a Guglielmo di Nogaret per imbastire un clamoroso processo a carico del più potente Ordine religioso dell'epoca.
Iniziarono i primi interrogatori con ampio utilizzo della tortura, nonostante i deboli tentativi di protesta da parte di Clemente V: tuttavia Giacomo di Molay si rivelò un osso molto più duro del previsto, fermo nella difesa dell'ortodossia dell'Ordine.
Nel 1310 le prime vittime: 54 T. ritrattarono le confessioni estorte con la tortura, vennero quindi considerati relapsi e immediatamente bruciati sul rogo.
Nel 1311 venne indetto il Concilio di Vienne (nel Delfinato) per dirimere la questione, ma durante il suo svolgimento, Clemente, che non si decideva mai a prendere posizione tra il parere dei vescovi favorevoli a mantenere l'Ordine e quello del re favorevole ad una pesante condanna dell'Ordine, decise nel 1312 per una sentenza (bolla Vox in excelso) degna di Ponzio Pilato. Fu infatti ratificata la soppressione (ma non la condanna) dell'Ordine con passaggio dei beni dei T. agli Ospitalieri, che dovettero sganciare ben 1 milione di lire tornesi a Filippo per venirne in possesso.
Tuttavia, a carico dei principali responsabili, la commissione cardinalizia (tutti fidati alleati di Filippo) emise il 18 Marzo 1314 un verdetto di condanna al carcere a vita, previa confessione pubblica.
La sentenza fu letta a Giacomo di Molay e al gran precettore di Normandia, Geoffroy di Charnay, oltre ad altri due T. di prestigio, ma, a sorpresa, sia Giacomo che Geoffroy presero la parola per ritrattare le loro confessioni ottenute con le solite torture.
Filippo allora, senza consultare il Papa, convocò quel giorno stesso il consiglio di stato, dove venne pronunciata l'immediata sentenza di morte per i due capi T.: essi morirono sul rogo la sera del 18 su una isoletta sulla Senna, alle spalle di Notre Dame.
Una leggenda vuole che Giacomo predisse la morte sia di Clemente che di Filippo prima della fine dell'anno ed effettivamente i due morirono rispettivamente nell'Aprile e nel Novembre del 1314, tuttavia è facile creare la leggenda di una profezia dopo che il fatto predetto è già accaduto!
Negli altri paesi europei non si procedette con lo zelo dei francesi, e spesso i re (per esempio Eduardo II d'Inghilterra), solo dopo richiami ripetuti del Papa ai loro doveri, imbastirono dei processi molto formali contro i T., che furono di sovente assolti.
In Spagna e in Portogallo, per esempio, essi confluirono in due ordini religiosi: l'Ordine dei Cavalieri di Santiago (San Giacomo) e l'Ordine dei Cavalieri di Cristo.

Le accuse
Come si diceva, le accuse furono varie e diedero a tutta una serie di interpretazioni esoteriche nei secoli successivi:

• I baci sulla bocca, sul ventre, sull'ano e sulla spina dorsale avrebbero potuto far parte di un rito iniziatico di origine orientale, che ricordava la rivitalizzazione dei chakra, punti energetici seconda la dottrina indiana dei Tantra.

• L'adorazione della testa (o immagine) di un uomo barbuto, noto come Bafometto (forse una storpiatura del nome di Maometto) si riferirebbe al culto di San Giovanni, vero Messia secondo alcuni gnostici, come i Mandei. Secondo altri si tratterebbe del Mandylion, l'immagine di Gesù rimasta impressa sul velo della Santa Veronica (personaggio rappresentato nella sesta stazione della Via Crucis, ma mai citato da nessuno dei Vangeli) oppure la Sindone stessa, trovata dai T. e trasferita da essi in Europa occidentale.

• Lo sputare sul crocefisso confermerebbe che i T. erano venuti a sapere che durante la crocifissione, Gesù era stato sostituito da qualcun altro, idea docetista già espressa dal maestro gnostico Basilide.


• L'accusa di magia era collegata al fatto che i T. avessero praticato l'alchimia e seguito le dottrine della Cabala giudaica: questa ipotesi fu proposta dal cabalista del `500, Cornelius Agrippa di Nettesheim.


Le leggende
Mai come nel caso dei T., dopo la loro scomparsa, si poté dare libero sfogo a tutta una serie di leggende, fatti curiosi o speculazioni (più o meno fantasiose), che riporto sommariamente.
Si disse:

• Che la flotta T., di stanza a La Rochelle, fosse sfuggita alla cattura, partendo appena in tempo utile per fare rotta sulla Scozia (o addirittura in America, secondo un altro autore), dove i T. avrebbero aiutato il re Roberto I Bruce (1306-1329) a sconfiggere gli inglesi nella battaglia di Bannockburn del 1314.

• Che, successivamente, per sfuggire all'Inquisizione, sempre i T. “scozzesi” avrebbero deciso di darsi una struttura di società segreta, progenitrice di quella massonica del XVIII secolo.

• Che per uno T. “scozzese” morto in battaglia in Lituania, Guglielmo di Saint Clair (diventato poi Sinclair), il suo omonimo discendente Sir William Sinclair avrebbe costruito (ufficialmente per la propria famiglia) una cappella commemorativa a Rosslyn (vicino ad Edimburgo) nel 1446, piena di riferimenti esoterici massonici (ante litteram) e con un fregio che richiama la pannocchia del mais, allora sconosciuta in Europa, ma non in America (vedi punto 1).

• Che i T. avessero scavato nel sottosuolo del Tempio di Salomone, riportando alla luce misteriosi e compromettenti documenti sulle verità nascoste del Vangelo o addirittura avessero trovato l'Arca dell'Alleanza o perlomeno che sapessero la sua esatta ubicazione (Axum in Etiopia).

• Che i T. avessero sponsorizzato la costruzione delle ardite cattedrali gotiche, come quella di Chartres, riempendole di simbologie mistiche, legate a culti segreti, come la venerazione di Maria Maddalena, “sposa” di Gesù ecc.

• Che i T. avessero fatto alleanze nascoste con i catari, perseguitati nello stesso periodo e che ambedue i gruppi conoscessero certi segreti, come la località della tomba di Gesù in Francia, il segreto del Graal ecc.

Comunque, ogni ulteriore approfondimento su questi argomenti esula dagli scopi di questa opera ed è sufficiente navigare in Internet per trovarvi ampio materiale.

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09/10/2009 18:03
 
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Valdo (c.1140-c.1217) e valdismo


Il fondatore
Le notizie sul fondatore del movimento dei valdesi sono purtroppo scarse. Perfino sul suo nome, i vari autori si sbizzarriscono in Valdo, Valdes, Valdesio, Vaux, con la V o la W iniziale, e, dall'inizio del XIV secolo, con il nome Pietro probabilmente aggiunto postumo dai suoi seguaci, in onore dell'apostolo Pietro.
V., un ricco mercante di Lione (in Francia), fu vivamente impressionato nel 1175 da un racconto di un menestrello che gli descrisse la vita di Sant'Alessio (IV secolo) e della moglie: essi, il giorno stesso del loro matrimonio, decisero di vivere in castità e di donare tutti i loro averi ai poveri.
A quel punto, V. espresse il desiderio di approfondire la lettura della Bibbia, tuttavia egli non conosceva il latino. Chiese quindi a due sacerdoti di tradurgli i Vangeli in francese, ai quali si aggiunsero poi altre parti della Bibbia.
Leggendo il Vangelo di Matteo, V. fu colpito dal passaggio della predica di Gesù al giovane ricco: Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi" (Matteo XIX, 21), e decise nel 1176 di abbandonare la moglie e di donare tutto i suoi averi, parte al monastero di Fontevrault, dove fece accogliere le sue due figlie minori, ma la maggior parte ai poveri.
Egli successivamente si circondò di un gruppo di seguaci, i quali, fatto un voto di povertà, erano diventati predicatori erranti, vestiti solo con un saio. E' importante precisare che V. non aveva alcuna velleità eterodossa, tuttavia la solita miopia degli alti prelati dell'epoca, che vedevano dei potenziali catari in ogni movimento spontaneo, fece sì che a V. fosse proibita la predicazione da parte del vescovo di Lione.
V. non si scoraggiò e si presentò direttamente dal Papa Alessandro III (1159-1181), durante il III Concilio Laterano del 1179, per ottenere l'autorizzazione ecclesiastica alla predica. Tuttavia Alessandro non ebbe la lungimiranza (o l'opportunismo) di Innocenzo III (1198-1216), che 30 anni dopo, nel 1209, approvò la scelta praticamente identica di San Francesco d'Assisi. Alessandro, invece, si limitò ad abbracciare commosso V., salvo poi ordinargli di ubbidire al vescovo di Lione, e stesso trattamento ebbe il lionese nel 1181 da Papa Lucio III (1181-1185). Quest'ultimo, anzi, gli fece giurare ubbidienza al suo vescovo.
Tuttavia V. non ebbe la pazienza di accettare obtorto collo, come Francesco, gli ordini della Chiesa, e continuò la predicazione con i suoi seguaci, denominati Poveri di Lione.
Egli fu allora convocato in un sinodo a Lione nel 1180 dal cardinale Enrico di Marcy, vescovo di Albano, dove V. fece una confessione ortodossa, anzi denunciando gli errori dei catari.
Tuttavia ciò non gli fu sufficiente e V. attirò ugualmente nel 1184 su di sé una scomunica, comminata con la bolla papale Ad abolendam da Lucio III a Verona. Anche il IV Concilio Laterano del 1215 condannò il movimento di V. come quello di "eretici impenitenti".
Ma il movimento era ben radicato nel Sud della Francia, in Spagna e nel Nord dell'Italia, in particolare in Lombardia, dove sia i seguaci di Arnaldo da Brescia che un gruppo dissidente del movimento degli Umiliati, confluirono nel movimento valdese, assumendo nel 1205 il nome di Poveri Lombardi. Queste due anime ben presto provocarono una spaccatura nel movimento: i Poveri di Lione disdegnavano il matrimonio, il lavoro manuale e la gerarchia interna, mentre i Lombardi, con a capo Giovanni di Ronco, accettavano tutto ciò, mentre erano più severi dei francesi nel rigettare i sacramenti conferiti da sacerdoti indegni.
V. morì ca. nel 1217 (secondo altri autori nel 1207) con l'amarezza di non essere riuscito a mediare le divergenze dei due gruppi, che neppure una riunione organizzata a Bergamo nel 1218 poté appianare.

Il movimento valdese
Dopo la morte del fondatore, il movimento continuò, nonostante le persecuzioni, la sua espansione, oltre che in Spagna, Francia meridionale e Italia settentrionale, anche in Italia meridionale (Puglia, ma soprattutto Calabria, dove però i v. vennero tutti massacrati nel 1561) in Germania (Strasburgo e Baviera), Austria e Boemia, dove i v. vennero assorbiti dagli hussiti nel XVI secolo.
In Spagna i v. furono perseguitati per ordine del re Alfonso II di Aragona, detto il casto (1152-1196). Successivamente furono fatti dei seri tentativi da parte del teologo spagnolo valdese Durand de Huesca (o Durando d'Osca), di far accettare i v. come ortodossi da parte della Chiesa. A riguardo, Durando fondò nel 1208 il movimento dei Poveri Cattolici, accettato da Papa Innocenzo III.
In Francia, la reazione cattolica contro il movimento v. avvenne soprattutto dopo il 1208, l'inizio della crociata contro i catari (che i cattolici spesso confondevano con i v.), e già dal 1214 alcuni v. furono bruciati sul rogo a Maurillac.
Tuttavia i v. continuarono ad espandersi nel Delfinato e nella Savoia e né l'Inquisizione né l'azione di predicatori cattolici come San Vincenzo Ferrer (1350-1419) riuscirono a sradicarli dal loro territorio.
Nel 1478 il re Luigi XI (1461-1483) li protesse perfino con una ordinanza, tuttavia pochi anni dopo, nel 1488, Papa Innocenzo VIII (1484-1492) ordinò una crociata per cacciarli dalle valli alpine francesi verso la Svizzera.
Dall'altra parte delle montagne, nelle valli piemontesi Chisone, San Martino, Pragelato, Perosa, Pellice, Luserna e Angrogna, il movimento fu perseguitato a lungo sulla base delle solite accuse infamanti di adorare Lucifero e di praticare il sacrificio rituale dei bambini durante orge notturne (il tutto alimentato anche da un libro dell'epoca dal titolo Errores haereticorum Waldensium).
La persecuzione durò per tutto il XIV secolo, con una punta intorno al 1370 quando 170 adepti furono condannati al rogo, ma il v. riuscì ugualmente a svilupparsi fino al XVI secolo.
Nel 1530 due “barba” (predicatori itineranti) valdesi, G. Morel e P. Masson, vennero inviati presso i riformisti svizzeri Bucero e Farel per confrontarsi sulle rispettive dottrine, e dopo il rientro di Morel (Masson venne arrestato e ucciso a Digione), nel 1532 a Chanforan, in valle d'Angrogna, i v. decisero di aderire alla riforma di ispirazione calvinista. Questa decisione venne aiutata da una fortunata circostanza: nel 1536 l'invasione (durata 20 anni) delle valli piemontesi da parte dell'esercito francese rinforzato da diversi reparti mercenari luterani.
Tuttavia nel 1559, i duchi di Savoia, cattolici, ripresero il controllo della regione ed iniziò una lunga storia di persecuzione dei v. che portò fino alle stragi del 1655 (Pasque Piemontesi), delle quali si indignò perfino il famoso poeta inglese John Milton e all'editto di Vittorio Amedeo II di Savoia del 1686, il quale decretò l'espulsione o la conversione forzata dei protestanti piemontesi. Nonostante una iniziale resistenza armata, i v. decisero successivamente di emigrare in Svizzera, dalla quale però il pastore Enrico Arnaud ed il comandante (ex contadino) Giosuè Gianavello (Javanel) organizzarono il rientro nelle valli piemontesi nel 1689 (“Glorioso Rimpatrio”).
Nel secoli successivi i Savoia cercarono inutilmente di scacciare i v. sia mediante azioni militari che con campagne di proselitismo organizzate dai gesuiti, ma alla fine, nel 1848, ai v. vennero concessi i diritti civili e politici previsti nello statuto di Carlo Alberto e per loro finì il lungo periodo di “ghettizzazione”.

I valdesi oggi
Oggigiorno i v. sono valutabili in ca. 50.000 membri, divisi tra Italia (29.000 aderenti soprattutto nelle tradizionali valli piemontesi), Francia meridionale, Germania (dove si sono fusi con i luterani nel 1823), Argentina, Uruguay e Stati Uniti (dove alcuni di loro si sono fusi con la Chiesa Presbiteriana negli anni '70).
In Italia hanno fondato nel 1855 a Torre Pellice una scuola, in seguito facoltà, di teologia, spostata poi a Firenze nel 1860 ed infine a Roma nel 1922. Inoltre sono stati fondati diversi ospedali valdesi (Torino, Genova), una Casa Editrice (Claudiana, in onore di Claudio di Torino) ed il centro ecumenico di Agape.
Dal 1979, i v. italiani formano un'unica chiesa evangelica con i metodisti, denominata Unione delle chiese valdesi e metodiste. Il sito Internet è: www.chiesavaldese.org

La dottrina
Come si è detto precedentemente, all'inizio non si notarono elementi eterodossi nella predicazione di V.
La sua fedeltà al Vangelo ed il desiderio di un ritorno alle origini apostoliche della Chiesa come reazione alla dilagante corruzione ecclesiastica erano caratteristiche di molti altri movimenti cristiani medioevali sia tra quelli perseguitati (arnaldisti, petrobrusiani, enriciani) che tra quelli accettati (patarini, francescani).
Tuttavia la stessa persecuzione nei loro confronti portò i v. ad accostarsi a dottrine di altri eretici del tempo (soprattutto catari) come il rifiuto del purgatorio, dei pellegrinaggi, del ricorso all'intercessione dei santi, della venerazione delle reliquie. Molte di queste idee comunque erano già stati espressi nel IX secolo dal vescovo Claudio di Torino, che i v. considerano come un loro precursore.
Inoltre, come i catari, i v. recitavano preferibilmente il Padre Nostro, si erano divisi in perfetti (i predicatori itineranti poveri e casti, denominati “barba”) e uditori e utilizzavano un battesimo per imposizione delle mani, sebbene, dal punto di vista teologico, i v. rimasero profondamente cristiani, riconoscendo la deità del Figlio, senza tentazioni dualiste come i catari.
Successivamente, nel 1655, come si è già detto, la Chiesa Valdese aderì alla Riforma di ispirazione calvinista, riconoscendo solo due sacramenti: il Battesimo e la Cena del Signore. Infine le singole congregazioni sono oggigiorno gestite da un consiglio presieduto dal pastore locale.



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04/12/2010 13:02
 
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leon scrive
ERESIE ANTITRINITARIE
Uno dei dogmi più sublimi della religione cristiana è quello della Santissima Trinità - Un solo Dio in tre persone. Era inevitabile che desse luogo a molte speculazioni e di conseguenza a più d'un errore.

Pace del Signore a te Leon e a tutti coloro che ci leggono.Una delle difficolta' maggiori che si sono avuti nell'arco della storia tra i sostenitori dell'unita' di Dio,e di coloro che sostengono anche la trinita',e'stata e purtroppo rimane ancora oggi la difficolta del linguaggio impiegato per descivere la Deita'.Per esempio non tutti i credenti Oneness(dell'unita')e trinitari si esprimono nello stesso modo.Quindi la terminologia ha un ruolo determinate nel confronto dottrinale,in verita' c'e' molta ignoranza,ha volte si usano terminologie improprie da ambedue le parti e si arriva a spiacevoli malintesi.Se poi aggiungiamo a queste cose la mancanza di umilta' e di apertura,invece di comprendere che la nostra attuale comprensione potrebbe essere in errore o incompleta,difendiamo il nostro punto di vista dottrinale.Milton Hall disse: “L’abilità ad apprendere dipende, in parte, dalla capacità di rinunciare a ciò che si crede già”.
[Modificato da Carlo_477 04/12/2010 13:03]

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04/12/2010 13:05
 
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Cosa insegna la scrittura?
La Bibbia insegna chiaramente uno stretto monoteismo.
La Bibbia insegna, inoltre, che il Padre è Dio, la Parola è Dio e lo Spirito Santo è Dio.
Infine, Padre, Figlio e Spirito Santo sono comunemente distinti l’uno dall’altro.
La scrittura insegna anche che c'e un solo Dio il Padre e che La Parola e lo Spirito Santo procedono da Lui,quindi la scrittura non da l'idea di tre persone nella deita',ma che l'unico Dio il Padre ha mandato la Sua Parola (che si e' incarnata)lo Spirito Santo e' lo stesso Spirito di Dio che opera nella Chiesa per la santificazione dei credenti.(Matteo 10:20 Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.)Il Figlio di Dio e'la Parola fatta carne.(Attenzione a questo)L'errore nasce nello scambiare la Parola con il Figlio,perche' la distinzione sta qui,anche nell'ambito dei credenti dell'unita' si tende a fare questo errore ed grave,perche' se non si accetta'il Figlio di Dio non avremmo un mediatore presso il Padre e non potremmo accedere alla salvezza,nello stesso tempo dobbiamo credere che Lui e' Dio,perche' chi non crede che Gesu' e' venuto in carne e' l'anticristo,cosa si deve fare?(gv 17:3)Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo.
Come fare conciliare questi insegnamenti senza usare terminologie extra bibliche?
Wdartield ha detto: le parole usate per descrivere la dottrina della Trinità preservano la verità degli insegnamenti biblici intorno a Dio? Certe parole che sono state coniate o alterate dal loro significato biblico sono: essenza, tre persone, Dio Figlio, Dio Spirito Santo e eternamente generato. Io sostengo che il Figlio è Dio e che è il Figlio di Dio, ma queste parole sono bibliche e possono comunque convergere anche ad un differente concetto di Dio rispetto a quello presentato nel Nuovo Testamento. Dio Figlio e Dio Spirito Santo presentano l’idea che essi sono Dèi separati, anche se questo non è in alcun modo quello che il trinitarismo ortodosso cerca di esprimere; ciò nonostante, la terminologia impiegata tende a far cadere molte persone in una forma di triteismo.

Il pericolo di una simile terminologia, quando impiegata nella formulazione di credi, non è solo quello di possibili fraintendimenti del concetto di Dio, diversamente da come presentato nelle Scritture senza queste parole, ma anche come ha detto succintamente Daniel Segraves: “ogni volta che parole non bibliche diventano strumenti di misura dell’ortodossia, si è per lo meno pericolosamente vicini ad affermare rivelazioni extra-bibliche. Se i cristiani non possono essere salvati formulando la propria confessione di fede usando solo il linguaggio biblico, è difficile sfuggire alla conclusione che il linguaggio extra-biblico richiesto (per esempio, “tre persone”) è egualmente autorevole alla Scrittura”.

Mi fermo qui per dare modo a chi desidera farlo di rispondere.

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25/12/2010 10:38
 
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Wdartield ha detto: le parole usate per descrivere la dottrina della Trinità preservano la verità degli insegnamenti biblici intorno a Dio?

" Certe parole che sono state coniate o alterate dal loro significato biblico sono: essenza, tre persone, Dio Figlio, Dio Spirito Santo e eternamente generato. Io sostengo che il Figlio è Dio e che è il Figlio di Dio, ma queste parole sono bibliche e possono comunque convergere anche ad un differente concetto di Dio rispetto a quello presentato nel Nuovo Testamento.

Dio Figlio e Dio Spirito Santo presentano l’idea che essi sono Dèi separati, anche se questo non è in alcun modo quello che il trinitarismo ortodosso cerca di esprimere; ciò nonostante, la terminologia impiegata tende a far cadere molte persone in una forma di triteismo."
****************************

Infatti..... il ragionamento fila. l`alterazione dal vero sognificato scritturale e`responsabile della terminologia che fa cadere senza dubbio la maggior parte dei cristiani nella forma trinitaria.Grazie della spiegazione chiara e scritta in modo semplice e comprensivo.

Saluti cristiani Rialtina [SM=g14584]

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