CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

💝

 

 

BREVE STORIA DELLE ERESIE

Ultimo Aggiornamento: 29/01/2011 19:29
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:44
 
Quota

NESTORIO E IL NESTORIANESIMO
Per meglio combattere l'apollinarismo, il più insigne dottore della scuola di Antiochia, Diodoro, vescovo di Tarso dal 378, aveva manifestato una certa tendenza ad opporre il Figlio di Dio, consostanziale al Padre, al Figlio di David, nato dalla Vergine. Il Figlio di David, secondo lui, era stato solo il tempio del Figlio di Dio. Maria non meritava quindi per alcun motivo l'attributo di Madre di Dio. Diodoro, illustre vescovo e teologo, intendeva bensì salvaguardare l'unità morale di Cristo, ma non si accorgeva di salvaguardarla solo a parole: in realtà sembrava ammettere due persone nello stesso Cristo: una persona divina e una persona umana. Dopo Diodoro. che era morto nel 394, il suo migliore discepolo, Teodoro, vescovo di Mopsuestia dal 392, si dedica a penetrare quella che noi chiameremmo oggi la psicologia umana del Cristo. Egli lo vede svilupparsi, come ogni altro uomo: o lottare, al pari degli altri, contro le tentazioni, ma finire col meritare la sua unione con il Verbo.
Teodoro aveva tuttavia avuto cura di rivestire il suo pensiero di forme così tradizionali da non sollevare alcuna protesta. Però nell'anno stesso della sua morte, avvenuta nel 428, uno dei suoi discepoli, il prete Anastasio, condotto da Antiochia a Costantinopoli dal nuovo vescovo di questa città, Nestorio, si ispirò alle sue idee nella propria predicazione. Dovendo parlare in pubblico della Vergine Maria, contestò al popolo cristiano il diritto di chiamarla Madre di Dio - Theotocos - come si usava fare ormai da lungo tempo. Questa opinione del prete Anastasio produsse sbigottimento nella città. Davanti allo stupore dei fedeli, Nestorio, che condivideva la convinzione di Anastasio dietro le orme di Diodoro di Tarso e di Teodoro Mopsuesteno, prese decisamente posizione in suo favore. Un laico di nome Eusebio, che diverrà più tardi vescovo di Dorilea, protestò ad alta voce contro il linguaggio del vescovo.
Tutta la città e la Corte si trovarono interdette. La Corte imperiale si schierò con il vescovo, ma i monaci e il popolo erano per la tradizione mariana. Presto il rumore di queste controversie giunse ad Alessandria, sede episcopale in rivalità secolare con la scuola di Antiochia e con la sede di Costantinopoli. Il vescovo di Alessandria era appunto un teologo di primissimo piano, Cirillo. Egli intervenne senza indugi, dapprima con cortesia, rivolgendosi direttamente a Nestorio; poi quando vide che le sue osservazioni non erano accettate, si rivolse a Roma. Nestorio aveva già fatto altrettanto.
Da una parte e dall'altra, si comprendeva benissimo che il nodo della questione risiedeva nell'uso dell'attributo Madre di Dio applicato a Maria. Se glielo si rifiutava, si veniva a rompere l'unità di persona in Gesù Cristo. Invece di una persona se ne ammettevano due: la persona umana di Cristo di cui Maria era madre - Christotokos - e la persona divina del Verbo, aggiunta a quella di Cristo, in una unione puramente morale. Se invece si ammetteva in Cristo una sola persona, quella del Verbo, come aveva sempre fatto la tradizione cristiana, ne seguiva che la relazione di maternità, in quanto riguardava la persona, attraverso la natura generata, doveva avere come termine il Verbo. Maria doveva essere detta, in quanto fonte della natura umana di Cristo, Madre di Dio. Maternità e filiazione si dicono infatti da persona a persona.
A Roma, così si intendevano le cose. Il papa Celestino diede ragione a Cirillo contro Nestorio. Il suo primo diacono, Leone, il futuro papa. scrisse subito a Giovanni Cassiano, che conosceva da lungo tempo, per chiedergli di scrivere un trattato sull'argomento. Cassiano obbedì a questo desiderio, e noi possediamo il suo trattato in cui egli dimostra attraverso la Scrittura e la Tradizione, che Maria non deve essere chiamata solo Madre di Cristo, a meno che non si specifichi subito che ciò significa Madre di Dio.
Se Nestorio rifiutava di ammettere questa conclusione, era impossibile non trattarlo come eretico. E la cosa era così grave che si doveva radunare al più presto un concilio generale. Cirillo, nel frattempo, aveva riassunto il suo pensiero in dodici anatemi. Nestorio vi aveva risposto con dodici contro-anatemi. E accusava Cirillo di ricadere nell'apollinarismo, facendo del Verbo il sostituto della personalità umana di Cristo.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:45
 
Quota

IL CONCILIO DI EFESO (431)
I due imperatori Teodosio II (Orienle) e Valentiniano III (Occidente) avevano convocato i vescovi a Efeso per il 7 giugno. In tale data, si trovò presente Cirillo con un certo numero di vescovi, ma non erano giunti né i legati del papa né i vescovi antiocheni. Cirillo, il personaggio più illustre di quelli che erano riuniti, pazientò per quindici giorni, non senza trattare abilmente con la Corte. Quindi il 22 giugno, senza attendere oltre, aprì il concilio, che in un giorno risolse la controversia, condannò Nestorio e lo depose. I vescovi (in numero di 198) e il popolo acclamarono queste decisioni.
Quattro giorni dopo, giunse Giovanni d'Antiochia con i suoi vescovi, tutti favorevoli a Nestorio che era, come si è detto, della scuola antiochena. Essi opposero quindi subito un controconcilio a quello del 22 giugno, condannarono e scomunicarono Cirillo, e annullarono quanto era stato fatto in loro assenza. Fu il secondo atto del dramma. Ma seguì immediatamente il terzo. Giunsero infatti presto i legati del papa. Portavano una condanna formale di Nestorio pronunciata dal papa Celestino I in un sinodo romano. Avevano ricevuto dal papa l'incarico di chiedere a Cirillo e all'intero concilio una semplice promulgazione del giudizio inappellabile già pronunciato dal pontefice romano. Essi approvarono quindi, l'11 luglio del 431, tutte le decisioni prese da Cirillo e dal concilio il 22 giugno precedente.
Nestorio tuttavia contava sempre sull'appoggio della corte imperiale. Fra questa e Cirillo si impegnò una lotta diplomatica, nella quale il vescovo di Alessandria deve essere ricorso a procedimenti che erano anche troppo in uso in quel tempo, colmando di doni i consiglieri più influenti dell'imperatore. In fondo, aveva buoni motivi per farlo. Teodosio II si lasciò convincere. Fece rinchiudere Ncstorio in un monastero e lasciò rientrare Cirillo come vincitore ad Alessandria, mentre Giovanni di Antiochia tornava, molto scontento, in Siria. Cirillo da parte sua dovette provare di non ammettere in alcun modo l'apollinarismo perché fosse finalmente ristabilita la pace fra lui e i vescovi antiocheni (433).
Nestorio, mandato più tardi in esilio, vi compose un'opera intitolala: Il libro di Eraclide di Damasco.
Questo scritto, rinvenuto nel 1910, è una accorta apologia. Ma l'eresia di Nestorio, per quanto velata, vi rimane abbastanza visibile. Anche dopo che gli scritti di Nestorio erano stati condannati alle fiamme, la sua eresia sopravvisse nelle opere di Diodoro di Tarso e di Teodoro Mopsuesteno.
Conservò quindi degli adepti, e ne conserva ancora ai nostri giorni. Si formò una scuola teologica a Edessa, e quindi a Nisibi in Persia. Il nestorianesimo si propagò di qui nell'Arabia, nelle Indie, e perfino nella Cina e nella Mongolia. Tuttavia, la maggior parte dei nestoriani tornarono, a partire dal secolo XVI, all'unità cattolica. Alcuni caddero sotto l'influsso di missionari protestanti, americani e anglicani; altri passarono alla " ortodossia russa " a partire dal 1897. Durante la prima guerra mondiale, molti furono massacrati dai Turchi.
Altri fuggirono sui monti del Kurdistan, o in Mesopotamia. Vi sono attualmente dei nestoriani nell'Iraq, nella Siria, nella Persia e nell'India. Si calcolano a 30.000 quelli dell'Iraq, ad alcune migliaia quelli della Siria, a 9.000 quelli della Persia e infine a 2.000 quelli che restano nell'India sotto il nome di mellusiani. In totale, certamente meno di 100.000 nestoriani autentici.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:45
 
Quota

L'EUTICHIANESIMO
Come il nestorianesimo era stato una reazione contro l'apollinarismo, così l'eutichianesimo fu una reazione contro il nestorianesimo, ma così eccessiva da cadere nell'errore opposto.
Si è visto come Cirillo Alessandrino si fosse dovuto difendere dal sospetto di apollinarismo. Per meglio esprimere l'utilità di persona in Cristo, egli aveva usato poco opportunamente l'espressione " unità fisica " dell'umanità e della divinità nella sola persona del Verbo. Ai nostri giorni diciamo unione ipostatica, che significa unione delle due nature distinte in una sola persona; ma prima che fossero raggiunte queste precisazioni, vi fu un monaco di Costantinopoli, di nome Eutiche, archimandrita di un grande monastero della città, che, convinto di essere fedele al pensiero di Cirillo, si fece notare per il suo zelo nel parlar dell'unione fisica dell'umano e del divino in Gesù Cristo. Cirillo era morto nel 444. Il suo pensiero personale era certamente ortodosso. Ma Eutiche lo traduceva male. Egli sembra aver ammesso che in Gesù Cristo l'umanità è assorbita dalla divinità e fusa in essa, come una goccia d'acqua nell'oceano. Lo stesso Eusebio di Dorilea, che aveva denunciato Nestorio, denunciò Eutiche al suo vescovo, Flaviano di Costantinopoli, che lo fece condannare in un sinodo fin dal 448. Eutiche, come era allora usanza comune, fece subito ricorso a Roma. Governava allora la Chiesa, dal 440, san Leone Magno.
Nello stesso tempo, Eutiche chiese aiuto al vescovo di Alessandria, Dioscoro, che riuscì a convincere subito, come pure l'appoggio dell'imperatore, che era sempre Teodosio II. Dietro le sue istanze, quest'ultimo radunò un concilio, ancora nella città di Efeso.


OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:45
 
Quota

IL CONCILIO DI CALCEDONIA (451)
Il concilio che si radunò a Efeso nel 449 fu contrassegnato da spiacevoli violenze. Era presieduto da Dioscoro di Alessandria. Al legato del papa fu negato i1 primo posto, che pure gli spettava. I 135 vescovi presenti furono costretti, sotto la minaccia delle anni di bande di monaci, guadagnate alla causa di Eutiche, a sottoscrivere per così dire in bianco la condanna della dottrina ortodossa stigmatizzata con il nome di diofisismo (due nature in Gesù Cristo). Flaviano di Costantinopoli fu maltrattato, e l'imperatore, tratto in errore, confermò la sentenza che lo deponeva e lo mandava in esilio, dove morì. Per fortuna, i legali del papa erano riusciti a fuggire. Il papa san Leone, informato da essi di quanto era accaduto, non perdette tempo per stroncare i progressi del male. Radunò un sinodo a Roma, secondo l'uso pontificio del tempo. Questo sinodo romano, tenuto nel 449, annullò tutta la procedura di Efeso e il papa chiamò quel vergognoso concilio un latrocinium e il nome gli è rimasto: il latrocinio di Efeso.
La morte dell'imperatore Teodosio li precipitò la soluzione di questo doloroso conflitto. Egli ebbe come successore, il 28 luglio del 450, la sorella Pulcheria. D'accordo con Marciano, suo sposo, essa convocò un concilio generale che si aprì a Calcedonia - l'attuale Kadi-Keui, dirimpetto a Costantinopoli, nel territorio asiatico. -
Questa volta, tutto si svolse correttamente. La presidenza fu data ai legati del papa. Dioscoro di Alessandria era presente, ma aveva con sé solo una ventina di vescovi egiziani, sperduti nella moltitudine di 500 o 600 vescovi accorsi al concilio. Egli fu giudicato e condannato alla deposizione, per la condotta tenuta al concilio di Efeso. La vera dottrina era stata magistralmente esposta, due anni prima, dal papa san Leone, in una lettera rimasta famosa, indirizzata al patriarca Flaviano.
Essa verteva sui seguenti punti, che costituiscono un vero compendio della fede cattolica: 1. In Gesù Cristo vi è un'unica persona, la persona del Verbo incarnato nella nostra natura; 2. nell'unica persona del Verbo si trovano dopo l'incarnazione due nature, la natura divina e la natura umana, senza fusione o confusione possibile; 3. ciascuna di queste due nature conserva la propria operazione che esplica in comunione con 1'altra 4. in virtù della unione sostanziale delle due nature, si deve attribuire unicamente al Verbo tutto ciò che, in Cristo, spetta al Figlio di Dio e al Figlio dell'Uomo, In questo senso si può appunto dire che " Dio è morto per noi ".
L'attribuzione alla sola persona del Verbo di tutto l'umano e di tutto il divino in Gesù Cristo ha ricevuto il nome di comunicazione degli idiomi, cioè scambio delle proprietà di ciascuna natura.
Quando al concilio fu riletta con entusiasmo la lettera di san Leone, i Padri esclamarono: " Pietro ha parlato per bocca di Leone ". E nella seguente professione di fede il dogma cristologico venne espresso in questi precisi termini: " Noi insegniamo tutti unanimemente un unico e stesso Figlio, Nostro Signore, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, veramente Dio e veramente uomo, composto di un'anima ragionevole e di un corpo, consostanziale al Padre secondo la divinità e consostanziale a noi secondo l'umanità, simile a noi in tutto fuorché nel peccato ". Questa confessione fu sottoscritta da 355 vescovi.
Dopo che il concilio ebbe terminato la sua opera dogmatica, i Padri, a dispetto dell'opposizione dei legati, dichiararono con il famoso canone 28 che il patriarca di Costantinopoli avrebbe avuto nella Chiesa il secondo posto dopo il papa di Roma; ma, ratificando gli atti del concilio, il papa dichiarò espressamente, nel 453, di non approvare e di non confermare che le decisioni riguardanti la fede, e non già le altre.
Purtroppo, i vescovi egiziani non si erano sottomessi.
Essi consideravano l'eutichianesimo come la dottrina personale del loro grande dottore san Cirillo, il che era falso. Il monofìsismo (una sola natura in Gesù Cristo) continuò ad essere professato in Egitto e il clero di questo paese passò ben presto allo scisma dichiarato. Senza riferire qui in particolare gli innumerevoli incidenti che segnarono le controversie tra monofìsiti e cattolici ortodossi, basti notare che i primi riuscirono a costituirsi in Chiesa separata. Le divisioni che nacquero tra essi nel VI secolo, come accade sempre quando si sia perduta l'unita romana, non impedirono loro di organizzarsi e di resistere. La Chiesa monofisita esiste ancora in Armenia, in Siria, Mesopotamia e in Egitto. I gruppi sono indipendenti gli uni dagli altri. Il più importante è quello che si trova in Egitto, dove costituisce la cosiddetta Chiesa copta.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:45
 
Quota

I TRE CAPITOLI
Non si deve credere che la Chiesa perdesse il senso profondo della unità che aveva ricevuto dal suo fondatore. Al contrario, furono fatti tutti i tentativi per riconciliare le varie frazioni cristiane che la polemica monofisita aveva messe l'una contro l'altra. Tutto quello che dobbiamo dire ora rientra nell'ambito di questa più grave preoccupazione. Non dimentichiamo, del resto, che alla preoccupazione religiosa si univa una preoccupazione politica. La rottura dell'unità cattolica era resa più pericolosa, come era accaduto per il donatismo, dalle passioni nazionalistiche locali, che tendevano a dividere l'impero. Era stato un usurpatore egiziano, Basilisco, che aveva consolidato l'eutichianesimo o monofisismo ad Alessandria, verso il 475. Dopo la sua sconfitta l'imperatore Zenone, mal consigliato dal patriarca Acacio di Costantinopoli, pubblicò una formula di conciliazione chiamata enotica o di Unificazione (484). Ma il papa Felice II ritenne insufficiente e inammissibile questa formula. Acacio tenne duro e si separò dalla comunione romana. Fu lo scisma acaciano che durò per 35 anni (484-519). Questo scisma era fortunatamente terminato quando salì al trono il celebre imperatore Giustiniano (527-565). Questi fece come buona parte dei suoi predecessori. Considerò le questioni teologiche di attinenza del suo governo. Si lasciò guidare il più delle volte dalla sua colta e raffinata moglie, Teodora, che era stata danzatrice ma si piccava di alta scienza religiosa. Al fine di placare i monofisiti egiziani, Giustiniano radunò nel 553 un concilio a Costantinopoli, che è considerato come il V concilio ecumenico. Vi si condannarono, come inquinati di nestorianesimo, tre gruppi di scritti, noti da allora sotto il nome di Tre Capitoli: 1. gli scritti di Teodoro Mopsuesteno, morto nel 428; 2. quelli di Teodoreto di Ciro, contro san Cirillo di Alessandria nel V secolo; 3. una lettera di Iba, vescovo di Edessa, capo dei nestoriani, indirizzata al persiano Mari.
Questi tre gruppi di scritti erano esecrati dai monofisiti. Condannandoli solennemente, si dava loro piena soddisfazione. Ma essi esigevano di più. Sarebbe stato necessario, secondo loro, annullare le decisioni del concilio di Calcedonia, e professare insieme con essi il monofisismo. Era impossibile ammettere ciò. Perciò il papa Vigilio si rese chiaramente conto che le decisioni del concilio non avrebbero prodotto alcun frutto di bene. Ma siccome queste decisioni erano giustificate, finì per approvarle, non senza esitazione.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:46
 
Quota

LA QUESTIONE ORIGENISTA
Nel concilio del 553 furono condannale anche le dottrine origeniste. Origene era stato, agli inizi del III secolo, il capo della scuola catechetica di Alessandria.
Era dotato di un genio incomparabile e aveva scritto moltissimo. Era inevitabile che, in quella moltitudine di opere uscite dalla sua mano e che numerosi copisti scrivevano sotto sua dettatura, si trovassero dottrine più o meno arrischiate. Vi sono infatti, nelle opere che conosciamo di lui, pagine magnifiche, idee splendide, e anche teorie piuttosto azzardate, che l'ortodossia non ha potuto accettare. Sono le teorie che formano l'origenismo: 1. la creazione eterna e il numero infinito dei mondi successivi; 2. la preesistenza (platonica) delle anime e la loro caduta nei corpi, a modo di castigo per le colpe passate; 3. La corporeità degli angeli (eterea); 4. la negazione dell'eternità dell'inferno, detta anche restaurazione universale, mediante una riabilitazione generale dei dannati, compresa, a quanto sembra, quella di Satana; 5. la negazione della resurrezione della carne come è espressa nel Simbolo degli apostoli; 6. la subordinazione del Verbo al Padre; 7. quella dello Spirito Santo rispetto al Verbo.
Si attribuiva a Origene la dottrina secondo la quale il Verbo agisce unicamente negli esseri ragionevoli, e lo Spirito unicamente nei santi. Infine si rimproverava a Origene, e gli si rimprovera anche ai nostri giorni, il suo allegorismo generalizzato ed eccessivo in materia biblica.
Le teorie origeniste furono oggetto di accese discussioni in seno alla Chiesa dopo la morte del grande scrittore. I monaci antropomorfiti egiziani, turbati da questo allegorismo, erano i più accaniti. Furono approvati da uno scrittore di valore, sant'Epifanio. vescovo di Salamina nell'isola di Cipro, che denunciò con vigore quella che egli non esitava a chiamare l'eresia origenista.
Aspre controversie - alle quali furono mischiati san Girolamo, ritiratosi in Palestina, e il suo amico Rufino, grande ammiratore di Origene e traduttore della sua opera principale, il De principiis - nacquero e turbarono tutto l'Oriente. Girolamo si mise in contrasto, in questa occasione, con Rufino, e impegnò contro di lui una disputa spesso accompagnata da spiacevoli invettive. Si può dire che tutti i grandi dottori d'Oriente - Cirillo, Basilio e Crisostomo - dovettero prendere posizione prò o contro Origene. Agli inizi del VI secolo, si era formata una scuola origenista in Palestina. Si trattava di monaci amanti del grande dottore alessandrino. Dietro pressione di Efrem, vescovo di Antiochia, e di Pietro, vescovo di Gerusalemme, Giustiniano li fece condannare in un sinodo tenuto nel 543. Origene e l'origenismo furono colpiti con 10 anatemi particolareggiati che il papa Vigilio confermò. Nel 553, prima del concilio ecumenico, fu ripresa tale condanna, questa volta in 15 anatemi. Sembra che il papa Vigilio, allora presente a Costantinopoli, li abbia ancora una volta approvati. Infine, lo stesso concilio generale, senza tornare sugli anatemi pronunciati, pose Origene nel numero degli eretici. Si ammette ai nostri giorni che Origene non avesse detto tutto ciò che gli si attribuiva e che il suo allegorismo non è necessariamente dovunque erroneo. Affermazioni sicuramente sue sono la preesistenza delle anime, la loro caduta nei corpi, la restaurazione universale e la teoria che certi astri siano esseri animati.
Meno certo è il fatto che egli abbia sostenuto le seguenti idee: Cristo si è fatto successivamente simile a ogni ordine di creature celesti; il corpo di Cristo fu formato prima che si unisse colla sua anima; Cristo, in in un altro mondo sarà crocifisso per i demoni; Dio ha creato tutto ciò che era in suo potere di creare, ecc.
E' assolutamente dubbio che egli abbia sostenuto che tutta la creazione materiale e tutti i corpi finiranno per essere annientati; che tutti gli spiriti saranno finalmente uniti a Dio come l'anima di Cristo; e che allora avrà fine il Regno di Cristo. Origene è rimasto per noi un soggetto di grande curiosità, mista di ammirazione e anche di venerazione, poiché i suoi errori, siccome la dottrina non era ancora fissata, possono essere considerati solo come eresie materiali e non formali. Sembra certo che egli fosse troppo "uomo della Chiesa" per non sottomettersi alle sue decisioni qualora ve ne fossero state, ai suoi tempi, sugli argomenti da lui trattati.


OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:46
 
Quota

IL MONOTELISMO
Le concessioni fatte ai monofisiti, e in particolare la condanna dei Tre Capitoli, non avevano tatto che incoraggiarli. Non si erano sottomessi. Agli inizi del VII secolo il patriarca di Costantinopoli, Sergio, mente duttile e astuta, progettò nn nuovo sistema di conciliazione.
Si era in lotta contro i Persiani. L'unità dell'impero si imponeva con maggior forza che mai. Sergio propose quindi di insegnare che l'unione delle due nature in Gesù Cristo era così intima che non vi era mai stata in lui se non una sola volontà e una sola azione. E' ciò che venne chiamato il monotelismo o teoria della unica volontà. Nel frattempo, nel 631, un certo Ciro di Faside divenne patriarca di Alessandria. E' noto che questa città era la capitale del monofisismo. Ciro si associò alla dottrina di Sergio. I monofisiti poterono cantare vittoria: " E' stato il concilio di Calcedonia a venire a noi ",
dicevano, "e non noi ad esso! ". Si elevarono tuttavia delle proteste. Il più insigne avversario della nuova teoria fu san Sofronio, vescovo di Gerusalemme dal 634. Sergio, per avere il sopravvento, cercò di conquistarsi il papa Onorio, chiedendogli di dichiarare inopportuna questa distinzione di una o due energie, di una o due volontà in Cristo. Onorio, pro bono pacis, entrò nelle sue vedute e, per quanto approvasse in fondo la dottrina di Sofronio che era ortodossa, si pronunciò per Sergio.
L'imperatore Eraclio, prese la palla al balzo e pubblicò un formulario dottrinale chiamato Ectesi (638). In Gesù Cristo, diceva questo documento, non vi è che una volontà, e non si deve distinguere in lui fra una o due energie. Era l'eresia, poiché la natura umana in Cristo, priva di volontà e di energia propria, non era più la natura umana come la possediamo noi.
Essendo morto il papa Onorio, i suoi successori - Severino e quindi Giovanni IV - rigettarono l'Ectesi.
Morendo nel 641, Eraclio dichiarò di sottomettersi al papa e fece ricadere su Sergio la responsabilità del suo formulario del 638. Ma il suo successore Costante II (642-668) 1o riprese. Roma e l'Occidente lo combatterono. Costante II, scosso, sostituì l'Ectesi con un nuovo decreto, il Tipo (648), che si limitava ad imporre il silenzio sulla controversa questione. Fin dal 649, il papa Martino I riuniva un concilio in Laterano e vi faceva condannare da 105 vescovi tanto l'Ectesi che il Tipo. Irritato, l'imperatore fece arrestare il papa, che fu maltrattato, mandato in esilio, e morì nel Chersoneso nel 655. Noi lo onoriamo come martire il 12 novembre.
Dopo la morte di Costante II, il suo successore Costantino IV Pogonato (il Barbuto), si accordò con il papa per convocare un concilio generale a Costantinopoli - il VI ecumenico - (2 novembre 680 - 16 settembre 681). Vi fu condannato solennemente il monotelismo, e lo stesso papa Onorio fu colpito da anatema per aver accettato gli " empi dogmi di Sergio ". Ma, confermando il concilio, il papa Leone II, successore di Agatone, precisò il senso di questa condanna, spesso invocata contro l'infallibilità dei papi: " Egli non ha saputo purificare questa Chiesa apostolica professando la tradizione apostolica, e ha invece permesso che la fede immacolata fosse macchiata di un deplorevole tradimento ". Gli si rimproverava quindi una mancanza di vigilanza, una debolezza, piuttosto che una adesione all'errore. Ai nostri giorni si ritiene che il pensiero di Onorio, qualunque cosa ne abbiano detto i gallicani, sia rimasto sempre ortodosso e che egli non sia mai stato eretico nel significato preciso del termine.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:46
 
Quota

LA QUESTIONE DELLE IMMAGINI
Dall'arianesimo in poi, si è visto che tutti gli errori o la maggior parte di essi, si collegavano gli uni agli altri. Anche l'origenismo, anteriore all'arianesimo, ne era stato un preludio con la teoria della subordinazione del Figlio al Padre. Con la gravissima Questione delle immagini usciamo da questo cerchio.
Dal 717 regnava a Costantinopoli un rozzo generale, diventato imperatore con il nome di Leone Isaurico. Non comprendeva naturalmente nulla delle cose di teologia, ma era consuetudine dell'impero legiferare in queste materie come in tutte le altre. Imitando forse il califfo arabo Isid II, che aveva proscritto le immagini nelle moschee, e forse dietro i consigli del vescovo frigio Costantino di Nacolia, egli prese nel 725 una serie di misure contro il culto delle immagini. Charles Dichl e Louis Brehier hanno dimostrato come il suo scopo fosse soprattutto quello di lottare contro l'eccessivo influsso dei monaci. Gli editti si succedettero aggravandosi senza tregua. Dapprima si erano condannate le immagini dei santi, degli angeli e dei martiri. Si giunse quindi a proscrivere anche le immagini di Cristo e della Vergine.
Si può immaginare il turbamento dei fedeli, soprattutto in Oriente, dove le basiliche erano splendidamente ornate di mosaici policromi in onore di Cristo, della Vergine e dei santi. Mani empie si diedero a distruggere tutto quel patrimonio artistico del passato. Il patriarca di Costantinopoli, san Germano, protestò energicamente, ma fu deposto e sostituito con un prelato ligio alla Corte, Anastasio. I papi Gregorio II e Gregorio III condannarono a loro volta l'iconoclastia o distruzione delle immagini, nel 727 e nel 731. Un teologo di primo piano, san Giovanni Damasceno, entrò in campo per difendere la legittimità del culto reso alle immagini. Ma l'imperatore, che era molto autoritario, non cedette.
Vi furono deplorevoli sottomissioni nel clero, ma anche eroiche resistenze tra i monaci e i fedeli. Si segnalano in particolare come martiri della persecuzione alcune donne che avevano rovesciato la scala di un operaio iconoclasta. Il figlio e successore di Leone Isaurico, Costantino Copronimo (il sudicio), che regnò dal 741 al 775, proseguì la detestabile politica del padre. Soltanto sotto l'imperatore Leone IV (775-780), e soprattutto sotto la sua vedova Irene, fu ristabilita la pace e riportato in onore il culto delle immagini. Irene, in pieno accordo con il papa Adriano I (772-795) e il patriarca di Costantinopoli san Tarasio, radunò, nonostante l'opposizione del partito militare, il concilio di Nicea (VII ecumenico), nel 787. Questo concilio definì chiaramente in quale senso sia legittimo onorare le immagini. Si tratta di un culto relativo, che si rivolge cioè alla Persona rappresentata e non all'immagine stessa. Il papa Adriano fece tutti i tentativi per far ammettere questa dottrina in Occidente, ma Carlomagno, tratto in errore da una cattiva traduzione degli atti del concilio, pensò che si trattasse di onorare le immagini di un culto assoluto. In un trattato noto sotto il nome di Libri Carolingi si criticava aspramente il cullo delle immagini cosi male interpretato, e il concilio di Francoforte condannò tale culto nel 794. A poco a poco tuttavia il malinteso fu chiarito, e non vi sarà crisi iconoclastica in Occidente se non sotto l'influsso di alcune sette protestanti, come il calvinismo che ancor oggi bandisce le immagini dai suoi templi.
Una seconda crisi iconoclasta si verificò in Oriente nel IX secolo, sotto gli imperatori Leone l'Armeno (813-820), Michele il Balbuziente (820-829) e Teofilo (829-842). Il primo e il terzo si mostrarono particolarmente accaniti. Il grande difensore delle immagini fu allora san Teodoro Studita (+ 826). E fu ancora una volta una donna, l'imperatrice Teodora, vedova di Teofilo e madre di Michele III, che ebbe la gioia di ristabilire la pace restaurando il culto delle immagini. Appena salita al potere, nel 842, si intese con il patriarca di Costantinopoli san Metodio, che radunò un concilio per confermarvi definitivamente i decreti di Nicea riguardo alle immagini.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:47
 
Quota

Cap 5
CAPITOLO V
LE ERESIE MEDIOEVALI
CARATTERI GENERALI
Si è avuta per molto tempo l'abitudine di considerare i lunghi secoli del " medioevo ", come secoli di ristagno intellettuale. Il presente capitolo ci mostrerà come non siano tuttavia mancate le eresie: eresie individuali o eresie collettive. E tutte hanno rivestito caratteri comuni. Esse furono non soltanto manifestazioni dello straordinario fermento intellettuale e sociale che ha segnato quel periodo, ma anche proteste incessantemente rinnovate contro il regime feudale e clericale del tempo. Le eresie, senza dubbio, pretendono di collocarsi unicamente e principalmente sul piano teologico o religioso. Ma in realtà esse rientrano nell'antifeudalesimo, nell'anticlericalismo, nelle aspirazioni verso la libertà dei borghesi delle città. Esistevano già allora gli stessi problemi sociali che si pongono ai nostri giorni, ma si traducevano nel linguaggio del tempo, che era il linguaggio teologico. L'emancipazione comunale, in specie, fu in stretta relazione con le eresie medioevali. I conflitti sociali fornirono in ogni caso alle eresie un " ambiente " favorevole per il loro sviluppo. E questo è un fatto che non si deve mai perdere di vista.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:47
 
Quota

ERESIE INDIVIDUALI
Tra le eresie medioevali, in Occidente, se ne distinguono alcune che furono soprattutto individuali, mentre altre nacquero e si costituirono in gruppi dissidenti.
Ricorderemo solo sommariamente le prime.
Nel secolo XI, un certo Berengario, già canonico di Tours, e quindi arcidiacono di Angers, fu il primo avversario, a noi noto, della presenza reale nell'eucaristia.
Secondo lui, la consacrazione del pane e del vino aveva lo scopo di santificare gli elementi, sottraendoli all'uso profano e dando loro un certo potere santificante. In sostanza, l'ostia consacrata era, secondo lui, solo pane benedetto, e solo per una pia convenzione la si poteva chiamare Corpo di Gesù Cristo.
Berengario fu immediatamente confutato da Adelmanno di Liegi, da Ugo di Langres e da Lanfranco di Bee, che erano fra i più illustri teologi del tempo. La dottrina dell'innovatore fu condannata nel concilio di Vercelli del 1051, in quello di Parigi dello stesso anno, in quel di Tours del 1054, ed in altri dieci sinodi. Egli finì per ritrattarsi, ma ricadde nell'errore, si ritrattò nuovamente e morì nel 1088, dopo una sincera conversione.
Al contrario di Berengario, che fu una specie di razionalista, altri eretici del medioevo caddero in falsi misticismi. Cosi, ad esempio, Amalrico di Bena, verso la fine del secolo XII. Egli parve ispirarsi alle opere del filosofo Scoto Eringena, un platonico abbastanza arrischiato, ma di grande ingegno. Amalrico ricavò dalla sua dottrina una specie di panteismo. Secondo lui, Dio e l'essenza intima di tutto ciò che esiste. I suoi discepoli giunsero alla conclusione che " tutto è divino ", che " tutto è buono ", che non vi è più differenza tra il bene e il male. Gli amalriciani giungevano a considerarsi come gli strumenti dello Spirito Santo, preconizzavano il libero amore, si irritavano delle condanne della Chiesa e finivano per trattare il papa come Anticristo. Gli errori di Amalrico furono condannati poco dopo la sua morte, avvenuta fra il 1205 e il 1207, da un sinodo di Parigi del 1210, che ordinò di dissotterrare il suo corpo perché indegno di riposare in terreno consacrato. Il concilio lateranense del 1215 condannò nuovamente la dottrina amalriciana, dichiarandola " più assurda che eretica ". Idee abbastanza simili si ritrovano comunque per tutto il medioevo, specialmente nei beguardi e nei fraticelli. Ma questi ultimi hanno potuto ispirarsi ancor di più ad un personaggio misterioso come Gioacchino da Fiore, di cui si è potuto supporre l'influsso sulla maggior parte dei gruppi sedicenti mistici dell'Italia e di altri paesi cristiani.
Questo Gioacchino, di origine italiana, morì mentre era abate dell'abbazia di Fiore, in Calabria, il 20 marzo 1202. La sua dottrina, strana quanto la sua persona, si riassume nei seguenti punti: 1. come vi sono tre persone in Dio, così vi sono tre ere del mondo: l'era della Legge, l'era di Cristo e l'era dello Spirito Santo; 2. l'era del Padre o della Legge fu quella dell'Antico Testamento, era di servitù e di timore, epoca della gente sposata e dei laici; 3. l'era di Cristo è quella del Nuovo Testamento, era mista di gente sposata e di chierici non sposati, ma che vivono nel mondo; 4. la Pienezza dei tempi che deve cominciare intorno al 1260, sarà l'era dei monaci, l'era dell'avvento dello Spirito Santo, l'era della Libertà, nella quale dominerà il Vangelo eterno. Questo Vangelo non sarà scritto, ma sarà una interpretazione tutta spirituale dell'Antico e del Nuovo Testamento.
Queste idee non impedivano a Gioacchino da Fiore, dolce sognatore, di rimanere un fedele figlio della Chiesa. Solo dopo la sua morte alcuni francescani esaltati, alla testa dei quali si è soliti porre il famoso Gerardo da Borgo san Donnino, riprenderanno i suoi scritti, ne faranno l'espressione del Vangelo eterno e si crederanno chiamati a riformare la Chiesa da cima a fondo. Pretenderanno di imporre a tutti la povertà apostolica cosi bene imitata dal loro maestro Francesco d'Assisi. Ma, cadendo nella ribellione, e rifiutando di sottomettersi all'autorità della Chiesa, saranno infine condannati come eretici durante il secolo XIV.
Tutto ciò non era altro che falso misticismo.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:47
 
Quota

I PETROBRUSSIANI
Ecco ora alcune eresie che hanno la forma di sette dissidenti. In primo luogo, i petrobrussiani. Sono così chiamati dal nome del loro fondatore, un certo Pietro di Bruys, prete deposto e ribelle. A partire dal 1104, egli avrebbe cominciato a predicare nella Linguadoca e in Provenza. Che cosa insegnava? Che non si devono battezzare i bambini, i quali non capiscono nulla; che è inutile pregare nelle chiese, poiché Dio è dovunque, che si deve sopprimere l'uso del crocifisso, come pure le preghiere per i defunti, la fede nella presenza reale e soprattutto l'obbedienza al clero. Incitava le popolazioni contro i parroci e i monaci. Ma una forte reazione si scaleno contro di lui; nel Venerdì Santo del 1124 pretese di far cuocere della carne su un fuoco di crocifissi accatastati, ma fu assalito dalla folla scandalizzata e ucciso. Dopo di lui prese la direzione della setta un benedettino apostata, Enrico di Losanna. Fu condannato nel concilio di Pisa del 1135 e pare sia morto in carcere verso il 1145.
Il grande avversario di questa setta anticlericale fu san Bernardo di Chiaravalle, che predicò spesso negli ambienti dove si era propagato il male.
Una setta di tendenze analoghe si propagò nel Brabante, nella zona di Anversa, capeggiata da una specie di avventuriero di nome Tanchelmo di Brabante, che si spacciava per Figlio di Dio; egli riuscì a trascinare al suo seguito una folla di ignoranti fanatici. Fu confutato da un emulo di san Bernardo, il grande oratore san Norberto, fondatore dei Premostratensi. Tanchelmo morì verso il 1115, per un colpo infertogli al capo durante un viaggio in barca.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:47
 
Quota

I VALDESI
Le piccole sette precedenti non furono mai molto pericolose. Non si può dire altrettanto di quella dei Valdesi. Essa ebbe come autore un mercante di Lione di nome Pietro Valdo o Valdes. Desideroso di camminare nella via della perfezione, Valdo si immerse nello studio della Bibbia. Distribuì tutte le sue ricchezze ai poveri e si mise a predicare la penitenza. Si unirono a lui alcuni discepoli, in piena buona fede. Furono chiamati dapprima i "poveri di Lione". Si credettero autorizzati a predicare il Vangelo al popolo, ma, impreparati come erano, misero presto in allarme l'autorità ecclesiastica e il vescovo di Lione proibì loro di predicare. Valdo si recò a Roma, al tempo del Concilio lateranense, nel 1179. Il papa Alessandro III approvò il loro modo di vivere, ma li sottopose, per quanto riguardava la predicazione, alle autorità episcopali del luogo. La stessa linea di condotta fu imposta agli Umiliati o "poveri lombardi", che erano una formazione analoga. Se i "poveri di Lione" e i "poveri lombardi" avessero osservato la regola loro imposta, come farà più tardi Francesco d'Assisi con i suoi autentici "poveri", non vi sarebbe stato lo scisma. Ma Valdo e i suoi ricominciarono a predicare senza alcuna autorizzazione, dandosi quindi alla rapina, al saccheggio, alle stragi di cattolici, a violenze gratuite di ogni genere. Invano il vescovo Bellesmaius li richiamò all'ordine. Il papa Lucio III (finì per condannarli, insieme agli Umiliati, nel concilio di Verona e nella Bolla Ad abolendam, del 4 novembre 1184. In seguito i valdesi si divisero dagli Umiliati della Lombardia, e si organizzarono come setta separata dalla Chiesa. Dallo scisma passarono presto all'eresia. Adottarono una dottrina abbastanza analoga a quella dei donatisti del IV secolo, facendo dipendere la validità dei sacramenti dalla santità di colui che li conferisce. Ma andando ancora oltre, attribuirono a se stessi, a motivo della loro santità derivante dalla povertà, il diritto di conferire i sacramenti del battesimo, della cresima e dell'eucarestia, senza aver ricevuto l'ordine. Valdo pretese di esercitare tutti i poteri del sacerdote e perfino del vescovo, senza essere stato né ordinato né consacrato.
Per sottrarsi alla repressione da parte delle autorità ecclesiastiche e civili, i valdesi rinunciarono alla violenza e si stabilirono nelle vallate delle Alpi Cozie, nella zona di Frassinere, nella Valle Argentera, nella Val Luisa, nella Valle della Dora Riparia e nell'Angrona; il loro centro preferito fu la città di Pinerolo e la zona di Torre Pellice. Alcuni gruppi sorsero anche nelle Puglie e nella Calabria. Molto più tardi, verso il 1533, adottarono le principali dottrine della Riforma protestante: giustificazione mediante la sola fede, riduzione dei sacramenti a due, interpretazione dell'eucaristia in senso calvinista, dottrina della predestinazione. Il movimento valdese finì per non essere altro che un'appendice del calvinismo. Fu questo ad attirare su di essi le repressioni legali sotto Francesco I. Essi furono allora, per ordine del Parlamento di Aix-en-Provence, le vittime di una tremenda spedizione punitiva, durante la quale vi furono migliaia di morti (le cifre variano fra 800 e 4.000 per 22 villaggi distrutti). Liberati dalle leggi piemontesi di tolleranza religiosa, nel 1848, i valdesi, dietro la spinta del generale inglese John-Charles Meckwith, si credettero chiamati a rigenerare l'Italia, distruggendo il cattolicesimo. Ma la loro "evangelizzazione dell'Italia" non ottenne il successo sperato. Attualmente, i valdesi si dividono il mondo in cinque settori: Valli Alpine; Piemonte - Lombardia - Veneto; Nizza - Liguria - Toscana - Roma; Italia del sud e Sicilia; Rio de la Plata e zone circostanti. Ma il loro numero non supera i 30.000 adepti. Molti di essi, liberatisi dai pregiudizi nei confronti della Chiesa di Roma, aderiscono fervidamente al movimento ecumenico dell'unità delle Chiese.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:48
 
Quota

GLI ALBIGESI
Molto meno duratura, ma assai più pericolosa fu l'eresia degli albigesi, che prende il nome della città di Albi dove ebbe il centro più importante.
Sono anche detti catari, da una parola greca che significa " i puri ". Questo solo nome suggerisce un'origine orientale. E così, procedendo secondo il metodo usato in paleontologia per stabilire una filiazione tra i fossili di età diverse, si è pensato di poter ricollegare l'eresia dei catari dell'Italia e della Francia al manicheismo, passando per i bogomili bulgari del IX secolo e i pauliciani asiatici del VII. E' quindi il caso di parlare di quel manicheismo al quale rimase più o meno legato Agostino per nove anni della sua gioventù.
Il manicheismo prende il nome dal fondatore, Mani, oriundo di Babilonia e appartenente per via del padre, Patck, alla famiglia reale degli Arsacidi della Persia. Mani era nato il 14 aprile del 216. Si crede che il padre appartenesse ad una setta eucratica i cui membri già si chiamavano " i puri " e portavano vesti bianche. Non c'è dubbio che Mani, fin dalla giovinezza, sia stato educato nelle idee di una ansiosa ricerca della purezza, mediante la fuga della materia ritenuta la fonte di ogni male o di ogni impurità. Ma presto Mani si credette chiamato a una missione profetica. La sua dottrina si basa sul concetto di un continuo profetismo divino. Egli si identifica quindi al Paraclito e si pone per ciò stesso in una atmosfera cristiana, ma al margine del cristianesimo ortodosso. Ha attinto la propria dottrina a quattro fonti diverse: l'antica religione naturistica di Babilonia; la religione di Zarathustra o persismo; il buddismo per quanto riguarda la morale e l'ascetismo; il cristianesimo per quanto riguarda il profetismo e la teoria della salvezza, ma un cristianesimo alimentato più dagli Apocrifi che dai Vangeli autentici. In sostanza, Mani è una specie di Maometto ante litteram, un Maometto non riuscito.
Al punto di partenza: il dualismo, cioè un duplice principio eterno, quello del bene e quello del male.
Tra l'uomo primitivo che Dio aveva creato buono, e Satana principe delle tenebre, si è impegnata la lotta. E l'uomo porta le tracce della propria sconfitta; la donna ancora di più. Il dualismo è in noi, è la lotta della carne e dello spirito. Gesù rivestì un corpo apparente (docetismo) per salvare l'uomo. La salvezza consiste nel liberare le particelle di luce che sono in noi smarrite nelle tenebre del corpo. Non tutti giungono in modo uguale a questa liberazione. I discepoli perfetti di Mani sono quelli che osservano i tre sigilli; il sigillo della bocca (astinenza perpetua dal vino, dalla carne e da ogni pensiero impuro); il sigillo della mano (avversione per qualunque lavoro servile); il sigillo del ventre (continenza assoluta). Quelli che applicano tale programma sono gli eletti. I discepoli di grado inferiore sono chiamati auditori. Agostino, in gioventù, appartenne a questa categoria e non superò mai tale grado.
Si trovano idee simili sia nei priscillianisti spagnoli del V e VI secolo, sia nei vari raggruppamenti che abbiamo ricordati sopra. In Francia, il catarismo si manifesta nel XII secolo, tanto nello Champagne come nella Linguadoca e nella Provenza. Il nome di albigesi fu dato un po' dappertutto a gruppi molto distanti da Albi. In questi eretici rimane visibile il manicheismo iniziale. Strada facendo, tuttavia, il manicheismo si è arricchito di elementi nuovi: anticlericalismo, antimilitarismo, anarchia, comunismo. La distinzione fra eletti o perfetti e semplici credenti o auditori restava alla base dell'organizzazione della setta. I perfetti praticavano un rigoroso ascetismo, che faceva profonda impressione sul basso popolo. Una nobildonna della Linguadoca raccontava di essere andata a far visita a uno di questi perfetti: " Egli le apparve - diceva - come la più strana delle meraviglie. Da molto tempo era seduto su una sedia, immobile come un tronco d'albero e insensibile a tutto ciò che lo circondava ". Ai nostri giorni diremmo: come un fakiro indiano. I perfetti avevano orrore del matrimonio che perpetua la vita terrena, questa illusione satanica. Praticavano la continenza assoluta ed incoraggiavano i credenti a non far uso de1 matrimonio. Condannavano il giuramento e il servizio militarem ma in numerose occasioni venivano esortati allo sterminio dei cattolici. Consideravano il suicidio volontario come l'ideale della santità. Alcuni si facevano tagliare le vene per morire in un bagno, o prendevano il veleno. Ma la maniera di suicidio più diffusa consisteva nel mettersi in endura, cioè nel lasciarsi morire di fame.
Per entrare nello stato di perfezione, gli eletti ricevevano una specie di battesimo tutto spirituale - poiché l'acqua è maledetta come ogni altra materia - chiamato consolamentum. I semplici credenti non avevano altro obbligo che quello di adorare gli eletti e di nutrirli, cosicché potessero condurre, senza preoccupazioni materiali, la loro vita. Ricevevano tuttavia anch'essi il consolamentum, ma sul letto di morte, quando non vi era più alcuna possibilità di guarigione, e per evitare qualunque pericolo che riacquistassero la salute, venivano messi o si mettevano essi stessi in endura, facendo cioè lo sciopero della fame, per non perdere il frutto della loro rigenerazione.
Una simile dottrina si opponeva in modo così manifesto alla religione cristiana e all'intera società fondata su questa religione, come pure alla civiltà che il cristianesimo aveva portato, che non è da stupire se si impegnò una accesa lotta contro di essa. Da parte cattolica questa lotta fu condotta con una carità e uno zelo veramente apostolici. San Bernardo aveva predicato ripetutamente contro i catari. Il papa Innocenzo III. cinquant'anni dopo, fu spaventato per i progressi dell'eresia e sollecitò i prelati e i nobili del mezzogiorno della Francia ad unire i propri sforzi per combatterli. Mandò legati, per dirigere l'evangelizzazione dei paesi contaminati e prescrisse formalmente l'uso di mezzi pacifici: "Vi ordiniamo - scriveva ai legati. il 19-11-1206, - di scegliere nomini di provata virtù... Prendendo a modello la povertà di Cristo, vestiti dimessamente, essi andranno a trovare gli eretici e con l'esempio della loro vita come con l'insegnamento, cercheranno con la grazia di Dio, di strapparli all'errore". Fra i più ardenti di questi apostoli cattolici troviamo, a partire dal 1206, un vescovo spagnolo, Diego de Azevedo, e uno dei suoi canonici di Osma, Domenico di Guzman che, per meglio combattere l'eresia , fonderà l'Ordine dei frati predicatori dei domenicani.
Purtroppo, nella contesa fece subito apparizione la violenza. Numerosissimi legati – ma anche semplici cattolici - erano già stati massacrati quando, il 15 gennaio 1208, il legato del papa, Pietro di Castelnau, veniva assassinato da alcuni fanatici. Il papa Innocenzo III invitò allora i nobili cristiani a una crociata contro i dissidenti. Ma era più facile scatenare i rozzi guerrieri feudali di quel tempo che mantenerli nella moderazione cristiana. Vi furono, da una parte e dall'altra, eccessi deplorevoli. La crociata fu diretta dal conte Simone di Montfort. Fra i nobili del Nord e quelli del Sud vi erano inconscie animosità, che esercitarono un notevole influsso. I crociati non desideravano che una cosa: privare gli eretici dei loro beni, per impadronirsene! La conquista di Beziers fu segnata da una sanguinosa carneficina. La battaglia di Muret del 12 settembre 1213, fu decisiva. In fin dei conti fu il regno francese a trarre vantaggio dallo sconvolgimento della proprietà feudale causato dalla tremenda guerra degli albigesi. Si deve ricollegare in gran parte alle dolorose esperienze di questa guerra l'aggravarsi della repressione dell'eresia per mezzo del tribunale della Inquisizione, creato nel 1184, nel concilio di Verona, affidato dapprima ai vescovi, fin quasi al 1233, e quindi ai delegati della Santa Sede, che furono il più delle volte domenicani. A partire dal 1224, la legge civile prescrisse la pena di morte contro gli eretici ostinati.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:48
 
Quota

L'ERESIA DI WYCLEFF
Sotto forme anarchiche, le eresie dei valdesi e dei catari potevano essere considerate già come tentativi di riforma della Chiesa contaminata da tanti abusi.
Questo stesso carattere si riscontrerà in Wyclef e in Giovanni Huss, prima di rivelarsi in Lutero e negli innovatori del secolo XVI. Ma, invece di pressioni oscure venute dalle profondità del popolo, è la scienza universitaria che tenterà di procedere al rifacimento dei dogmi e alla repressione di disordini morali in seno alla Chiesa.
Wyclef o innanzitutto "un uomo di Oxford", nasce nel castello di Wycliffe-on-Tees, nel Yorkshire, tra il 1324 e il 1328. Giunge ad Oxford nel 1345. La peste nera interrompe i suoi studi dal 1349 al 1353. Diventa allora maestro al collegio di Balliol e parroco di Fillingham, e infine dottore in teologia nel 1372. Come tanti altri, egli accumula benefici, abuso questo tra i più spiacevoli del tempo. A partire dal 1374, scrive tutta una serie di opere, che gli procurano il favore della Corona. Sarà d'ora in poi l'avvocato dei diritti dello Stato contro il Papato. Le sue opere principali sono: II Dominio divino (1375), il Dominio civile (1375), La Verità della Scrittura (1378), La Chiesa (1378), (largamente sfruttata più tardi da Giovanni Huss), L'Ordine cristiano (1379), L'Apostasia (1379), L'Eucaristia (1379), il Trialogus (autunno 1382) la più importante di tutte. Accanto a queste e ad alcune altre opere meno importanti in lingua Ialina, Wyclef pubblica anche dei tracts riformisti in inglese e favorisce una traduzione della Bibbia nella lingua nazionale. Quindi raduna dei predicatori popolari e, con il nome di " poveri preti ", li lancia per il paese.
L'opinione pubblica soprannominò questi predicatori lollardi, che sembra significhi cantori di cantici.
Fin dal febbraio 1377 egli era stato messo sotto accusa dal vescovo Guglielmo di Courtenay, ma la Corte. l'aveva difeso. Il papa Grcgorio X invece lo condannò intimandogli di comparire dinanzi al tribunale ecclesiastico. Egli protestò contro la citazione, in nome delle libertà anglicane, e paragonò il papa all'Anticristo II nome di Wyclef e da questo punto legato a tutte le agitazioni sociali: i contadini invocano la sua autorità contro le esazioni di cui sono vittime.
Il vescovo Guglielmo di Courtenay, appoggiato questa volta dalla Corte, mise nuovamente mano alla repressione. Il Sinodo dei Blackfriars (17-21 maggio 1382 riunito a Cantorbery, condannò tutte le dottrine di Wyclef ed epurò i suoi partigiani dall'Università di Oxford. Egli si ritirò nella sua parrocchia, a Lutterworth, a sud di Leicester, dove continuò a scrivere molto fino alla morte, avvenuta il 31 dicembre 1384. Ricevette funerali religiosi, poiché non era mai stato scomunicato formalmente. Ma dopo la condanna delle sue dottrine al Concilio di Costanza, il 4 maggio 1415 il vescovo di Lincoln da cui dipendeva Lutterworth ricevette l'ordine di esumare i resti, di farli bruciare e di gettare le ceneri nel fiume. L'ordine venne eseguito solo nel 1428.
La dottrina di Wyclef e condensata nelle 45 proposizioni, tratte dai suoi scritti, che furono condannate nel concilio di Costanza, condanna ribadita da due Bolle di Martino V nel 1418. Il suo sistema è una specie di panteismo fatalista. Secondo lui, Dio è Tutto e tutto è Dio. Tutto ciò che avviene è necessario. Dio predestina gli uni al cielo, gli altri all'inferno. La Chiesa non è altro che una società invisibile dei predestinati. Non vi è altra autorità divina al di fuori di quella della Bibbia. La Chiesa romana è la sinagoga di Satana. Gli ordini religiosi sono istituzioni diaboliche. Il dogma della transustanziazione è un'eresia. Cristo è sì presente nell'eucaristia, ma insieme con il pane e il vino, che non vengono trasformati.
Una delle teorie più antisociali di Wyelcf era quella della Sovranità o del Dominio divino e civile. Questo era appunto il titolo dei suoi due primi libri. .Secondo lui Dio solo è Sovrano. Egli solo ha il dominio su tute le cose. Il re non presiede il proprio stato se non sotto l'autorità di Dio, e può esercitare il proprio potere solo se è sottomesso a Dio, vale a dire se e in stato di grazia. L'uomo in stato di peccato mortale non può esercitare né la sovranità, né il diritto di proprietà. Al contrario, l'uomo in stato di grazia è realmente in Dio sovrano di tutto l'universo. Il papato non ha alcun potere nel campo civile, né diretto né indiretto.
Tuttavia, siccome soltanto Dio conosce quelli che sono in stato di grazia, Wyclef era costretto a negare ogni efficacia pratica alle idee rivoluzionarie da lui professate in teoria. Vi era comunque in esse una forza esplosiva che spiega la ribellione dei Lollardi, duramente repressa da Enrico IV di Lancastcr a partire dal 1400, tanto che i wycleffiti, braccati senza pietà, scomparvero completamente.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:49
 
Quota

GIOVANNI HUSS E GLI HUSSITI
Uno stretto legame unisce l'eresia di Giovanni Huss a quella di Wyclef. Giovanni Huss era nato verso il 1369 a Husinecz. da famiglia contadina. Compì gli studi a Praga, e vi divenne predicatore nella cappella di Bethleem, di cui fece un centro di riformismo ecclesiastico e di patriottismo ceko.
Era un asceta: la sua eloquenza ardente, la sua vita esemplare, il suo volto grave, emaciato, pallido e austero entusiasmavano gli uditori. L'odio per lo straniero, lo zelo per la Riforma, il sincero culto del Vangelo, erano altrettanti aspetti che gli procuravano una crescente popolarità. Uno dei suoi ultimi biografi, Ernest Denis, ha potuto parlare della sua " inflessibile umiltà". Una umiltà che celava forse un orgoglio indomabile. La coscienza del suo zelo riformista e della sua missione politica sostituiva in lui la teologia, la filosofia e l'ortodossia. Egli non era affatto un pensatore originale. Ma le dottrine di Wyclef, importate da Oxford, attraverso alcuni studenti ceki, erano vivacemente discusse a Praga. Uno dei più accesi wycleffiti boemi era un giovane di nome Gerolamo da Praga. A cuasa del mancato appoggio alla causa nazionalista da parte della Chiesa, Giovanni Huss si lanciò con entusiasmo su questa strada. Al pari di Wyclef, ammise che la Scrittura è la sola fonte di ogni verità divina, che Cristo è il solo capo della Chiesa, che il papato non è se non una istituzione di fatto nella quale Cristo non ha avuto parte alcuna, che qualunque superiore perde la propria autorità cadendo nel peccalo mortale, che la Chiesa è formata di soli predestinati, e che ogni predestinato è infallibile. Parecchie di queste idee si riscontreranno in Lutero, il quale tuttavia non fu influenzato da Giovanni Huss nella rivoluzione religiosa che operò un secolo dopo.
Alle controversie suscitate da quanto andava predicando, venne a mischiarsi una questione di razze. Huss ottenne dal re Venceslao che la nazione ceka beneficiasse di tre voti nell'Università di Praga, mentre le altre tre nazioni - Baviera, Sassonia e Polonia - avrebbero avuto un solo voto. Si dice che 2.000 studenti e professori lasciarono immediatamente Praga e andarono a fondare l'Università di Lipsia (1409). Ma Giovanni Huss, vittorioso su questo punto, fu combattuto dal suo vescovo per le dottrine wycleffite da lui professate. Come in ogni eresia, da tempo avevano avuto inizio le violenze: i seguaci di Huss si diedero alla rapina, allo stupro, alla strage di cattolici. Pare che lo stesso Huss vi fosse implicato.
Nell'estate del 1412 una bolla pontificia lo scomunicò e lanciò l'interdetto sulla cappella in cui predicava. Huss si appellò da una parte a Cristo, ma d'altra parte - come avrebbe fallo un secolo più tardi Lutero - anche alla nobiltà e al popolo. Ritenendosi basato sulla Scrittura, poteva mettere al sicuro la sua "inflessibile umiltà" dietro la coscienza della sua infallibilità biblica. Tutti gli eresiarchi del resto avevano fatto altrettanto, e continuano a farlo tuttora. In queste condizioni, fu una vera incongruenza da parte sua il presentarsi dinanzi al concilio di Costanza. Forse sperava di convincere il Concilio! Munito d'un salvacondotto dell'imperatore Sigismondo, comparve a Costanza il 28 novembre 1414. Si dichiarò pronto a morire piuttosto che ammettere l'errore. E si può credere che fosse sincero. L'esame delle sue dottrine mostrò come esse fossero connesse con quelle di Wyclef, ch'egli aveva ricopiato talvolta alla lettera. Orbene, come abbiamo accennato sopra, le 45 proposizioni estratte dalle opere di Wyclef furono condannate, il 4 maggio 1415, come notoriamente eretiche, o erronee, sediziose e infine scandalose.
Le discussioni erano dirette da un prelato francese, Pietro d'Ailly. Giovanni Huss pretese di passare all'opposizione difendendo quelle idee di Wyclef che aveva fatte proprie. Ma la facoltà e l'ardore della parola non potevano sostituire in alcun modo l'ortodossia. I Padri furono irremovibili con Huss che si limitò infine ad appellarsi a Cristo, protestando che non si sarebbe mai riusciti a farlo cedere. I suoi scritti furono condannati alle fiamme il 24 giugno 1415. Il 6 luglio gli fu rivolta una ultima esortazione. Non gli si poté strappare una sola parola di ritrattazione. Allora fu pronunciata la sentenza: "II santo Concilio ha la prova che Giovanni rimane ostinato e incorreggibile... L'assemblea decreta quindi che il colpevole sia deposto e degradato, e che dopo essere stato scacciato dalla Chiesa sia consegnato al braccio secolare".
E così fu fatto. Lo stesso giorno, l'infelice Giovanni fu mandato al rogo, senza che consentisse ad abiurare. Si è accusato a questo proposito l'imperatore Sigismondo di aver violato il salvacondotto che aveva concesso a Huss. L'accusa sembra si possa contestare, poiché il salvacondotto non aveva lo scopo di sottrarlo alla giustizia legale del tempo, ma di proteggerlo lungo la strada. L'amico di Giovanni Huss, Gerolamo da Praga, incolpato a sua volta, fuggì, ma fu ripreso; acconsentì dapprima a sottomettersi, poi ritrattò la sua abiura e fu condannato a morte il 30 maggio 1416, in qualità di recidivo.
Questo non bastò a placare la causa nazionalista, ormai confusa con la setta hussita: non si calcola quante stragi e assassinii l’esercito nato da Huss abbia compiuto nei decenni in cui operò.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:51
 
Quota

Messaliani o euchiti o adelfiani o lampeziani o entusiasti ed eufemiti (IV secolo)


Una setta eretica del IV secolo, che credeva che, in seguito al peccato originale di Adamo, ognuno avesse un demone unito alla propria anima e che esso non fosse stato espulso con il battesimo: l'unica maniera di espellerlo era la continua ed incessante preghiera con lo scopo di eliminare ogni passione e desiderio.
Il nome messaliani, infatti, deriva dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e la stessa etimologia aveva la versione greca del loro nome, euchiti da euchetai.
Comparvero intorno al 360 in Mesopotamia, come setta fondata da un certo Adelfio (da cui il nome adelfiani), espulso da Antiochia nel 376 dal vescovo Flaviano e autore del testo base della setta, Asceticus.
Una ulteriore condanna fu loro inflitta dal sinodo di Side del 390 ca. e dal concilio di Efeso del 431(dove venne condannato il loro libro Asceticus).
Eppure la setta continuò ad esistere: alla metà del V secolo, il loro capo era il prete Lampezio (da cui un ennesima versione del loro nome), il quale scrisse un loro nuovo testo, chiamato Il testamento. In Armenia la setta, pur combattuta anche dalla Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare fino al IX secolo.
I m. influenzarono alcune eresie medievali come i pauliciani, i bogomili e i fratelli del Libero Spirito.
Essi, come si diceva, praticavano la preghiera incessante e la danza estatica, durante le quali erano posseduti dallo Spirito Santo (da cui, letteralmente, il nome di entusiasti, cioè “posseduti da Dio”), si rifiutavano di lavorare, vivendo nelle piazze e vagando da una città all'altra e prendendo, secondo loro, ad esempio la vita itinerante di Gesù e gli apostoli.
Essi, inoltre, consideravano inutili i sacramenti e la mediazione della Chiesa.
Secondo Sant'Epifanio, esisteva, inoltre, un'altra setta molto simile, non cristiana, ma che adorava un unico Dio onnipotente. I seguaci di questa setta erano chiamati anche eufemiti e furono considerati i precursori dei messaliani, con i quali vennero spesso confusi.



OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:51
 
Quota

EVOLUZIONISMO e PELAGIANESIMO
D. Tassot
Il messaggio del CESHE, di una necessaria coerenza tra il contenuto della Fede e il discorso delle scienze, incontra due obiezioni abituali:
- quella dei "sapienti ": la scienza ha il suo proprio cammino e non ha a che fare con le verità della religione che sono di un altro ordine; non si dovrebbero dunque rimettere in questione le acquisizioni della scienza per nostalgia dei versetti di un vecchio Libro, scritto del resto a un'epoca in cui la scienza era balbuziente.
- quella dei "credenti ": la Bibbia rivela agli uomini un messaggio spirituale. La forma di questo messaggio è certo legata alla maniera in cui gli ebrei si rappresentavano il mondo e la sua creazione, ma importa solo il contenuto: l'annuncio della Salvezza. Questo contenuto, una volta estratto dalla sua ganga antica (ed è qui il lavoro degli esegeti), vale per tutti i tempi e tutti i paesi. É dunque chiaro che ciò che dicono oggi gli studiosi sull'universo o sull'origine dell'uomo non intacca in niente il credente.
Vi sono qui due risposte "discordiste": scienza e fede vi si presentano come dei domìni separati. La scienza dice il "come"; la fede dice il "perché". Una chiave separa questi due settori affinché ciascuno possa svilupparsi con comodo senza preoccuparsi dell'altro.
Noi non cercheremo di dimostrare ancora una volta questa comoda quiete che maschera uno scacco inconfessato per l'intelligenza umana: è questo il ruolo trimestrale di "Scienza e Fede", e ogni numero vi si adopera, in un verso o nell'altro, ben sapendo che solo così si risveglia veramente il dormiente che è in via di rialzarsi... Ma noi vorremmo oggi segnalare una difficoltà maggiore da parte dei "credenti" che vogliono minimizzare l'impatto dell'evoluzionismo sulla Fede.
Quindici secoli fa, il Papa Zosimo, dopo aver molto tergiversato, si decideva a scomunicare Pelagio, monaco britannico secondo cui l'uomo era capace di fare il bene con la sua propria volontà, senza necessità di una grazia attuale. Per lui, Gesù Cristo era innanzitutto un modello morale, venuto a controbilanciare il cattivo esempio dato da Adamo ed Eva... Per ottenere la condanna di Pelagio, han dovuto tuonare due dei più grandi Padri della Chiesa: Agostino e Girolamo. Per S. Agostino, negando il Peccato Originale e i suoi effetti, Pelagio annullava la sesta richiesta del Pater, al termine del quale noi chiediamo a Dio di rimettere i nostri debiti. Questa domanda, in effetti, prende il suo senso solo se la natura umana è ben bene marcata dal peccato, un peccato sostanziale e non solamente occasionale, un peccato che oscura la volontà, un peccato che fa della grazia l'alimento necessario, e non il coronamento dell'opera umana.
Quanto a S. Gerolamo, egli scriveva al suo amico Ctèsifante, nel 414: "Se la grazia di Dio consiste solamente nell'averci creato con una volontà autonoma, e che questo libero volere ci basta, allora noi non abbiamo bisogno del Suo aiuto, poiché ridurrebbe la nostra libertà. E se questo è vero, noi non abbiamo più bisogno della preghiera; non abbiamo più bisogno di pregarlo dato che, per la Sua grazia, noi riceviamo ogni giorno ciò che abbiamo ricevuto una volta per tutte e che possediamo già in noi stessi. Da questo uomo (i pelagiani) eliminano la preghiera, e il loro giudizio li porta al punto di credere che non sono più degli uomini dal volere umano, ma degli uomini potenti quanto Dio, e che quindi non hanno più bisogno dell'aiuto di nessuno. Eliminiamo dunque i digiuni e tutte le mortificazioni!... Perché infatti dovremmo penare duramente per ottenere ciò che già possediamo?". (1)
La rivista " 30 Giorni ", da cui abbiamo preso questa citazione, ha cura di segnalare (è il titolo dell'articolo) che gli eretici di ieri sono oggi i Pastori. Un professore cattolico dell'Università di Princeton, Elaine Pagel, sostiene nel suo libro " Adamo, Eva, il serpente ", che il peccato originale è un'invenzione di S. Agostino per delle ragioni psicanalitiche dovute al complesso di colpa derivato dalla sua vita prima della conversione. Il Cardinale Siri scriveva in " Gethsemani ": " Tra l'altro (tendenza del movimento teologico) si vede emergere una mentalità che esprime un ritorno all'eresia pelagiana... Noi assistiamo a una comparsa, sottile e lampante, della dottrina secondo la quale non vi è peccato originale, secondo la quale l'uomo può, con le proprie forze e senza il ricorso alla Grazia, vivere senza peccato " (2) . E il Cardinale apriva questa " Riflessione sul movimento teologico contemporaneo " (è il sottotitolo del libro) con la celebre citazione di S. Giovanni (XV,5): "Senza di me non potete far nulla".
Ora, da dove nasce oggi questa negazione del Peccato Originale?... Qual'è l'ostacolo intellettuale che si erge incontrando il 3° cap. della Genesi?... Quale ragione abbiamo di rigettare la storia di Adamo ed Eva dalla nostra meditazione quotidiana?... A questa domanda c'è una risposta, e una sola, pesante, evidente, precisa: la teoria dell'evoluzione!
É la dottrina evoluzionista sull'origine dell'uomo che fa relegare al rango dei miti il racconto del giardino di Eden. Chi potrebbe negarlo?
Pio XII aveva visto bene questa contraddizione madornale tra una scienza che vede il polo genetico "Homo Sapiens" emergere per selezione in seno a una popolazione umanoide e il dato rivelato. Egli scrive in Humani Generis : " I fedeli non possono abbracciare una dottrina i cui difensori sostengono che vi furono sulla terra, con Adamo, dei veri uomini che non discendono da lui per generazione naturale come primo padre di tutti, ma che Adamo designa l'insieme di questi multipli primi padri. Non si vede, in effetti, nessun modo di accordare una simile dottrina con ciò che insegnano le sorgenti della Verità Rivelata e ciò che propongono gli atti del Magistero Ecclesiastico sul Peccato Originale, peccato che trae la sua origine da un peccato veramente personale commesso da Adamo, e che, trasmesso a tutti per generazione, si trova in ciascuno e gli appartiene [Rom. 5,12-19] " (Dz 2328)
Ora Teilhard, che già prima della guerra ispirava i redattori del " Grande Dizionario di Teologia Cattolica (3) ", scriveva ne " Il fenomeno umano ": " Una forma animale, lo sappiamo dalla Paleontologia, non appare mai sola, ma essa si disegna in seno a un verticillo di forme vicine, tra le quali prende corpo, come a tastoni. Così è dell'uomo. Nella natura attuale, l'uomo, preso zoologicamente, fa quasi figura di isolato. Alla sua nascita, era meglio circondato. (...) Ogni volta che una nuova forma vivente si leva ai nostri occhi dalla profondità della storia, non sappiamo che essa sorse tutta fatta, e che è già legione?... A riguardo della scienza, dunque, che, da lontano, non coglie che degli insiemi, il "primo uomo" è, e non può essere, che una fòla (4) ; e la sua gioventù è fatta di migliaia e migliaia di anni (...). Perché (l'Uomo) abbia potuto "mutare", resistere e vivere, come individuo almeno (in ordine di grandezza), ha dovuto subire simultaneamente la metamorfosi della Riflessione ?
...Per monofiletico che si supponga, una specie non si disegna sempre come una corrente diffusa in seno a un fiume, -per effetto di masse? (...) La "specie" umana, per quanto sia unica per il livello di iniziativa a cui l'ha portata la riflessione, non ha mosso niente nella natura al momento della sua apparizione. Sia in effetti che noi la guardiamo nel suo ambiente, sia che la consideriamo nella morfologia del suo fusto, sia che l'ispezioniamo nella struttura globale del suo gruppo, essa emerge fileticamente ai nostri occhi esattamente come qualsiasi altra (5) specie (6) ".
Dietro la prosa senza capo ne coda teilhardiana, si profila il rigetto tenace di una colpa Originale venuta ad appannare uno stato iniziale di perfezione. Il P. Robert Faricy, S.J. scrive più esplicitamente: "Nella teoria di Teilhard, il peccato originale non può essere localizzato nel tempo o nello spazio; esso non è un avvenimento particolare nella catena storica degli avvenimenti. Si tratta piuttosto di una modalità globale dell'evoluzione... Se la creazione è pensata come una unificazione progressiva, allora "il peccato originale rappresenta l'azione negativa delle forze della contro-evoluzione"... Nella teoria teilhardiana, Adamo è "universalizzato". In senso stretto, Adamo non esiste. Sotto questo nome, si nasconde la legge universale di reversione o di perversione. Il male è il prezzo del progresso... Gli uomini non nascono nel peccato per effetto del peccato ab-originale di un Adamo primitivo. Gli uomini nascono nel peccato originale perché questa è la legge dell'universo, la condizione cosmica di un mondo in evoluzione" (7) .
Così nel 1967, un altro gesuita, Karl Rahner, che " 30 giorni " segnala come uno dei principali partigiani di una riabilitazione di Pelagio, scriveva un articolo intitolato L'evoluzione e il peccato Originale : "Come spiegare che l'origine indipendente di due esseri umani a partire dall'animalità, abbia potuto essere limitata a questi due esseri? Si potrebbe rifugiarsi in diversi argomenti "ad hoc", come una decisione arbitraria del creatore o il fatto che l'ominizzazione è un'occasione biologica rara, ma tali spiegazioni hanno l'aria forzata. Poi bisognerebbe domandarsi come questo "Adamo" avrebbe potuto incontrare quella "Eva", essendo tutti e due evoluti indipendentemente l'uno dall'altra, senza invocare un intervento miracoloso di Dio per il quale non si vede alcuna giustificazione. In altri termini, è veramente probabile che, in seno alla popolazione più larga di pre-ominidi immediatamente anteriore e che ne ha creato le condizioni biologiche e l'occasione, solo questi due esseri avrebbero sfondato per divenire umani e procreare degli esseri umani?... É un principio generale della biologia, che l'entità genetica concreta vera non si incontra nell'individuo ma in una popolazione e in un biotipo (insieme di organismo di stessa costituzione genetica). Non è che in una simile situazione che l'evoluzione si produce, poiché la selezione non può esercitare la sua pressione che in una simile popolazione e non tra individui isolati" (8) .
Dopo aver letto queste righe di uno dei pensatori più influenti della Chiesa contemporanea, chi potrebbe dubitare della forza delle sue convinzioni evoluzioniste? Chi potrebbe infine negare l'influenza di tali convinzioni sulla visione delle origini dell'uomo, sulla sua maniera di reinterpretare la Genesi e sul suo pensiero teologico?
E questa influenza non è la più desolante: essa segnala anche una preoccupazione di coerenza che onora il pensatore. Ma come non fremere all'idea che tutte queste deduzioni, con le conseguenze morali che ne derivano, sono fondate su un'ipotesi falsa? Bisogna credere più al miracolo o più all'Evoluzione? Karl Rahner ha il merito di porre esplicitamente la questione e di rispondervi chiaramente. Egli dimostra così come e perché la scienza e la fede non vivono su dei pianeti separati ma devono talvolta rispondere l'una e l'altra alle stesse domande e in maniera indissolubilmente legata. Questo è precisamente ciò che noi vogliamo dimostrare.
1 - Cf. Migne, P.L.21, 1147-1161 (Trad. a partire da "30 Jours", Fèv.
2 - Card. Giuseppe Siri, "Gethsemani", Tèqui, Parigi, 1981, p. 50.
3 - Basta leggere l'articolo " Trasformismo ".
4 - Bisogna segnalare qui una contraddizione maggiore della dottrina evoluzionista. La complessità del genoma umano, con i suoi 5 miliardi di codoni disposti in un ordine determinato, predica per una coppia iniziale unica: è l'ipotesi semplice che spiega come tutti gli individui della specie possiedono gli stessi cromosomi e restano interfecondi. Ma allora non si comprende più come da una specie potrebbe uscire un'altra specie!... E se si vuol partire da una popolazione già diversificata, e dunque sorgente di una variabilità genetica, l'apparizione di questo gruppo eterogeno diviene essa stessa misteriosa: è voler spiegare il conosciuto con lo sconosciuto. La variabilità costatata si fà in seno alla specie, e non a cavallo tra delle barriere interspecifiche: gli ibridi sono infecondi.
5 - Sottolineato nel testo.
6 - Pierre Teilhard de Chardin. " Il fenomeno umano ". Seuil, Parigi, 1955, p.203-209.
7 - P. Robert Faricy, S.J., "TEILHARD DE CHARDIN'S THEOLOGY OF THE CHRISTIAN IN THE WORD", Sheed and Ward, New-York, 1967, pag. 158.
8 - P. Karl Rahner, S.J., "EVOLUTION AND ORIGINAL SIN", in "The Evolving World and Theology", Concilium , vol. 26, Paulist Press, Glenn Rock NJ., 1967, pag. 64 (Citato da "On exonerating Pelagius" , Thomas Mary Sennot).

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:52
 
Quota

Gioacchino da Fiore (ca. 1130-1202) ed il gioachimismo


La vita
Gioacchino, teologo e mistico cristiano, nacque nel 1130 ca. a Celico in provincia di Cosenza da Mauro di Celico, un notaio benestante e particolarmente in vista presso la corte Normanna.
In seguito ad un viaggio in Medio Oriente, G. decise di lasciare tutti i suoi beni per vestire il saio e fare voto di castità, digiuno e preghiera.
Tornò in Italia e nel 1152 ca. entrò nel convento cistercense di Sambucina (a nord di Cosenza) senza però prendere subito i voti, che prese nel 1168.
In seguito alla crescente popolarità dovuta ai suoi studi biblici e alle numerose opere pubblicate, nel 1177 G. fu nominato dal vescovo di Catanzaro abate del monastero di Santa Maria di Corazzo, succursale di quello di Sambucina.
Qui egli si dedicò totalmente allo studio della Bibbia e scrisse alcune delle sue opere più importanti come la Cetra dalle dieci corde e l'Interpretazione dell'Apocalisse, che ebbe sempre premura a far approvare dai papi Lucio III (1181-1185), Urbano II (1185-1187) e Clemente III (1187-1191), sebbene qualche dubbio sulla sua ortodossia si stava già facendo strada.
Non riuscendo a concentrarsi sui suoi studi a causa degli impegni come abate, G chiese ed ottenne nel 1182 da Lucio III il permesso di ritirarsi nell'abbazia di Casamari (in provincia di Frosinone). Qui conobbe il suo biografo, il giovane monaco Luca, in seguito nominato Vescovo di Cosenza.
Nel 1189 G. decise quindi di abbandonare l'ordine cistercense per fondare sulla Sila un suo ordine, facendo costruire una abbazia dedicata a San Giovanni Battista in una località denominata Fiore, che da quel momento in poi fu chiamata San Giovanni in Fiore. L'ordine venne conseguentemente denominato florense e venne ratificato nel 1196 da Papa Celestino III (1191-1198).
La popolarità di G. in quegli anni fu elevatissima anche a livello europeo tant'è si racconta che nel 1191 il re inglese Riccardo, detto Cuor di Leone, in procinto di partire verso la Terrasanta per la III crociata, consultò G. per avere lumi su alcuni passi dell'Apocalisse.
Nel 1200 G. sottopose tutti i suoi scritti all'approvazione di Papa Innocenzo III (1198-1216), ma morì il 30 Marzo 1202, prima di aver ricevuto alcun commento.
Poco dopo fu proclamato beato, ma non in maniera ufficiale: l'evento fu celebrato con l'erezione di un altare in suo onore a San Giovanni in Fiore. Tuttavia già al IV Concilio Lateranense del 1215 le idee di G., definite triteiste, furono condannate ed il processo di beatificazione bloccato.
Nonostante ciò G. viene ancora venerato da alcuni come beato e festeggiato il 29 Maggio.

Le opere
G. fu un autore molto prolifico per il suo tempo: il suo libro principale fu il Libro sulla concordia del Nuovo e Vecchio Testamento, ma scrisse anche La Cetra dalle dieci corde, l'Interpretazione dell'Apocalisse, e il Trattato sui quattro vangeli.

La dottrina
La dottrina di G. si evince dalle sue opere principali, le quali fanno riferimento ad un brano dell'Apocalisse (14, 6-11), quello dei tre angeli che annunciano il giudizio di Dio, per sviluppare una interpretazione piuttosto originale del testo. Secondo G. le epoche nelle quali si era divisa la storia dell'uomo erano tre, ognuna riconducibile ad una figura della Santa Trinità:

• Nella prima era aveva dominato il Padre, simbolo di potere e terrore, al quale si era ispirato l'antico Testamento,

• Nel secondo periodo il riferimento era il Figlio, ispiratore del Nuovo Testamento,

• Nella terza era, lo Spirito Santo, che avrebbe svelato il vero significato dei Sacri Testi, al di là della sua interpretazione letterale.
Dopo opportuni calcoli di tempo, G. era giunto alla conclusione che l'era dello Spirito Santo sarebbe incominciato nel 1260 (numero simbolico più volte citato nell'Apocalisse: 11,3 e 12,6). In quell'anno non si sarebbe verificato la parusia (il secondo ritorno di Cristo sulla terra), bensì l'avvento di un'era di concordia e di fine della gerarchia della Chiesa.
Ovviamente questi pensieri non potevano che preoccupare la Chiesa Cattolica, che condannò, come si è detto, i scritti di G. in maniera postuma, di triteismo, di adorazione, cioè, di tre Dei separati.
Ma al di là della condanna della Chiesa, nel fatidico 1260 non successe proprio niente di particolare ed anzi nel 1250 era pure morto l'imperatore Federico II, considerato da molti cristiani l'Anticristo. Oltretutto la dottrina di G. fu confutata da San Tommaso d'Aquino nella sua Summa Theologica.

Il gioachimismo
Quasi 40 anni dopo la condanna delle idee di G. nel Concilio Lateranense del 1215, una commissione di cardinali, convocata nel 1254 da Papa Alessandro IV (1254-1261) preoccupato del diffondersi delle idee gioachimite presso i frati francescani spirituali, condannò gli scritti di G. e del suo seguace Gerardo di Borgo San Donnino e nel 1263 le idee di G. furono definitivamente dichiarate eretiche.
Nonostante ciò, G. ebbe un'enorme influenza su diversi protagonisti dell'epoca (eretici e non) come Guglielma di Boemia; il già citato movimento dei spirituali con Angelo Clareno, Pietro di Giovanni Olivi, Ubertino da Casale, Michele Berti da Calci; il grande teologo inglese Guglielmo di Occam; il docente universitario parigino Amaury du Bène ed il movimento dei Fratelli del Libero Spirito; Gerardo Segalelli e gli Apostolici; il movimento dei Begardi e delle Beghine.

OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:52
 
Quota

Giovanna d'Arco (Jeanne d'Arc), detta la Pulzella d'Orléans (1412-1431)


Il periodo storico
Nel 1415 scoppiò per la terza volta la guerra, detta dei Cent'anni (1339-1453), tra Inghilterra e Francia, e questa volta, essa iniziò nella peggiore maniera per i francesi, sconfitti pesantemente ad Azincourt, in Artois ad opera degli inglesi, mentre il re d'Inghilterra Enrico V (1413-1422), fu nominato erede ufficiale da suo suocero, il re di Francia Carlo VI il folle (1380-1415, m. 1422).
Tuttavia l'investitura di Enrico, appoggiata dal Duca di Borgogna, non fu accettata dal Duca di Orléans e dal suo alleato, il Conte di Armagnac. I due nobili nominarono invece nel 1422 il delfino Carlo, re di Francia con il nome di Carlo VII, ed egli fu successivamente soprannominato il Vittorioso (1422-1461).
Tuttavia l'inizio del regno di Carlo VII fu tutt'altro che vittorioso, poichè le truppe del nuovo re d'Inghilterra, Enrico VI (1422-1471), occuparono tutte le terre a nord della Loira e posero d'assedio Orléans nel 1428.
Giovanna d'Arco
Giovanna d'Arco nacque, probabilmente il 6 Gennaio 1412, a Domremy in Champagne, nella Francia orientale. Era la quintogenita di un contadino locale, di nome Jacques. Ella condusse una vita del tutto normale fino all'estate del 1425, quando incominciò a dichiarare di sentire delle voci e ad avere delle visioni, in cui vedeva e parlava con Santa Caterina, Santa Margherita e San Michele.Solo nel 1428 la fanciulla si convinse che le visioni la incitavano a correre in aiuto del re Carlo VII.
G. quindi abbandonò Domremy per recarsi a Chinon (vicino a Tours), dal re, che ella riconobbe senza esitazione, nonostante che il sovrano, per metterla alla prova, si fosse travestito come uno dei suoi attendenti. Pur convincendosi dell'investitura divina della fanciulla, Carlo la inviò a Poitiers per essere esaminata da un collegio di vescovi e solo dopo aver superato anche questo esame, a G. fu permesso di vestirsi da guerriera e di adottare una bandiera bianca come distintivo.
L'effetto di G. sulla morale delle truppe francesi fu galvanizzante: l'8 Maggio 1429, nonostante la Pulzella venisse ferita da una freccia al petto, l'assedio inglese di Orléans fu levato e il 18 Giugno i francesi vinsero la battaglia di Patay.
G. portò di vittoria in vittoria le truppe, e i loro (spesso) recalcitranti comandanti, tra cui il famigerato Gilles de Rais (in seguito passato alla storia per i suoi orrendi delitti come il famigerato Barbablù), fino a Riems, dove il 17 Luglio 1429, Carlo VII fu incoronato solennemente.
Nel Settembre dello stesso anno, però, un tentativo di assedio di Parigi fallì e G. fu nuovamente ferita, questa volta al fianco.
L'anno successivo, durante la difesa della città di Compiègne dall'attacco delle truppe del Duca di Borgogna, alleato degli inglesi, G. fu fatta prigioniera durante una sortita, il 24 Maggio 1430.
Purtroppo fu qui che si evidenziò che G. non aveva certo molto credito alla corte francese: infatti l'ingrato Carlo VII non mosse un dito per cercare di salvarla, per esempio avrebbe potuto proporre un baratto tra G. e dei prigionieri inglesi di alto rango.
Nel frattempo i borgognoni la vendettero agli inglesi, i quali, a loro volta, la consegnarono agli inquisitori e al suo principale accusatore, il vescovo di Beauvais, Pierre Cauchon, con l'accusa di eresia e stregoneria.
L'interrogatorio, che si svolse a Rouen, durò dal 21 Febbraio al 17 Marzo 1431, dove ben 72, ridotti poi a 12, capi d'accusa furono pronunciati contro la Pulzella.
Fu infatti accusata, tra l'altro, di riferire direttamente a Dio mediante le sue “voci”, di rifiutare la gerarchia ecclesiastica, di essersi vestita di abiti maschili contro la legge divina, di aver evocato i demoni, di essere una blasfema contro Dio e i santi. A questo punto gli inquisitori misero in atto una sottile pressione psicologica, anche mediante tortura, per convincerla ad abiurare, cosa che G. finalmente fece il 23 Maggio praticamente davanti al rogo pronto per lei.
Ma, il 27 Maggio successivo, G. comparì davanti agli inquisitori in vestiti maschili, non si sa se volontariamente o perché le erano stati tolti quelli femminili. Comunque questo era un formidabile pretesto perché gli inquisitori, pressati dagli inglesi, la dichiarassero relapsa, cioè persona che aveva ritrattato l'abiura. G. fu quindi bruciata sul rogo il 30 Maggio 1431 e durante la sua esecuzione, fu ridotta l'altezza delle fiamme per far vedere al popolo “tutti i segreti che possono e dovrebbero essere in una donna”. Le sue ceneri furono poi gettate nella Senna.
Nel 1456 si svolse il suo processo di riabilitazione, che annullò la sentenza del vescovo Cauchon e infine nel 1920 G. fu dichiarata Santa da Papa Benedetto XV (1904-1922).


OFFLINE
Post: 166
Sesso: Maschile
09/10/2009 17:53
 
Quota

Giudaizzanti o giudeo-cristiani (1/2 I° sec.)


La storia
Serie di movimenti cristiani affini all'ebraismo, che mantenevano la stretta osservanza alla Torà di Mosè e di tutte le sue prescrizioni (ad esempio la circoncisione).
Furono avversati da Sant'Ireneo (ca. 140-200) di Lione che li accusava di adozionismo, cioè di non credere in un Cristo come l'incarnazione del Verbo, ma solo come uomo divinizzato in un secondo momento o come un angelo, scelto da Dio per diventare Suo Figlio.
Come leader storici, si richiamavano a San Pietro e a San Giacomo il minore, in contrapposizione a San Paolo, che accusavano di avere impedito la totale conversione degli ebrei al cristianesimo.
Il movimento si può dividere in due filoni principali:

• La corrente eretica formata dagli Ebioniti, gli Elcasaiti, i Nazarei e i Nicolaiti.


• L'ufficialità ortodossa rappresentato, appunto, da San Giacomo.

Ripetuti tentativi di riconciliazione con la corrente di Paolo, come un Concilio nel 51 a Gerusalemme, non portarono a niente di definitivo. Giacomo stesso criticò pesantemente nella sua lettera del 60 (che alcuni autori non ritengono autentica) il concetto di salvezza espressa da Paolo.
Tuttavia, pochi anni dopo (circa 62), Giacomo morì lapidato su ordine del sommo sacerdote Anano e dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70, la corrente giudeo-cristiana perse sempre più importanza, subendo anche la diaspora degli ebrei nel 135.
Probabilmente questa corrente sopravvisse per almeno altri due secoli come testimoniarono le decisioni contro le usanze giudeo-cristiane prese durante i concili di Elvira e Laodicea nel IV° secolo.

Le opere
Rimangono frammenti delle testimonianze giudeo-cristiane scritte come le Pseudo-clementine, attribuito a Clemente Romano, l'apocrifo Vangelo degli Ebrei e i Kerýgmata Pétrou (predicazioni di Pietro).

Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:16. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com