CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Libro “Chiesa Cattolica Romana: verità o menzogna?;

Ultimo Aggiornamento: 01/03/2012 18:50
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21/02/2012 17:49
 
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Nel corso dei secoli Concili e Papi hanno dichiarato numerose cose inique, come ad esempio, il caso dell’indulgenza a chi partecipava alle Crociate (quindi per chi fosse andato ad uccidere), a chi pagava un altro per andarvi al proprio posto o pagava le spese per tali guerre, ecc., senza contare le altre inique dottrine e dogmi di fede abominevoli e le decisioni conciliari e papali, contrarie alla Parola di Dio: Inquisizione, la proibizione di leggere e tradurre la Bibbia nella lingua volgare (lingua del popolo) e tante altre nefandezze incalcolabili. L’infallibilità delle direttive conciliari e papali, dichiarata dai teologi cattolici, costringe la Chiesa Cattolica odierna a dover, in un certo qual modo, seguire tutte le dottrine e i dogmi emanati di ogni tempo, ed è proprio per questo problema che “intelligentemente” e “maliziosamente” orienta e spiega dottrine, fatti e avvenimenti passati, in un modo più consono all’epoca odierna. Infatti, l’Inquisizione, le Crociate e il disastroso commercio delle indulgenze, e quant’altro ancora, sono state tutte cose possibili solo in epoca Medievale; oggi, anche volendo, tali cose non sarebbero più ammissibili e non potrebbero certamente passare “inosservate” ad un mondo acculturato e moderno com’è quello odierno, al contrario “dell’ignoranza” che padroneggiava nelle epoche passate nel popolo.


Entriamo adesso nell’analisi del problema:

Come può un sacerdote perdonare un’offesa e per giunta assolvere un individuo, se tale torto non è stato commesso ai danni della sua persona? Un credente può perdonare un offensore delle offese da lui subite (mai assolverlo), ma l’assoluzione vera e propria è Dio solo che può darla, perché Egli solo è Dio, e in quanto tale Egli solo può conoscere se il cuore di un uomo è contrito dal pentimento. Gesù ordina al credente di perdonare i peccati subiti, non quelli che hanno subito gli altri (Luca 17:3-4; Matt. 18:15-17; Matt. 18:21-22). Ognuno di noi può e deve perdonare all’offensore i torti subiti, non può perdonare un uomo per cose commesse contro un’altra persona. Purtroppo, invece, è quanto fa la Chiesa Cattolica con la confessione auricolare; immaginate un uomo che, avendo tradito la propria moglie, invece di confessare a lei il proprio torto commesso, va dal sacerdote e questi, come se fosse l’Iddio Onnipotente in terra, non solo lo perdona, ma lo assolve, chiedendogli la penitenza magari con la recita di qualche Ave Maria e Padre Nostro. Niente di più meccanico e assurdo! Il perdono e l’assoluzione di Dio hanno poco a che vedere con il perdono dell’offeso; o meglio, se un credente non perdona il fratello pur pentito, ciò non vuol dire che Dio non abbia assolto dal peccato il colpevole che si è veramente ravveduto. Così vale anche per il contrario; anche se un credente perdona il fratello colpevole, ciò non vuol dire automaticamente che Dio abbia assolto questi dalla colpa commessa, se egli non si è veramente ravveduto. Dio solo potrà vedere se c’è stato un vero pentimento, o meno, e agire di conseguenza. Tanto più, questo discorso vale a riguardo dell’assurda assoluzione sacerdotale, ritenuta avere anche effetto per Dio. Il sacerdote pretende di essere un mediatore fra Dio e il penitente che va da lui a confessare i propri peccati. Il sacerdote, come mediatore e rappresentante di Gesù, decide o meno di assolverlo dalle proprie colpe. Cristo Gesù uomo, invece, è l’unico mediatore fra Dio e gli uomini: 1Timoteo 2:5-7. Il vero credente pentito non ha bisogno di sentirsi dire da qualcuno: “ti assolvo dal tuo peccato”, perché ha piena fiducia nella potenza del perdono di Dio attraverso il nome di Gesù. La forma della confessione cattolica è: “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il confessore annuncia il perdono dei peccati non a nome di Dio, ma a nome personale ed individuale: “io ti assolvo”. Il perdono quindi non appartiene al giudizio di Dio, ma al giudizio del confessore. Ad esempio, si può dire pure che il confessore non dice “Dio ti perdona” o “Dio ti assolve” ma “Io ti assolvo”.
Pedro

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Il confessore, inoltre, è tenuto a fare delle domande ben precise per sondare le coscienze; l’individuo che si confessa d’altra parte è tenuto a raccontare i propri fatti, i propri segreti più intimi anche nei dettagli (anche se oggi si è perso un po’ l’uso di questa parte della confessione cattolica). Questo molte volte ha allontanato degli individui dalla Chiesa Romana perché risultava essere una cosa priva di logica, di buon senso e di pulizia spirituale e personale. Come potrà il confessore osservare a pieno l’immaginario mandato di Gesù (Giov. 20:23) riguardo al confessare ed assolvere o meno il colpevole? Non dovrà fare affidamento sul proprio umano e debole discernimento delle cose esteriori? Può egli leggere nel cuore del “penitente” per trarne la giusta decisione in merito? No, di certo! Ecco che l’uomo assolve a giudizio e titolo personale e non secondo Dio. Quanti di quelli che sono e vengono assolti lo sono effettivamente da Dio? Nel penitente si annida l’idea che il confessionale sia una sorta di lavanderia, dove ci si può lavare i panni sporchi, purificarsi dai propri peccati ed essere assolto dalle proprie colpe. La parola “abominevole” è quanto di meglio si possa dire per tutto ciò. La confessione, oltre che verso Dio, è necessaria anche verso l’uomo, ma solo quando anche questi sia stato offeso dal penitente. È più difficile mettere in opera questo, che non il confessarsi alle orecchie di un confessore di professione e che, oltre tutto, non è la persona offesa. In tutto questo viene a mancare una vera comunione fraterna. Un uomo offeso può dire a colui che chiede perdono (oltre ad averlo già perdonato): “Dio ti perdoni”, oppure “ravvediti e prega, affinché Dio ti perdoni” (Atti 8:22-24), ecc., ma mai nessuno per qualsiasi motivo può avere la presunzione di dire: “Io ti assolvo nel nome del Padre .....” questa è una vera e propria bestemmia; è farsi uguale a Dio riguardo al giudizio e al perdono (Marco 2:3-11; Luca 5:20-24), soprattutto nei casi in cui tale abominevole “confessore” non centra un bel niente col peccato o l’affare dell’uomo penitente, ovvero non è lui ad essere stato offeso.

Giov.20:23:“A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti”; Gesù parlava a tutti i discepoli ®Luca 24:33-40 ®Giov. 20:19-25; i due passi raccontano la prima apparizione di Gesù in mezzo a tutti i discepoli che non erano solo gli apostoli.

Queste parole, del passo di Giov. 20:23, Gesù le disse a tutti i suoi discepoli e non solo agli apostoli: Luca 24:33. Infatti, è a tutti i suoi discepoli che Egli profetizza la discesa dello Spirito Santo su di loro, i quali dovevano rimanere a Gerusalemme fino ad allora: Luca 24:33,47-49. Infatti, a Pentecoste circa centoventi suoi discepoli vennero battezzati dallo Spirito Santo, quindi è anche ad essi che Gesù rivolse le parole in Giov. 20:23 che indicavano, come in Luca 24:47-48, la predicazione ed il conseguente battesimo da fare a chiunque avesse creduto in Cristo per ricevere il perdono dei peccati, in caso contrario, se qualcuno non avesse creduto, tali peccati sarebbero stati ritenuti. I teologi cattolici, dal passo di Giov.20:23, estrapolano la loro dottrina della confessione con assoluzione sacerdotale; in realtà, oltre al fatto che tale passo non indica assolutamente tale iniqua dottrina, è evidente come le parole di Gesù del passo erano dirette, come abbiamo visto, a tutti i discepoli e non solo agli apostoli, come dicono maliziosamente i teologi cattolici. Quindi se la loro iniqua dottrina fosse giusta, e fosse davvero espressione di quanto il passo vuol dire, dovremmo allora facilmente anche constatare che in quanto parole dette da Gesù a tutti i discepoli, tale “potere” assolutorio spetterebbe a tutti i cristiani e non solo ai sacerdoti, e immagino che alla Chiesa Cattolica ciò non piacerebbe per niente. Solo Dio può perdonare, ovvero assolvere l’uomo dai peccati: Marco 2:7; Luca 5:21, (coloro che si rivolsero in tal modo a Gesù, nei due passi adesso citati, non sapevano che Egli poteva davvero assolvere chiunque in quanto era Dio e poteva anche leggere, di conseguenza, nei cuori delle persone).

Pedro

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21/02/2012 17:50
 
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Bisogna anche dire poi che se per ricevere il perdono dei peccati non basta una richiesta di perdono a Dio direttamente e la riconciliazione con il fratello o la sorella offesi, ma bisogna andare anche a confessarsi ad un sacerdote, altrimenti, come dice il Catechismo cattolico, non si può avere l’assoluzione, bisognerebbe che ogni fedele avesse sempre con sè un sacerdote personale, così in caso di morte improvvisa potrebbe chiedere di essere assolto in fretta dai suoi peccati; ciò però sarebbe alquanto impossibile. È abbastanza chiaro che la richiesta diretta a Dio di perdono sia sempre quella ammissibile e possibile.

Il sacerdote viene a far scadere il rapporto personale con Dio in quanto il penitente deve andare innanzi tutto da lui per essere completamente assolto e non solo da Dio; tutto ciò mette l’individuo in una condizione tale da avere più fiducia nel sacerdote che non in Dio stesso.

Un fedele che per tutta la sua vita ha assolto il comando cattolico della confessione al sacerdote, che per anni si è recato da questi per ricevere l’assoluzione dai suoi peccati, un giorno improvvisamente, ritrovatosi moribondo su un letto, e senza alcun sacerdote che possa assolverlo, si ritroverebbe a dover morire con la colpa e la pena dei peccati commessi dall’ultima confessione, senza poter essere assolto da nessuno e quindi dover essere ritenuto colpevole dinnanzi a Dio, perchè nessun sacerdote era lì pronto per poterlo assolvere col sacramento della penitenza; quei peccati, ritenuti tali, perchè senza assoluzione, renderebbero vana la fatica di quell’uomo che per anni si è confessato al sacerdote obbedendo al comando cattolico e forse proprio in quel momento quello stesso uomo scoprirebbe di avere un confessore pronto in ogni tempo e in ogni luogo, Cristo Gesù, e che sino al quel giorno aveva perso del tempo prezioso; Egli (Gesù) era sempre stato pronto, nella vastità del cielo e in Spirito sulla terra, ad ascoltare ogni suo dubbio e perplessità; era pronto a perdonarlo e a rasserenarlo completamente.

Giacomo 5:16; le istruzioni di Giacomo in questo passo si riferiscono al confessare i propri peccati nei confronti dell’individuo offeso. Egli non intende dire di confessare i propri peccati agli anziani (o presbiteri), addirittura poi per riceverne l’assoluzione, ma di farlo nei confronti dell’offeso. Gesù insegnò che il modo migliore di correggere chi sbaglia dovrebbe essere esclusivamente quello faccia a faccia tra due persone: Matt. 18:15-17; se ciò non bastasse devono essere coinvolte una o due altre persone come testimoni. Soltanto nel caso che neppure questo sia sufficiente, la questione deve essere portata a conoscenza dell’intera comunità locale. Le confessioni pubbliche non sono comunque da incentivare perchè a volte fanno più male che bene per svariati motivi; solo nel caso che esse siano necessarie per il penitente e per la comunità possono o devono essere svolte. Gesù insegnò che il modo di correggere chi sbaglia dovrebbe essere inizialmente il più riservato possibile: Matt. 18:15-17.
Pedro

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21/02/2012 17:50
 
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Luca 11:1-4; Matt. 6:9-12; “e perdonaci i nostri peccati, perchè anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore...” c.11:4 di Luca ®Matt. 6:12 “rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”. Noi possiamo perdonare solo le colpe dei nostri debitori, non quelle di altri. Come può un uomo, che non ha nulla a che vedere con l’offesa commessa dal penitente ad un altro uomo, perdonare il colpevole, se egli non vi ha avuto nulla a che fare e non è vittima di alcunchè da parte di questi? Sarà l’uomo che ha ricevuto il danno dal penitente a perdonare al suo debitore il torto subito; non può qualcun’altro, estraneo ai fatti (il sacerdote) e non vittima di alcun tipo di torto, perdonare (anzi, peggio ancora assolvere) qualcuno, perchè egli non è parte in causa. In ogni caso, poi, sarà solo possibile un perdono umano e non un’assoluzione divina; mai uno potrà dire :“Io ti assolvo dal tuo peccato” questo spetta solo a Dio, l’unico che può giudicare, condannare o perdonare senza obbiezioni da parte di alcuno e l’unico anche che può scrutare il pentimento e il ravvedimento o meno, nel penitente. La Chiesa Cattolica Romana afferma che solo con il sacramento della confessione si può avere l’assoluzione dei peccati; in pratica, non basta solo confessarsi a Dio personalmente, ma bisogna confessarsi anche al sacerdote che nel nome di Dio darà l’assoluzione. Come abbiamo visto non è stato così per circa 1200 anni nel seno del cristianesimo di “massa”, ma dal 1215 si decise tale dogma di fede facendone addirittura un sacramento, pari addirittura al sacramento del battesimo come importanza. È oltre modo strano che per 1200 anni un sacramento così importante, per la Chiesa Cattolica, non sia esistito per niente a prova del fatto che è un’invenzione umana. Se fosse ispirata da Dio tale direttiva non sarebbe di certo mancato il suo uso sin dall’inizi dell’era della Chiesa di Dio sulla terra e non solo dopo dodici secoli. Il sacramento della penitenza o confessione auricolare ha una storia piena di controversie, dubbi, reazioni e progressi che tentano di raggiungere la precisione della dottrina teologica e la sua espressione, benchè la facciano scostare sempre più dal pensiero biblico. Di secolo in secolo, a partire dalla seconda metà del II secolo, si idealizzarono teorie, in seguito le si fecero progredire nel tempo, poi ancora alcune le si cambiarono, altre diventarono fondamentali e quindi arricchite di nuovi elementi e pensieri teologici per arrivare poi alla confessione con assoluzione decisa dal Concilio Lateranse IV del 1215. Prima di allora la confessione non era assolutoria ma solo deprecativa. Il sacramento cattolico della confessione con assoluzione oggi sta certamente subendo un declino soprattutto da parte dei giovani; fra le cause principali vi è certamente da includere l’automatismo della confessione (senza esserci la conversione) congiunto con la concezione troppo individualistica del sacramento che mette l’individuo di fronte ad un sacerdote, il quale lo assolve “magicamente” dai propri peccati, anzichè indurre il colpevole a riparare il male fatto al fratello o fratelli offesi o danneggiati, e ad un ravvedimento completo e generale con una pratica di vita veramente cristiana.

Caro lettore, se sei un cattolico, ti sei mai chiesto se Dio convalida davvero ciò che il sacerdote dichiara con l’assoluzione durante il sacramento della confessione? È neccesario rimuovere le ideologie inique, i pensieri teologici, i vari dogmi e le varie dottrine introdottesi nel corso dei secoli e in questo caso tornare al perdono dei peccati biblico che meglio si adegua anche con le esigenze moderne. Un passo che i cattolici prendono iniquamente per rinforzare la loro dottrina del sacramento della penitenza è: Matt. 18:18; noi ne daremo la giusta interpretazione, però sarà necessario leggere dal v.15 al v.20.

Pedro

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21/02/2012 17:51
 
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Matt. 18:15-20; nonostante l’apparente somiglianza verbale delle parole di Gesù dette a tutti i suoi discepoli in Matt. 18:18 con le altre rivolte da Gesù a Pietro in Matt. 16:19, non si può concludere che il medesimo potere delle chiavi dato a Pietro (Matt. 16:19) sia stato poi trasmesso a tutti gli apostoli o a tutti i credenti (come dicono taluni) solo perchè si nota un uso similare di parole usate da Gesù. Il contesto chiaramente ci impedisce di fare ciò; nel caso di Pietro le parole di Gesù si riferiscono alla fede dall’apostolo espressa e il “legare e lo sciogliere” sono in stretto collegamento con il potere delle chiavi dato a Pietro, mentre, nel c.18:18 le parole di Gesù si ricollegano con il perdono che l’offeso deve essere pronto a dare all’offensore. In questo secondo caso, poi, non vi è alcun accenno al collegio degli apostoli (inoltre, non si parla delle chiavi del regno dei cieli), perchè si tratta di singoli cristiani, i quali, al massimo chiedendo la collaborazione in questo loro intento di pace a dei testimoni o alla colletività intera, non disturbano gli apostoli, ma i testimoni e la comunità locale.

Non vi è alcuna traccia che tali parole (Matt. 18:18) fossero dirette solo agli apostoli anzichè a tutti i credenti, c.18, v.18; il “voi”Þ “Io vi dico”, qui usato, va inteso nella identica maniera del successivo v.19: “E in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli” e si riferisce quindi non agli apostoli soltanto, bensì a tutta la comunità. Tale connessione è ribadita dall’avverbio “E in verità vi dico anche (pure)” che ricollega le due frasi fra loro (il v.18, con il v.19 e 20) e che quindi riguardano tutta la Chiesa e non solo il gruppo dei dodici come pensano invece i teologi cattolici riguardo al v.18.

Matt. 18:18: “Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo”, queste parole Gesù le ha rivolte a tutti i suoi discepoli, cioè a tutti quelli che riconoscono in Lui il Salvatore, il Figlio di Dio. Quindi anche oggi, in virtù della fede in Cristo, noi rientriamo come riceventi del messaggio di Gesù di Matt. 18:18. Per capire meglio ciò che tratteremo sarebbe meglio che il lettore leggesse attentemente il c.18 di Matt. dal v.15 al v.20. Il v.15 ci porta a capire che se si convince il credente, che ha peccato, a ritornare sulla retta via, attraverso l’offeso direttamente e solamente, o con uno o due testimoni, o con l’assemblea della chiesa locale di cui il colpevole è membro, questi può essere riacquistato nuovamente al Signore (“legato nuovamente al Signore”). Qualora qualcuno (un membro di una chiesa) dovesse causare una grave offesa o un danno ad un fratello, questi (il fratello offeso) è tenuto per amore cristiano ad ammonire e cercare di convincere l’offensore al ravvedimento; se questi non vuole ascoltare l’ammonimento è necessario prendere uno o due testimoni per dare forza al convincimento del ravvedimento e se non ascolta anche questi si rendono necessari la consultazione e il proponimento dell’affare all’assemblea della chiesa locale. Il terzo passo necessario quindi, in caso di ostinazione del fratello colpevole, consiste, come già detto, nel ricorso all’assemblea locale, sempre con l’intento di riconciliare il fratello offensore con il fratello offeso e con Dio, non di emettere una sentenza di assoluzione o di condanna; nel caso che anche questo tentativo fallisse, il colpevole “sia per te come il pagano e il pubblicano”.


Pedro

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21/02/2012 17:51
 
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Usualmente si intende questa frase “sia per te come il pagano...” come una scomunica: “sia scomunicato e cacciato (il peccatore) fuori dalla Chiesa”, ma in tal caso nel passo ci sarebbe dovuta essere la frase generica “sia come il pagano....”, senza la limitazione “sia per te”.

Si tratta quindi di una questione personale non comunitaria. È chiaro comunque che un credente non deve perdere mai la speranza e l’iniziativa di cercare di indurre il fratello colpevole al pentimento, di riconciliarlo a sè, alla Chiesa, e innanzi tutto a Dio.

Il Concilio di Trento condanna l’ipotesi che nel v.18 il messaggio tocchi tutti i credenti; anzi in tale passo vi vede il potere assolutorio dei sacerdoti nel sacramento della confessione. Così, infatti, suona il canone del Concilio: “Se uno dirà che non solo i sacerdoti sono ministri dell’assoluzione, ma che a tutti i fedeli Cristo ha detto: tutto ciò che legherete in terra sarà legato in cielo e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo (Matteo 18:18)....sia scomunicato”.

È chiaro che nè i sacerdoti, nè i credenti cristiani “comuni” hanno alcun potere assolutorio, e che inoltre il passo in questione si riferisce a tutta la colletività.

Il “legare e sciogliere” non vuol parlare direttamente della scomunica, ma, in primo luogo, di quanto il credente possa fare per il fratello impenitente (“legarlo” nuovamente alla Chiesa e quindi anche a Dio) e di quanto un impenitente che persiste nel suo comportamento (si “scioglie” dal legame della Chiesa e quindi anche da Dio) arrivi a non essere più “legato” alla Chiesa e a Dio (“tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo”). Il credente impenitente si “distacca” dalla Chiesa, si “scioglie” da essa e da Dio; ciò vale anche in cielo per Dio; il credente che viene riportato al buon senso, al ravvedimento, sarà “legato” nuovamente alla Chiesa e ciò varrà anche in cielo presso Dio.

Il contesto del vangelo di Matteo non riguarda affatto l’assoluzione dei peccati da parte di uomini, della quale mai la Bibbia parla, per cui nessun cristiano può (nemmeno un apostolo o un vescovo) assolvere autoritativamente nel nome di Gesù i peccati di taluni. Nel caso venisse rivolta un offesa nei miei riguardi da un fratello, posso dare personalmente il mio perdono, ma quando si tratta di offese o danni non rivolti contro la mia persona, non posso far altro che pregare Dio per questo fratello colpevole, come dovrà anch’egli (il colpevole) pregare personalmente il Salvatore nel nome di Cristo Gesù, affinchè gli venga perdonato il peccato da Dio. In ogni caso, il colpevole penitente dovrà andare dall’offeso (nel caso ce ne sia uno) ad umiliarsi nel chiedere perdono (mai nessuno può assolvere alcunchè ad alcuno).
Pedro

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21/02/2012 17:52
 
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Quando l’uomo colpevole, all’inizio della sua conversione, era stato evangelizzato da un credente, chi lo aveva evangelizzato, dietro la conversione del ricevente del messaggio, poteva ben dire di aver “legato” tale uomo a Dio, così poteva dire ugualmente quel credente che avesse riportato sulla retta via quell’uomo convertito che si fosse poi macchiato di un peccato contro un fratello e contro Dio. Noi non dobbiamo aspettare che il nostro fratello offensore ci venga a chiedere perdono, ma dobbiamo essere noi stessi ad anticiparlo e spronarlo con l’ammonimento e con l’amore, verso il ravvedimento dal male commesso, perchè così facendo, come dice Gesù, si riacquista il fratello (lo si “lega” nuovamente) nello Spirito d’amore e verità a Cristo Gesù e alla Chiesa. Ecco un esempio: chi pecca gravemente contro un fratello, “lega” se stesso al peccato compiuto e si “scioglie” dal legame fraterno e di Cristo. Chi può “scioglierlo” dal legame del peccato operato o chi può “legarlo” nuovamente alla Chiesa e a Cristo? Se chi ha peccato si pente del male operato e chiede perdono a Dio e all’offeso, è egli stesso, che con il suo ravvedimento e di sua iniziativa si “scioglie” dal legame del peccato operato e si “lega” nuovamente alla fratellanza e a Cristo. Se tale ravvedimento avviene per mezzo di un altro credente sarà stato questi indirettamente che avrà “sciolto” il colpevole dal legame del peccato attuato e lo avrà “legato” allo Spirito dell’amore della comunità cristiana e a Dio stesso. Ogni male che noi causiamo ricade sempre su noi stessi a nostra condanna, e questo ci crea un legame con il peccato; finchè noi non ci pentiremo e chiederemo perdono, il legame rimarrà. I casi da riportare sarebbero molti, ma penso che il discorso sia stato abbastanza chiaro.

Attenzione: è sempre Dio però che alla fine ha autorità in merito; Lui scruta i cuori e se qualcuno finge il pentimento, Dio lo scova e il suo giudizio graverà su di lui. Sappiate fratelli ed amici che ogni cosa che noi facciamo nel male e nel bene, tutto è davanti agli occhi di Dio che ci osserva di dentro e di fuori. Nessuno può perdonare se stesso dalle propie iniquità, ma è Dio solo che può attestare e decidere il perdono o la condanna per ognuno di noi.

Se il colpevole pentito va dal fratello offeso e umiliandosi chiede perdono, egli sarà “legato” nuovamente al Signore e al fratello (il fratello offeso dovrà sempre e comunque perdonare) infatti, così dice il Signore in Matt. 18:18-20. Se un fratello insieme ad uno o due testimoni, o senza (Matt. 18:15-17), o con la chiesa locale convincono il colpevole a ravvedersi, questi avranno riacquistato il credente (“o legato”) a Cristo e al fratello offeso (e nel caso il colpevole fosse stato espulso dalla comunità locale perché colpevole di un peccato che ha creato scandalo ad essa, sarà “riacquistato” nuovamente anche alla chiesa) come dice il Signore in Matt. 18:15-20.

Matt. 18:18; tutto ciò che i credenti avranno “legato” o “sciolto” in terra sarà “legato” o “sciolto” anche nei cieli. Ciò significa anche che le giuste decisioni dei credenti in comunione tra loro saranno in completo accordo e comunione non soltanto tra di loro, ma anche con Cristo, con lo Spirito Santo e con la Parola di Dio (Atti 15:19-23,28). Se il tuo fratello ascolta la riprensione (Matt.18:15), potrai ben dire di averlo “guadagnato” al Signore e a te riappacificandoti. Tenendo quindi conto di tutto il contesto del N.T. possiamo dire che i discepoli del Signore, per quanto riguarda l’evangelizzazione, con l’annunzio dell’evangelo, dichiarano che una determinata persona non credente è “legata” ancora al peccato se non accetta Cristo e la sua Parola; se essa invece si converte dichiarano che è “sciolta”, cioè libera dal peccato ed è invece “legata” a Dio (diviene un figlio o una figlia di Dio).
Pedro

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21/02/2012 17:52
 
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Pietro si incontra con Simone il mago, colpevole di voler comperare con del denaro il potere di donare lo Spirito Santo, ma Pietro senza alcun problema gli fa capire la gravità della sua colpa: Atti 8:18-24 “..Il tuo denaro vada con te in perdizione....Ravvediti dunque di questa tua malvagità; e prega il Signore affinchè, se è possibile, ti perdoni il pensiero del tuo cuore....Simone rispose: ”.

Dunque il perdono non viene da un’ ipotetica assoluzione di un uomo, bensì dal Signore che il colpevole pentito invoca nella preghiera.

Lo capisce bene l’ex mago Simone che, al sentirsi dire che aveva peccato, non chiede perdono a Pietro (o addirittura un’assoluzione), ma domanda preghiere. Anche Giovanni pur avendo riferito che Gesù ha affidato ai suoi discepoli la missione di perdonare (o “rimettere”) i peccati (attraverso la predicazione e il battesimo) suggerisce ai colpevoli di rivolgersi a Gesù (e non agli apostoli o ad altri), (1Giov. 2:1-2); egli suggerisce ai fratelli di pregare per i peccatori (1Giov. 5:16), senza alcun bisogno di assoluzione sacerdotale (1Giov. 1:7-9), e il perdono verrà dato da Gesù purchè vi sia pentimento e la volontà di non commettere più gli stessi errori. Mai un gruppo di credenti (nemmeno gli apostoli) nel N.T. ha dato l’assoluzione dei peccati. Il “ministero della riconciliazione” inoltre consisteva nel predicare a tutti, ebrei e gentili (i pagani), che, in Cristo, noi tutti possiamo essere riconciliati con Dio, divenire giusti e santi per mezzo di Cristo Gesù ed infine essere salvati: 2Corinzi 5:20. Nel caso che uno persista nel peccare la Scrittura ammette la scomunica da parte della chiesa locale di tale individuo: 1Corinzi 5:1-5; nel passo è Paolo a farlo semplicemente perchè tale comunità non vi aveva provveduto, sebbene tale iniquità era ormai da tempo conosciuta presso i membri di quella chiesa. Questa scomunica non ha lo scopo di punire, bensì quello di salvare il colpevole. Costui spinto dall’esclusione dall’assemblea o semplicemente dalla Santa Cena (in questo caso raccontato nel passo, invece, viene cacciato via dalla chiesa locale), e dai fratelli che “non lo salutano più”, né lo trattano fraternamente come prima, dovrebbe essere mosso a riconoscere il propio torto, a tornare a Dio e a porsi con più fermezza di fede nei riguardi di Gesù e della Chiesa. Il v.5 del cap.5 di 1Corinzi dice: “ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinchè lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù”, questo significa probabilmente che, in virtù del suo potere apostolico e in virtù del peccato che quel tale aveva commesso (quel tale aveva avuto rapporti sessuali con la matrigna), e non avendo la chiesa locale preso provvedimenti, Paolo dà costui in balia di Satana, il quale probabilmente gli avrebbe causato malattie fisiche. Ciò avverà affinché quel tale, escluso dall’assemblea, dalla protezione di Gesù Cristo (e soprattutto a motivo delle conseguenze fisiche e spirituali del suo grave peccato) e lasciato in balia di Satana, possa fermamente ravvedersi da tale azione peccaminosa e tornare pienamente a Cristo e alla sua Chiesa.

La temporanea esclusione del colpevole dal culto della Santa Cena o addirittura dall’adunanza dei fratelli della chiesa avviene per il suo bene e per amore, per poter permettere allo Spirito Santo di avere un’azione più efficace su quell’uomo; in pratica, il peccatore sarà “abbandonato” alla sua stessa realtà di peccatore. Lo Spirito come un fuoco scenderà su di lui e dentro di lui; i sensi di colpa, le sofferenze graveranno su di lui, tanto da portarlo (se Dio permette) ad un vero ed efficace pentimento e quando egli si ristabilirerà spiritualmente, lo farà con cuore sincero e in quel medesimo momento non mancheranno (per mezzo dello Spirito Santo che guiderà i fedeli) il perdono e la riamissione nella Chiesa di Dio. Bisogna comprendere che la totale tolleranza in ambito cristiano non è sempre sinonimo di amore, perchè ciò spesso non porta a far bruciare dentro di noi il male che vive, ma l’amore mascherato con la severità è quello che porta buoni frutti e in modo duraturo.
Pedro

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21/02/2012 17:53
 
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I peccatori rimossi dalla comunione fraterna (con la cosiddetta scomunica), secondo alcuni passi (anche se la Bibbia non dice apertamente come vi venivano riammessi) come ad esempio quello di 2Corinzi 2:5-9, erano accolti (dopo un determinato tempo che variava a seconda della gravità del peccato commesso che aveva scandalizzato la chiesa locale e del tempo di raggiungimento del ravvedimento da parte del reo di colpa) dalla comunità stessa che prima gli aveva espulsi purchè fossero giunti a vero ravvedimento.

Nel caso di colpevoli che possono divenire un cattivo esempio a tutta la comunità, come gli oziosi di Tessalonica che in attesa del ritorno di Gesù, da loro ritenuto imminente, non volevano nemmeno lavorare, l’apostolo scrive di non associarsi con loro: “......che vi ritiriate da ogni fratello che si comporta disordinatamente e non secondo l’insegnamento che avete ricevuto da noi” 2Tessalonicesi 3:6; “.....notatelo, e non abbiate relazioni con lui, affinchè si vergogni. Però non consideratelo un nemico, ma ammonitelo come un fratello” 2Tessalonicesi 3:14-15. Non si tratta ancora di una scomunica, perchè il tale sarebbe stato comunque ritenuto pur sempre un fratello. I primi cristiani, riuniti in piccoli raggruppamenti dalla solidarietà assai viva, risentivano duramente la rottura temporanea delle relazioni sociali.

Il tono diviene ancora più duro con l’eretico in Tito 3:10-11: “Ammonisci l’uomo settario una volta e anche due; poi evitalo; sapendo che un tal uomo è traviato e pecca, condannandosi da sè”. Qui alla fine di questa frase non si parla più di un uomo come fratello, bensì come di uno che sta già al di fuori della Chiesa: “poi evitalo” e “condannadosi da sè”.

Anche Giovanni non vuole che si saluti un eretico, perché: 2Giov.v.10-11 “Se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina non ricevetelo in casa e non salutatelo. Chi lo saluta, partecipa alle sue opere malvagie”. Non si tratta però del saluto odierno, segno di pura educazione, bensì del saluto orientale, pieno di effusione che mostrava una piena solidarietà con il fratello o con l’amico anche nelle sue opere malvagie.

Ognuno di noi può rimettere (perdonare) l’offesa ricevuta da un fratello, se questi si pente e chiede il perdono.

E come dice il Signore a Pietro è bene che noi rimettiamo (perdoniamo) un’offesa (un peccato) all’offensore tutte le volte che chi pecca si pente e vuole essere perdonato: Matt.18:21-22.

Non avviene forse anche tra noi e Dio questo? Non siamo noi che, dopo aver peccato ci rivolgiamo a Dio per avere il perdono e lo otteniamo, e dopo un po’ di tempo ci prostriamo nuovamente a Lui per richiedergli il perdono per la stessa mancanza (stesso peccato) o per qualcos’altro, e se pentiti Egli ci perdona sempre?

Ebbene, se Dio che è il Potente, il Giusto e il Santo ci perdona sempre, tanto più dobbiamo farlo noi con i nostri fratelli e loro con noi che siamo comuni mortali e che non abbiamo in alcun modo meriti in nulla. Se perdoneremo sempre le offese ricevute, anche Dio ci perdonerà sempre le nostre colpe, ove ci sia vero pentimento. Noi ci limiteremo a perdonare sempre e a riconciliarci con chi vuole essere perdonato da noi, esortando gli impenitenti al ravvedimento, ma chi indaga alla radice, se c’è vero pentimento o no, è Dio. Noi non ne abbiamo le capacità e la potenza per fare questo.

L’autorità su ogni cosa è di Dio. Attenzione: noi possiamo perdonare le offese subite da altri nei confronti della nostra persona, ma è abominevole pensare che qualcuno, se pure nel nome del Signore Gesù, possa perdonare (o peggio assolvere) le offese di un uomo fatte ad un altro o il peccato dell’uomo nei confronti di Dio. È doveroso dire che ogni peccato fatto contro qualcuno è un offesa recata prima al Signore e quindi il perdono a Dio va, oltre modo, chiesto sempre per ogni mancanza o peccato, perchè chi offende una creatura sua, offende prima Egli, l’Artefice, il Creatore.

Se chi pecca dovesse causare scandalo alla chiesa locale, per non dire alla Chiesa intera, può essere espulso (sciolto) da questa, dall’adunanza dei fratelli e solo in seguito essere, dopo vero e provato ravvedimento, riamesso nella comunità cristiana locale (“legato” alla Chiesa e a Cristo), oppure riammesso al culto della Santa Cena, se solo da questa egli ne fosse stato prima escluso.

Gli anziani della chiesa locale si riuniranno nel nome del Signore per decidere se il colpevole pentito dev’essere reintegrato all’adunanza dei fratelli o al culto della Santa Cena o si deve continuare la privazione di tali cose nei confronti del colpevole, in caso che questi non sia stato del tutto considerato e trovato ravveduto.
Pedro

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21/02/2012 17:53
 
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Noi, nel nostro cuore, dobbiamo sin da come veniamo offesi perdonare il danno da noi subito all’offensore e riconciliarci con lui nel caso che egli si penta. In questo caso il nostro tentativo di riconciliazione con il fratello colpevole deve considerarsi come un favore che facciamo al trasgressore, infatti se egli arriverà al ravvedimento attraverso di noi, sarà (egli) riacquistato nuovamente a Dio e alla Chiesa; la riconciliazione servirà al fratello colpevole a sentirsi nuovamente in pace con se stesso e in comunione con il fratello offeso.

Quindi, non dobbiamo pensare: “se viene lui a chiedermi perdono glielo darò, altrimenti no!”, dobbiamo invece cercare di portarlo alla ragione nel caso lui non ne voglia sapere, convincerlo a ravvedersi affinchè gli venga poi perdonato da Dio, attraverso il proprio pentimento, il male commesso. Giacomo 5:16: “Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti”; nel caso uno non ne voglia sapere, dico nel caso uno pecchi contro la comunità cristiana e non ne voglia sapere di pentirsi, gli anziani della chiesa locale possono decidere di comunicare a tutti i membri della comunità di negargli il saluto e perfino di partecipare alla Santa Cena o addirittura essere espulso completamente dall’assemblea: 2Tessalonicesi 3:14-15; 1Corinzi 5:1-5; 2Corinzi 2:5-11.

Essendo estraniato dalla comunità e lasciato nelle mani di Satana (come dice Paolo) questo uomo soffrirà; il fine però è farlo arrivare alla ragione, al pentimento e al ravvedimento ed essere, quindi, liberato (“sciolto”) dal peccato e con gioia nuovamente accolto (“legato”) nella comunità. Saranno gli stessi membri o solo gli anziani “a scioglierlo” dalla conseguenza del peccato commesso contro Dio e contro la comunità cristiana, riammettendolo (“legandolo”) nuovamente ai fratelli e alla chiesa locale. Dio vuole che noi siamo amorevoli gli uni verso gli altri; questa soluzione, seppure drastica, Paolo ci spiega che, invece, nasconde un fondo di bontà divina, perchè fatta col fine di convincere quel fratello, che ha peccato e che non si pente, a tornare nella santità della Chiesa di Dio con forza e decisione, per essere, in virtù del suo ravvedimento, salvato.
Pedro

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21/02/2012 17:53
 
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Quindi, come già affermato il potere di “legare e sciogliere” comporta anche la facoltà di una chiesa locale di esercitare la disciplina nei confronti dei suoi membri indegni. La chiesa locale, mediante gli anziani, può mettere un suo membro “fuori comunione” (fuori dalla partecipazione alla Santa Cena) o fuori dalla chiesa stessa locale, non riammettendolo finché non si sia appurato un vero e sincero ravvedimento da parte del colpevole: 1Corinzi 5:1-5; 2Corinzi 2:5-11. Quando i cristiani esercitano tali funzioni secondo la volontà di Dio, ogni loro decisione o dichiarazione è avallata da Lui stesso.

Infine cara lettrice o caro lettore, desidero che tu ti ponga questa domanda: chi ci ha salvati dalla morte e dalla condanna del mondo?

L’amore di Dio e la misericordia per noi, sue creature, e il suo perdono per le nostre colpe, per mezzo del suo unigenito Figlio Cristo Gesù, morto, risorto, e asceso in cielo per noi, ci hanno riscattato dalla morte e dalla condanna.

Quindi, quale dev’essere uno dei comandamenti maggiori per noi?

Amare e perdonare i fratelli come Dio ci ha amato e perdonati.


Ecco quanto dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al punto 976: “ ..Proprio donando ai suoi Apostoli lo Spirito Santo, Cristo risorto ha loro conferito il suo potere divino di perdonare i peccati: (Gv. 20,22-23)”.

Matt. 6:11-12: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano; rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”.

In Matt. 6:14-15 Gesù dice: “Perché se anche voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro Celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”.

Luca 11:4: “e perdonaci i nostri peccati , perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore; e non ci esporre alla tentazione”.

Notate come il verbo “rimettere” non significhi altro che “perdonare”, come lo si vede nell’insegnamento della preghiera di Gesù dove il verbo “rimettere” di Matt. 6:11-12 fa posto al verbo “perdonare” in Luca 11:4.
Pedro

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21/02/2012 17:54
 
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Chiarito che non vi è alcuna “magia” da svelare nel verbo “rimettere” perché Gesù lo intende allo stesso modo del verbo “perdonare”, e non come fanno i teologi cattolici che nel passo di Giov. 20:21-23 vi vedono nella parola “rimettere” un qualcosa di “magico”, ovvero il potere di perdonare i peccati (e peggio ancora di assolvere) indipendentemente poi dall’esserne l’offeso o meno; un potere dato da Dio che secondo i teologi cattolici si esprimerebbe nel ministero dato ai “sacerdoti cattolici” di assolvere i penitenti dai loro peccati commessi contro altri e contro Dio, senza che chi rimette abbia mai avuto qualcosa a che fare con tali avvenimenti. Notare, invece, come Gesù nell’insegnamento della sua preghiera ci dice: “e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore..” (Luca 11:4); “rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori” (Matt.6:12); Gesù per perdono umano intende il perdono dell’offeso nei confronti del suo debitore e non nei confronti di chi non sia un suo debitore riguardo a un offesa, a un peccato commesso.

Giov. 20:21-23 (versione cattolica C.E.I.): “...Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: <Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete (perdonerete) i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete (perdonerete), resteranno non rimessi>”.

Ma cosa vogliono dire questi versetti?

Giov. 20:21-23: a chi ha creduto e accettato Gesù il cristiano che lo ha evangelizzato ha il diritto di dichiarargli che ha ricevuto il perdono, a chi invece rifiuta il dono che proviene dal sacrificio di Gesù il cristiano evangelizzatore può dirgli che i suoi peccati sono ancora ritenuti.

Gesù diede a tutti i suoi discepoli il privilegio di annunziare in quale modo, secondo il piano di Dio, si può ricevere il perdono.

Si veda bene in Luca 24:47: “e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme”; i discepoli dovevano predicare il ravvedimento e battezzare gli individui che avrebbero creduto, i quali avrebbero ricevuto, per mezzo della fede, il perdono dei peccati da Dio.

Ecco quanto viene detto anche in Giov 20:23; Marco 16:15-16; Matt. 28:19-20.

Che la frase del vangelo di Giovanni “a chi rimetterete....” sia corrispondente alla volontà di Dio di conferire alla comunità dei credenti la missione della predicazione del battesimo, per la remissione dei peccati, appare dai passi biblici degli altri tre vangeli, i quali dichiarando il mandato che Gesù diede ai discepoli, dopo risorto e prima della sua ascensione al cielo, sia pure con diverse espressioni, tutte e quattro concordano nel fare riferimento al battesimo e agli elementi che lo costituiscono (tra cui il più importante e necessario: la fede).

In tale modo si capisce bene come anche le parole del vangelo di Giovanni si riferiscano precisamente al battesimo cristiano.

Leggere con attenzione i passi riguardanti la predicazione del battesimo nei quattro vangeli: Giov. 20:21-23; Matt. 28:18-20; Marco 16:15-16; Luca 24:47-49.

Pedro

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21/02/2012 17:54
 
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In Giov. 20:23 Gesù appare non solo agli apostoli ma anche agli altri discepoli e comanda loro di andare a predicare e battezzare (leggere: Luca 24:33-49).

Lo stesso concetto riappare nel discorso di Paolo ad Antiochia di Pisidia: Atti 13:38-39 “Vi sia dunque noto, fratelli, che per mezzo di lui vi è annunziato il perdono dei peccati; e, per mezzo di lui, chiunque crede è giustificato di tutte le cose....”, e Pietro in Atti 2:38 dice: “....Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo”. Dunque, ancora una volta si fa riferimento alla predicazione che suscita fede con il conseguente battesimo e la remissione dei peccati; in nessun passo si parla di un altro ministero dato alla comunità dei credenti (o, come dicono i teologi cattolici, ai sacerdoti), come il fantomatico potere cattolico di assolvere i peccati post-battesimali per mezzo di sacerdoti (Atti 10:42-43).

Il vero messaggio biblico riguardo ai peccati dopo il battesimo è: reciproca confessione dei peccati, riconciliazione con l’offensore, preghiere, eliminazione parziale o totale dei rapporti fraterni (nel caso che il colpevole si ostini a non pentirsi e a continuare nel procurare del male) per indurre il colpevole al pentimento, così da avere poi la riammissione completa nella comunità, nella chiesa locale, o semplicemente, la riconciliazione con il fratello offeso.

Gli scrittori ispirati dei quattro vangeli hanno trascritto, in modi e tempi diversi (perché Gesù in alcuni casi parlò di ciò in momenti e modi diversi), la promulgazione dell’unico e preciso mandato di Gesù dato ai suoi discepoli dalla sua resurrezione alla sua ascensione al cielo; “...Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato” Marco 16:15-16. Questo fu quello che Gesù ordinò ai suoi discepoli nelle sue apparizioni dopo essere risorto e prima di ascendere al cielo.

Solo Dio può perdonare i peccati: Marco 2:5-11. Gli scribi, che conoscevano (v.7) bene che solo Dio può perdonare i peccati e che è l’unico che può parlare così ad un uomo: v.5 “.........Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati”, pensarono che Gesù bestemmiasse, ma non avevano capito che Colui che parlava era proprio Dio: v.10 “Ma, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati”. Leggere anche 1Giov. 2:1; Giov.1:1.

Bisogna confessare i peccati a Dio (e ove sia necessario anche al fratello offeso) e non all’iniquo sacerdote cattolico: Salmo 32:5 “Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: , e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato”.

1Timoteo 5:20: “Quelli che peccano riprendili in presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano timore”. Paolo di fronte al problema del peccato non parla di un’assoluzione, ma di un’ammonizione che in questo caso si presenta in forma pubblica per creare timore e rispetto verso la volontà di Dio negli altri, oltre che in quelli che peccavano.

In Luca 24:45-49: “Allora aprì loro la mente per capire le Scritture e disse loro:”.
Pedro

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21/02/2012 17:55
 
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Lo scrittore ispirato Luca parla di questo unico mandato dato da Gesù dalla sua resurrezione alla sua ascensione, come del resto fa Giovanni.

In Marco 16:15-16 è scritto: “E disse loro:”.

Lo scrittore ispirato Marco parla anch’egli solo di questo unico mandato dato da Gesù dalla sua resurrezione alla sua ascensione, come del resto, ripeto, fa Giovanni nel suo vangelo.

In Matt. 28:18-20 è scritto: “E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: ”.

Come si vede anche Matteo parla di un unico mandato dato da Gesù dalla sua resurrezione alla sua ascensione, come fa pure, con termini diversi, lo scrittore Giovanni.

Luca nel c.24, versi 33-49 racconta la stessa apparizione di Gesù, di Giov. 20:19-23.

Luca 24:33-49: “E, alzatisi in quello stesso momento, tornarono a Gerusalemme e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro, i quali dicevano: . Essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello spezzare il pane (tra quanto è detto al verso 35 e il verso 36 di Luca c.24 Tommaso apostolo prima con i discepoli [v.33], probabilmente, si allontanò [Giov. 20:24-25] dal luogo dove erano riuniti insieme, ed è per questo che in Giov.20:24-25 è detto che Tommaso non era con gli altri quando apparve Gesù per la prima volta in mezzo agli apostoli e i discepoli riuniti insieme). Ora, mentre essi parlavano di queste cose, Gesù stesso comparve in mezzo a loro, e disse: . Ma essi, sconvolti e atterriti, pensavano di vedere un fantasma...<..Guardate le mie mani e i miei piedi, perché sono proprio io; toccatemi e guardate; perché un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho>. E, detto questo, mostrò loro le mani e i piedi......: ”. (Il “poi” del v.50 chiaramente si riferisce ad un evento posteriore).

Notare come Giovanni non voglia dire altro che le stesse cose scritte da Luca in modo diverso però, ma con lo stesso significato (probabilmente quello stesso giorno Gesù si espresse, riguardo alla predicazione, in entrambi i modi rivelati da Giovanni e da Luca).

Pedro

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21/02/2012 17:55
 
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Giov. 20:19-23: “La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro e disse: . E, detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. I discepoli dunque, veduto il Signore, si rallegrarono. Allora Gesù disse loro di nuovo: . Detto questo soffiò su di loro e disse: ”.

La “facoltà” di “legare” e “sciogliere” di Matt. 18:18 (non quello di Matt. 16:19-20) e di “rimettere” o “ritenere” non è stata data solo agli apostoli, ma a tutti i discepoli di Cristo Gesù e non può affatto, per ovvi motivi, trattarsi del sacramento della penitenza cattolico.

Giacomo dice: “Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti” Giacomo 5:16. In Matt. 18:15-17,21-22; Luca 17:3-4; e via dicendo, Gesù dice sempre questo; le Scritture sono piene di parole del Signore a questo riguardo.

Nessun mediatore (sacerdote cattolico) umano fra l’offensore e l’offeso, e nessun sacramento di penitenza; questa è un’iniqua invenzione umana.

Ma cosa vogliono dire allora i versetti 22-23 del capitolo 20 di Giovanni? Per smentire le varie obbiezioni che potrebbero essere prese da parte cattolica citerò dei passi biblici:

Atti 8:21-24: “. Simone rispose: < Pregate voi il Signore per me affinché nulla di ciò che avete detto mi accada>”.

Atti 19:18-20: “Molti di quelli che avevano creduto venivano a confessare e a dichiarare le cose che avevano fatte. Fra quanti avevano esercitato le arti magiche molti portarono i loro libri, e li bruciarono in presenza di tutti.... Così la Parola del Signore cresceva e si affermava potentemente”.

Matt. 6:14-15; Matt. 18:15-17,21-22; Luca 17:3-4; Giacomo 5:14-16; leggere anche Ebrei 7:11-28; Ebrei 8:1-4.

Nemmeno nell’A.T. si confessavano al sacerdote i propri peccati, ma solo a Dio, e vi pare giusto che dovremmo farlo proprio adesso che abbiamo il Sommo Sacerdote per eccellenza che è pronto ad intercedere sempre per noi in ogni momento, l’Eterno Signore Gesù Cristo? Egli è l’unico che intercede e che può davvero rimetterci i peccati in quanto Dio e sacrificio di espiazione dall’odore soave davanti al Padre celeste in favore di noi credenti suoi figliuoli.

Per questo gli scribi pensavano che Gesù bestemmiasse quando disse, in svariate occasioni, a colui che in tale circostanza aveva avuto fede nella sua Persona, che i propri peccati gli erano rimessi. Essi (gli scribi) credevano (e in questo facevano bene) che solo Dio potesse rimettere i peccati agli uomini e, quindi, perlomeno, non vi era nella loro, seppure spudorata, tradizione giudaica l’iniqua dottrina cattolica della confessione ed assoluzione per mezzo di un sacerdote. Essi non avevano, comunque, inteso che chi rimetteva i peccati in quelle circostanze era proprio Dio, venuto in carne sulla terra.

Per ulteriori chiarimenti leggere: Matt. 9:1-8; Marco 2:5-12; Luca 5:20-26; Giov. 1:29-30.

Pedro

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21/02/2012 17:55
 
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Noi ci confessiamo a Cristo Gesù, al nostro Signore per ogni nostra mancanza e nel caso che questa sia nei riguardi di un nostro fratello (o di un incredulo) chiediamo perdono anche all’offeso per riconciliarci con lui.

Lo spirito di umiliazione che si dimostra nella richiesta di perdono è un segno assai spesso evidente di un cuore contrito e davvero pentito.

Dio è l’unico che ci ascolta, che può assolverci e che può salvarci; rivolgiamo a Lui, esclusivamente, le nostre preghiere e ogni nostra richiesta, sicuri del fatto che secondo la volontà di Dio queste cose verranno esaudite.

Ma ritorniamo al c.20:21-23 del vangelo di Giovanni: ai discepoli è affidato l’annuncio della remissione dei peccati, l’annuncio che i peccati possono essere “sciolti” a chi accetta Cristo, ma saranno ritenuti a chi non lo accetterà: “Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato” Marco 16:16.

Pietro dice ai suoi uditori a Pentecoste: “..Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Perché per voi è la promessa, per i vostri figli, e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signore, nostro Dio, ne chiamerà” Atti 2:38-39.

Se una persona alla predicazione degli evangelizzatori, alle loro esortazioni, crede in Cristo e si battezza, questi potranno dirle: “stai in pace fratello perché a causa della tua fede i tuoi peccati ti sono stati rimessi, la tua fede ti ha salvato, vai in pace, come disse Gesù svariate volte”, e questo non perché noi abbiamo una potestà di rimettere o non i peccati altrui commessi verso Dio e verso gli uomini, ma perché: “chiunque crede in lui (Cristo), riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome” Atti 10:43.

È chiaro che, se alla predicazione degli evangelizzatori qualcuno non credesse a Cristo e all’opera sua e non si ravvedesse, in questa persona non vi sarebbe alcuna remissione dei peccati, perché non ha creduto al nome di chi li poteva rimettere attraverso l’opera del suo santo sangue versato sul legno della croce.

Non può esserci alcun’altra interpretazione del passo di Giovanni, perché in tutti e tre i restanti vangeli è espressamente detto quale fu il mandato di Gesù risorto affidato agli apostoli e ai suoi discepoli. Gesù dice semplicemente in modo chiaro che si deve predicare per il ravvedimento, e chi crede dev’essere battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo per la remissione dei peccati. Quello che dicono i teologi cattolici riguardo al sacramento della confessione con assoluzione, istituito nel 1215, molti secoli dopo l’epoca della Chiesa primitiva, si basa interamente solo sul versetto 23 del vangelo di Giovanni capitolo 20 e sul versetto 18 del capitolo 18 di Matteo riguardo al “legare e allo sciogliere”. Noi invece abbiamo compreso quanto questi teologi cattolici errano in tutto ciò.

Pedro

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21/02/2012 17:56
 
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Se fosse vero quello che dice la Chiesa Cattolica Romana riguardo al versetto del vangelo di Giovanni: “a chi rimetterete (o perdonerete)...”, ci sarebbe una grossa contraddizione biblica, innanzi tutto perché gli altri tre vangeli raccontano in accordo di un unico mandato di Gesù, dato ai suoi discepoli dal momento della sua resurrezione fino alla sua ascensione al cielo, che sarebbe, appunto, quello della predicazione e del battesimo per la remissione dei peccati, mentre Giovanni avrebbe dovuto tralasciare nel suo racconto di Gesù, dalla sua resurrezione fino alla sua ascensione, questo comando principale e necessario, magari per dimenticanza, e avrebbe dovuto trascrivere un nuovo mandato, così importante da aver dimenticato quello della predicazione, del ravvedimento e del battesimo, per trascrivere: “il mandato di Gesù di confessarsi al sacerdote col sacramento di penitenza per avere la remissione dei peccati”, remissione che invece negli altri tre vangeli, come del resto anche nel quarto, si ottiene solo accettando per fede Cristo nella propria vita.

Inoltre, tre scrittori ispirati (Marco16:15-16; Luca 24:47; Matteo 28:19-20), e non uno come Giovanni, avrebbero dovuto dimenticare di trascrivere (e non è da parte dello Spirito Santo dimenticare alcunché) questo nuovo mandato, per i teologi cattolici tanto importante, e avrebbero, per motivi occulti, trascritto solo quello della predicazione e del battesimo per la remissione dei peccati, senza alcun accenno riguardante “il sacramento cattolico della confessione”.

Se crediamo che questi quattro vangeli sono scritti ispirati, dobbiamo oltremodo credere che lo Spirito Santo nell’ispirare tali scrittori, gli abbia guidati in egual modo nel ricordare e nel trascrivere il mandato importantissimo di Gesù, che Egli affidò ai suoi discepoli nel tempo che intercorse fra la sua resurrezione e la sua ascensione, il quale fu unicamente quello della predicazione del Cristo, del ravvedimento e del battesimo per la remissione dei peccati. Confrontare fra di loro i vari passi dei quattro vangeli: Giov. 20:23; Marco 16:15-16; Matt. 28:19-20; Luca 24:47.

Pedro

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21/02/2012 17:56
 
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Conclusione:

Proviamo ora a dire a parole nostre quello che il passo di Giovanni c.20:21-23 dice: “Allora Gesù disse loro di nuovo: . Detto questo soffiò su di loro e disse: ”.

Oppure: “A chi alla vostra predicazione avrà creduto al mio nome, gli saranno rimessi i peccati, ma a chi non avrà creduto non saranno rimessi (resteranno ritenuti)”; Atti 13:38-39; Atti 26:18.

L’evangelizzatore può dichiarare che una persona è stata liberata dai propri peccati se questa ha creduto in Gesù, il Signore e Salvatore, oppure dichiarare che rimane in stato di peccato se essa rifiuta di credere. Gesù con questo mandato, che Egli affidò a tutti i suoi discepoli, si riferiva unicamente all’evangelizzazione del suo nome e dell’opera sua.

Rimettere i peccati non è competenza di nessun uomo, essi ci vengono perdonati da Dio stesso e solamente da Lui: “Chi può perdonare i peccati se non uno solo, cioè Dio?” Marco 2:7.

Lui solo ha tale Autorità e Potenza.

Durante una predicazione, per mezzo della fede in Cristo e nella sua opera di redenzione, delle persone ricevono la certezza che Dio le ha perdonate. È evidente che nessun uomo può rimettere i peccati a se stesso o ad altri, ovvero assolvere se stesso o gli altri anche se nel nome del Signore, perché egli non può conoscere in quel medesimo momento il volere di Dio riguardo all’individuo colpevole, del quale non può neanche individuare la certezza del pentimento o meno. La Sacra Bibbia dice chiaramente: “e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti....” Luca 24:47.

Colossesi 2:13: “Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati”.

Un uomo di Dio può perdonare (mai assolvere) soltanto colui che si è reso colpevole di qualcosa nei confronti della sua persona, come viene espresso nell’insegnamento di Gesù nella preghiera del Padre Nostro: “rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori” Matt. 6:12; “e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore...” Luca 11:4; “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate; affinché il Padre vostro, che è nei cieli vi perdoni le vostre colpe” Marco 11:25.

Se qualcuno si è reso colpevole di qualcosa verso di noi, dobbiamo perdonarlo, anche se questi continuasse ripetutamente ad essere recidivo in cattive azioni nei nostri confronti, anche fino a “settanta volte sette” (all’infinito), ovvero noi dobbiamo perdonare sempre: Matt. 18:21-35. (Questo non significa assolutamente che un credente non possa in caso di giusta necessità tenersi lontano da un individuo che continuamente agisce verso la sua persona in modo spregevole, ma solo che egli non deve mai avere in cuor suo, né alcun tipo di odio, né di rancore, ma i suoi sentimenti verso tale individuo devono sempre essere impregnati di pietà, di compassione, di amore e di speranza).

Il passo “a chi rimetterete...” non ha nulla a che vedere col perdono in generale, che ciascun credente riceve solo da Dio nelle varie occasioni quotidiane e della vita, mediante la fede in Gesù. Qui si parla della remissione dei peccati, passati, presenti e “futuri” attraverso l’accettazione della Persona di Cristo Gesù alla predicazione degli evangelizzatori, con la conseguente attestazione pubblica del battesimo in acqua. Soprattutto, caro lettore, tale passo non ha in alcun modo niente a che vedere con la confessione e con l’assoluzione cattolica.
Pedro

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21/02/2012 17:57
 
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Capitolo 6

Il Papato cattolico


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www.missionecristianaevangelica.it/librohtml.htm

Pedro

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22/02/2012 10:13
 
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E` cosi` facile.......
Caro fratello Pedrodiaz.......e` cosi` facile vedere e capire le menzogne della chiesa cattolica romana...e non solo lei..... ma e` seguita da molte altre congregazioni che si chiamano cristiane. Non e` lei la Babilonia la grande??? se non lo fosse non ci poneremo la domanda " Verita` o menzogna ? di chi? ovviamente della CCR !! [SM=g7354]

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