CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Libro “Chiesa Cattolica Romana: verità o menzogna?;

Ultimo Aggiornamento: 01/03/2012 18:50
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21/02/2012 17:40
 
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Questi messaggi sono solo una parte delle migliaia di affermazioni fatte dalla “Madonna” a Medjugorje, Fatima, Lourdes, ecc.. Si ha, attraverso la lettura di tali messaggi, una figura di Dio e di Gesù molto diversa da quella della Bibbia, dei vangeli e di tutto il N.T. e del messaggio biblico in generale. Tutto ciò non può venire dallo stesso Dio delle Sacre Scritture, Egli rimane sempre uguale nel Carattere e nella Personalità e nella volontà che i suoi comandamenti vengano pienamente rispettati ed applicati (vedere il secondo comandamento biblico). Notate come, con molta astuzia e finezza, le parole di tali messaggi sembrano apparentemente non voler annullare la supremazia di Dio, ma ahimè, un buono studioso e vero credente di Dio si accorgerà come tutto ciò abbia e si prefigga un grande e diverso scopo. Questo scopo maligno segue però un ordine graduale, cioè parla nella verità per lanciare la menzogna, o parla nella menzogna pur lanciando qualche verità. Questo designa furbizia e astuzia, doti primarie di Satana.

Matt. 12:46-50; Marco 3:31-35; Luca 8:19-21; Luca 11:27-28; Giov. 2:3-4; come conciliate questi passi della Bibbia con i messaggi della Madonna e di “Gesù”, qui trascritti, dati e rivelati alla Chiesa Cattolica? È inutile alcun commento, perché colui che conosce bene Dio e la sua Parola saprà trarre le giuste conseguenze e considerazioni. Credo che, in genere, si possa dire che molte delle apparizioni e delle rivelazioni della Madonna, nel mondo, siano vere e proprie manifestazioni spirituali angeliche maligne, con l’intento di spingere l’uomo sempre più verso l’ignoranza alla verità, ma in altri casi non escludo, assolutamente, che si tratti di pura invenzione umana.

Leggere anche i passi: Giov.3:15-16; c.6:35; c.6:40; c.6:47; c.7:37-39; c.14:6; c.14:13-14; c.15:16; c.16:23-24; Atti 4:12; c.10:25-26; c.16:31; Colossesi 2:18-19; Matt. 4:10; Luca 4:8; Ap. 19:9-10; c.22:8-9; Isaia 8:19-20; c. 43:11; c. 45:21-22; Osea 13:4; 1Timoteo 2:5-7; Ebrei 7:24-25; Galati 1:6-9; Esodo 20:3-6; Deut. 5:7-10; Lev. 19:31; c.20:6.

A rendere poi certo che tali apparizioni mariane non siano solo in parte frutto della potenza di Satana, ma anche della menzogna dell’uomo, c’è il fatto che la “Madonna” quando appare, ad esempio, in territori popolati da gente di colore (ad esempio, quelli dell’Africa centrale), ella viene identificata quasi sempre con la carnagione di colore nero e vestita di abiti secondo i costumi del posto, quando appare in territori popolati dai bianchi (Italia, Francia, ecc.), ella viene individuata con la carnagione bianca e vestita di abiti sempre secondo i costumi locali, quando, invece, appare in territori con carnagione olivastra (ad esempio, Africa settentrionale ed Orientale), ella viene identificata spesso con la carnagione olivastra e sempre secondo i costumi e la cultura del posto. Questo dovrebbe aiutarci a capire come, probabilmente, molte delle apparizioni della Madonna, nel mondo, non siano solo opera di Satana, ma anche menzogna dell’uomo che quando afferma di averla osservata in apparizione, nell’ingenuità, ma anche nella malizia diabolica, si attiene spessissimo agli usi e costumi del proprio luogo. Maria, essendo nata nei territori giudei, era di carnagione olivastra e non potrebbe apparire in tutto il mondo conformandosi agli usi, alla cultura e ai costumi dei vari posti, cambiando di tanto in tanto il colore della sua pelle, da bianca a nera, a olivastra, ecc.. È consueto, inoltre, vedere che, oltre alla carnagione, ai vestiti, ecc., vi sono anche differenze nei lineamenti, contorni e profili facciali, strettamente collegabili alle caratteristiche fisiche della razza del territorio in cui si ritiene che ella sia apparsa.

Pedro

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Galati 1:6-9 (scrivo il v.8): “Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema”. È chiaro che i messaggi attribuiti a Maria non sono altro che messaggi provenienti da uno spirito menzognero o da più spiriti (1Re 22:19-23; 2Cronache 18:17-22; Deut. 13:1-4), (senza escludere anche la possibilità che una parte di questi vengano dalla menzogna dell’uomo), i quali contraddicono e combattono la Parola di Dio. Analizziamo quanto è scritto in Galati: qualunque apparizione angelica (o qualunque uomo che professi un vangelo o un insegnamento che non porti esclusivamente le verità di Gesù) è da ritenere anatema, se porta delle verità non bibliche, non divine; in pratica, se contraddice quanto dice la Parola di Dio. È chiaro che riguardo alle apparizioni mariane, per quanto detto finora, siamo di fronte a messaggi e rivelazioni menzognere e demoniache ma anche di pura invenzione umana. Attenti, però, che qui non si sta dicendo, per niente, che alcune rivelazioni date e alcune apparizioni mariane non si siano verificate realmente o non possano verificarsi: la potenza di Satana agisce anche in questo senso, ma noi abbiamo molti avvertimenti divini a riguardo, ad esempio, la Parola di Dio in Deut. 13:1-4; Matt. 24:24; 2Tessalonicesi 2:9-12; 2Cronache 18:17-22; 1Re 22:19-23; Ap. 13:13-14; Ap. 19:20; Geremia 23:16, 21-22, 25, 30-32 .

Noi non dobbiamo limitarci ad identificare come divine o non queste o altre rivelazioni, messaggi e quant’altro, semplicemente, per il fatto che in alcune occasioni taluni cose rivelate possano essersi realmente verificate, e ritenere provenienti da Satana solo quelle che non si verificano. Gli stolti credono che se tali cose si compiono come profetizzate, debbano provenire assolutamente da Dio e solo nel caso contrario provengono da Satana. Questo è vero in parte: il modo più completo e giusto per verificare se tali segni e messaggi vengono da Dio, oppure no, è porre la Parola di Dio come pietra di paragone. Se tali messaggi e segni rientrano nella verità biblica, secondo certi profili, e le loro parole profetiche si avverano, allora tali cose, e quant’altro, provengono da Dio. Se tali segni annunciati si avverano, ma non sono conformi alla volontà di Dio, secondo alcuni o molti profili, allora provengono da Satana. Se tali segni non si avverano ed, inoltre, non sono conformi alla Parola di Dio, è evidente che in questi casi ci può essere la mano di Satana, come anche la menzogna dell’uomo: Geremia 23:16,21-22,25,30-32. (Leggere, per meglio capire questo discorso, la seconda parte dello studio: “Idolatria, culto dei santi e falsi miracoli”).

Dio mette alla prova, a volte, gli uomini, facendo verificare prodigi d’inganno e menzogneri.

Molti credono, e fanno bene, che Satana non conosca il futuro, aldilà di quanto è stato rivelato, e può essere a conoscenza di “tutti”, nelle Sacre Scritture. A motivo di questo essi credono che qualunque profezia, segno annunciato da uomini, da apparizioni angeliche, mariane e di “santi” defunti, se si avvera deve, per forza di cose, provenire da Dio, in quanto Satana non potrebbe mai aver rivelato uno specifico evento futuro reale e vero, perché egli non ha tale potere che, invece, ha solo Dio. Rispondo subito “ingenuamente” a questi, che se la “Madonna” o gli angeli possono venire a conoscenza di specifici eventi futuri da Dio, non bisogna escludere che anche Satana (e i suoi seguaci, angeli decaduti), non da sé (perché egli non ha questo potere), ma indirettamente da Dio, potrebbe venirne a conoscenza. Vediamo, in Ap. 6:9-11, come le anime dei santi martiri della tribolazione non sappiano neanche quanto attraverso la Bibbia sarebbe stato loro possibile sapere. Infatti, al v.10 esse chiedono al Signore fino a quando Egli avrebbe aspettato per giudicare gli empi sulla terra, cosa, che noi sappiamo, deve avvenire alla fine del periodo della tribolazione, che dovrà durare non meno di sette anni. Si dovrebbe sapere una cosa molto importante che qualunque angelo di Dio non ha alcun potere in sé di conoscere il futuro, ma quello che può conoscere nello specifico viene esclusivamente da Dio. Se avviene ciò per gli angeli di Dio, non deve essere esclusa la stessa possibilità per Satana e i suoi angeli. Inoltre, certamente, avviene qualcosa di non meno importante: Satana ha la possibilità, concessagli da Dio, di chiedergli di provare gli uomini in svariati modi. Vediamo, ad esempio, in Giobbe 1:6-22; c.2:1-10 come Satana aveva chiesto a Dio di poter provare Giobbe con dei grandi mali. Dio glielo permise, non concedendogli, però, di stendere la mano sulla vita di Giobbe per farlo morire. Se Satana avesse voluto, avendo avuto la concessione da Dio di poter attuare i suoi disegni cattivi sulla persona di Giobbe, sulla sua famiglia, sui suoi servi e sul suo bestiame, egli conoscendo, nello specifico, quali cose tremende dovevano accadere nella vita di Giobbe, perché egli stesso doveva causarle, avrebbe potuto investire un uomo della sua ispirazione (oppure apparire come angelo di luce), e questi avrebbe potuto profetizzare tale avvenimenti che poi sarebbero accaduti, grazie solo, non ad una potenza conoscitiva diretta di Satana degli eventi futuri, nello specifico, ma alla concessione resa da Dio di poter mettere in atto tali eventi; egli poi, per mezzo della profezia o di apparizioni, avrebbe potuto, semplicemente, per suoi scopi ingannatori, farli conoscere, investendo un uomo della sua ispirazione, oppure apparendo come angelo di luce.

Pedro

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21/02/2012 17:41
 
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2 Corinzi 11:14-15: “Non c’è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste da angelo di luce. Non è dunque cosa eccezionale se anche i suoi servitori, si travestono da servitori di giustizia; la loro fine sarà secondo le loro opere”. Ricordatevi che Satana viene spesso nel mondo per traviare nelle vesti di angelo di luce, perché sa che se venisse nella forma e nei modi che fanno parte della sua natura, avrebbe poco credito e pochi seguaci.

È anche certo che quando ciò avviene, tutto rientra nei disegni e nella volontà santa e giusta di Dio che si serve della potenza del male e dell’opera sua, anche, per rendere manifesta l’empietà, l’ingiustizia che spesso possono essere nascoste in modo subdolo, affinché il suo giusto giudizio, quando viene, sia potentemente individuato come vero e santo.

Leggere anche: 2 Cronache 18:17-22; 1Re 22:19-23; 2 Tessalonicesi 2:9-12; Deut.13:1-4.
Pedro

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Conclusione

La Bibbia ci esorta in molti passi a pregare ed invocare Iddio soltanto. Maria non disse mai di indirizzare a lei le preghiere dei credenti.

Potete provare, voi teologi cattolici, che si possano fare immagini, statue di Maria, e che Chiese e santuari possano ad essa essere dedicati? E che Maria abbia mai domandato di pregarla, di venerarla e quant’altro (Luca 11:27-28; Esodo 20:3-5; Lev.26:1; Deut.5:7-9)?

Il pregarla, l’invocarla e il celebrare delle feste in suo onore è un insulto alla sua memoria, ed ella sarebbe la prima a protestare.

Maria è la donna più privilegiata che troviamo menzionata nella Bibbia, ed è, debitamente, rispettata e onorata da tutti i cristiani evangelici. Ma invocarla, pregarla, venerarla, prostrarsi davanti a delle immagini e statue, che la rappresentano, è illecito e abominevole per Dio.

Se Gesù avesse voluto, come accade in ambito cattolico e non solo, che Maria dovesse essere venerata, invocata, chiamata “Madre di Dio”, “Regina del cielo”, “Regina degli angeli”, non avrebbe in talune occasioni parlato così: Luca 11:27-28; Matt.12:46-50; Luca 8:19-21; Marco 3:31-35; Giov.2:3-4.

Pedro

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Capitolo 4

Santa Cena del Signore o Eucaristia

cattolica?

Matt. 26:26-29: “Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli dicendo:<Prendete, mangiate, questo è il mio corpo>. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo:<Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio>”.

Luca 22:19-20: “Poi prese del pane, rese grazie e lo ruppe, e lo diede loro dicendo: <Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me>. Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: <Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi>”.

Marco 14:22-25: “Mentre mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: <Prendete, questo è il mio corpo>. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Poi Gesù disse:< Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti. In verità vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo berrò nuovo nel regno di Dio>”.

1Corinzi 11:23-29: “ ...cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse:< Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me>. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo:< Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga>.........”.

Proprio come la Pasqua permetteva di fare agli israeliti “un passo indietro nel tempo” e ricordare l’esodo dei loro padri dall’Egitto, così la Cena del Signore permette ai credenti di commemorare e celebrare personalmente la liberazione dalla schiavitù del peccato, ottenuta grazie alla morte espiatrice di Cristo Gesù. Davanti al simbolismo del pane e del vino, siamo messi di fronte al terribile prezzo che è stato pagato necessariamente per essere riscattati dalla tirannia del peccato. La Cena del Signore ricorda ai credenti che il peccato, non soltanto separa da Dio, ma anche gli uni dagli altri.

In questo senso rappresenta sia la comunione individuale col Cristo, ma anche l’unità spirituale dei credenti riuniti nella medesima comunione divina.

I teologi cattolici vedono, nei passi prima citati e in quelli che citeremo, la conferma che Gesù si trovi tutto intero (la sua divinità, il suo sangue, il suo corpo e la sua anima) nell’ostia e nel vino, in pratica che Gesù è fisicamente presente in questi due elementi in modo intero e completo.

Pedro

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21/02/2012 17:44
 
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Giov. 6:51: “Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo”.

Giov. 6:52-58: “I Giudei dunque discutevano tra di loro, dicendo: < Come può costui darci da mangiare la sua carne?> Perciò Gesù disse loro: < In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo resusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me. Questo è il pane che è disceso dal cielo; non come quello che i padri mangiarono e morirono: chi mangia di questo pane vivrà in eterno>”.

In Giov. 6:35,40,47 Gesù ripete che chiunque crede in Lui riceve la vita eterna e la certezza di essere salvato.

In Giov. 6:50,51,53,54,58, nello stesso capitolo, colui che mangia e beve la carne e il sangue di Gesù riceve esattamente le stesse grazie di chi crede nel Figlio dell’Uomo; è chiaro che Gesù parli in entrambi i casi della fede in Lui e del riconoscerlo come Salvatore Divino.

Infatti, in Giov. 6:60,63, in successione al passo prima riportato (Giov. 6:52-58), Gesù risponde al mormorio, sia dei giudei che dei suoi discepoli, in questo modo: “Perciò molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: < Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo? >....<.. È lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità; le parole che vi ho dette sono spirito e vita >”.

Egli stesso, dunque, dichiara che le sue parole sono spirito e vita e che si devono intendere spiritualmente.

Diventa chiaro che mangiare la carne di Gesù è l’esatto equivalente di credere in Lui.

Qui Gesù usa un simbolismo particolare che equivale a voler dire che noi dobbiamo partecipare completamente e con fiducia alla natura di Cristo Gesù come “pane disceso dal cielo”, quindi, come Dio incarnato sulla terra, e credere all’opera del suo “sangue sparso per molti” (Giov.6:51,56; Luca 22:19-20), quindi come Dio Redentore morto per noi sulla croce.

Solo chi avrà creduto in Lui e alla sua opera avrà vita eterna.

Non vi è alcun riferimento a del pane e a del vino consacrati (eucaristia cattolica).

Solo la fede salva e il discernimento della natura divina e dell’opera redentrice di grazia di Dio in Cristo Gesù; non un mangiare o un bere nell’uso comune o cattolico: Giov. 6:35,40,47,63.

Pedro

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21/02/2012 17:44
 
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Giov. 6:35-63: “....se uno mangia di questo pane vivrà in eterno..............Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna...Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.....così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me.........Perciò molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: < Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo? >....<...È lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità; le parole che vi ho detto sono spirito e vita >”.

Leggendo tutto il capitolo 6, dal v.35 al v.63, si riesce ancor meglio a comprendere che le parole di Gesù “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue” hanno un significato spirituale e non letterale: Giov. 6:60-63.

Per comprendere meglio le parole spirituali di Gesù, ovvero che quando Egli dice: “chi mangia il pane disceso dal cielo”, “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna”, voglia semplicemente dire che chi crede in Lui e nella sua opera ha vita eterna, leggiamo i seguenti passi; una mente acuta non troverà difficile comprendere la connessione dei vari discorsi di Gesù, nei vari passaggi, con l’unico elemento necessario, ovvero credere in Gesù per essere salvati; il resto è un simbolismo usato dal Signore per portare il suo messaggio in diversi modi, arricchito e con molti particolari.

Giov. 6:35-47: “....Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete...Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo resusciterò nell’ultimo giorno....In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna”.

Giov. 8:12: “...Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.

Giov. 8:24: “perché se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati”.

Giov. 3:36: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (le parole di questo verso citato sono di Giovanni il Battista e non di Gesù).

Giov. 14:6: “...Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.

In questi passi citati Gesù esprime e dimostra con dei termini spirituali la sua natura e opera.

Al contrario, la Chiesa Cattolica, al punto 1384 del suo Catechismo, dice: “Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel sacramento dell’Eucaristia: (Gv. 6,53)”.

Pedro

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21/02/2012 17:44
 
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Il “mangiare la carne, il pane e il bere il sangue, il vino” non giovano a nulla invece (leggere Giov.6:63). Le parole di Gesù, riguardo al “mangiare la sua carne e al bere il suo sangue” (Giov.6:53-56), devono essere prese in senso spirituale e non letterale (Giov.6:63).

“Mangiare la sua carne e bere il suo sangue” vuol dire appropriarsi dell’opera redentrice di Cristo Gesù, credendo in Lui per essere salvati. Queste parole, in termini figurativi, hanno un senso spirituale e non hanno nulla a che vedere con quanto dicono i teologi cattolici, riguardo al fatto che, secondo loro, Gesù intendesse dire di mangiare letteralmente e realmente il suo corpo (pane), e bere il suo sangue (vino) per essere salvati, altrimenti si rimarrebbe nelle tenebre del peccato.

Essi ritengono che Gesù dicendo ai discepoli di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, intendesse dire letteralmente di mangiare il pane e bere il vino consacrati, in quanto (sempre secondo questi) suo corpo, sua anima, sua divinità e suo sangue.

Al punto 1374 del Catechismo cattolico si legge: “Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa < quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti>. Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. ”.

Il pane e il frutto della vigna (vino) sono solo dei simboli, la cui natura non cambia dopo che sono stati benedetti. Gesù era ancora vivo quando istituì la Santa Cena, e quindi, anche per questo motivo, non potevano il suo corpo, la sua anima, il suo sangue e la sua divinità, essere nel pane e nel vino.

Egli usò dei termini in senso spirituale; Matt. 26:27-29: “....Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”.

Credendo alla teoria cattolica dovremmo asserire che in pratica Gesù mangiando il pane nella sera della Pasqua mangiò se stesso; mangiando il pane si mangiò la sua anima, il suo corpo, il suo sangue, la sua divinità, bevendo il vino, bevette la sua anima, il suo corpo, il suo sangue, la sua divinità. Inutile ogni commento.

Se un ebreo (per non dire un cristiano della Chiesa primitiva, venuto dal giudaismo, quali furono gli apostoli e i discepoli del Signore) avesse avuto la sfortuna di comprendere la diavoleria cattolica che afferma che il vino e il pane erano anche il sangue letterale, fisico e reale di Gesù, rimarrebbe, senza ogni dubbio, solamente per questo, della giusta e certa convinzione, che trattasi di una menzogna satanica, conoscendo bene il dettame, di Dio, del non “mangiare il sangue” di creature morte: Lev. 7:26-27; c.17:10-14.

Si noti come Gesù chiamò il contenuto del calice: “questo frutto della vigna”. In sostanza, Gesù fa chiarimento che il contenuto del calice è, e rimane, il frutto della vigna (il vino) e non è cambiato, diventando il suo sangue, ma solo, simbolicamente, lo rappresenta.

Pedro

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21/02/2012 17:45
 
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Essendo l’istituzione della Santa Cena la circostanza anticipata del sacrificio sulla croce e il memoriale che in seguito l’avrebbe commemorato, Gesù se avesse bevuto, attraverso il vino, veramente, il suo sangue (per non parlare dell’anima, del corpo e della divinità), si sarebbe opposto al dettame divino del non mangiare sangue di creature morte, in quanto Egli, in quel momento, con quelle gesta, prefigurava e anticipava la sua stessa morte. Inoltre, se così fosse, Egli avrebbe indotto, col comandamento “fate questo in memoria di me”, alla trasgressione, dei suoi servitori, allo stesso dettame divino. Poi, è utile aggiungere un altra cosa; come può essere possibile che nella messa cattolica avvenga nuovamente il sacrificio di Gesù, se perfino quando Gesù la istituì (la Santa Cena), tale sacrificio si doveva ancora compiere? In realtà, la Santa Cena è un commemorare la sofferenza e il sacrificio compiuto da Cristo (una volta per sempre), finché Egli non sia venuto in gloria a regnare sulla terra, ad instaurare il Regno di pace e giustizia, dove Egli stesso potrà nuovamente bere “il frutto della vigna” (e non il suo sangue) con i suoi servitori salvati (Matt. 26:29).

Eucaristia significa: rendimento di grazie.

Gesù era fisicamente presente mentre pronunciava le parole del passo di Matt. 26:26-29, così i discepoli non mangiarono, letteralmente, il suo corpo, né bevvero il suo sangue, cosa, quest’ultima, che dei giudei, quali erano i discepoli, non avrebbero mai potuto accettare: Lev.7:26-27; Lev.17:10-14. Proprio come il sangue del sacrificio ratificava l’antico patto mosaico sul monte Sinai (Esodo 24:6-8), così il sangue di Gesù, versato al Golgota, inaugurò il nuovo patto (Geremia 31:31-34; Ebrei 8:6-13; Luca 22:20; ecc.). Questo nuovo patto non si riferisce ad un accordo tra due parti come il primo, ma ad una decisione presa da una delle due parti, in questo caso, Dio.

L’altra parte, ossia l’uomo non può alterare questa decisone, può solo accettarla o rifiutarla.

Voglio ripetere ancora, cari lettori, che Gesù quando istituiva la Santa Cena era ancora in vita; la sua anima, il suo sangue, il suo corpo e la sua divinità non poterono essere nel pane e nel vino; la sua anima non poteva essere nel pane e nel vino perché essa era in Lui, il suo sangue, nemmeno, e neanche il suo corpo e la sua divinità. Chiariamo, non che a Dio mancasse la potenza soprannaturale, per poter far questo, Egli potrebbe fare molte cose per la sua potenza, ma alcune le fa e altre no.

In questo caso è chiaro, per svariate prove e aspetti, che Gesù usò parole spirituali e una simbologia con degli elementi, per portare a conoscere, esclusivamente, una verità spirituale.

Oltretutto, quando istituì la Santa Cena, che non è, come dice la Chiesa Cattolica, un rinnovamento mistico del sacrificio di Gesù, ma solo la commemorazione del suo sacrificio, Egli non era ancora morto. In pratica, non aveva ancora avuto luogo il suo sacrificio. Questo sarebbe avvenuto alle ore 9 della mattina del giorno seguente e durato fino alle ore 15 del pomeriggio dello stesso giorno. Paradossalmente, cari teologi cattolici, la Santa Cena, che voi celebrate come un vero e proprio sacrificio mistico, ripetuto di Cristo, quando Gesù la istituì, il suo sacrificio non aveva ancora avuto luogo.


Questo dovrebbe farci capire che nella Santa Cena cattolica non avviene alcun sacrificio ripetuto di Gesù, perché perfino Cristo stesso, quando vi partecipò alla prima e unica volta (all’istituzione di essa), non essendosi ancora sacrificato poté vedere nelle sue gesta solo un memoriale simbolico di quello che la mattina seguente Egli avrebbe operato; oggi noi commemoriamo la grande opera del Signore partecipando alla Santa Cena, nel ricordo del sacrificio di Gesù. Quindi, come potevano (o perché avrebbero dovuto) il pane e il vino essere il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Gesù, se Egli era ancora in vita e, inoltre, il suo sacrificio, doveva ancora avere luogo? Come poteva Gesù, fisicamente vivente, essere tutto intero nel pane e nel vino? Cristo dicendo queste parole: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me ...Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi” (Luca 22:19-20) non poteva simultaneamente essere tutto intero nel pane e nel vino (giacché era fisicamente presente e vivo, quando compiva tali gesta e proferiva tali parole; inoltre, ripeto, doveva ancora compiere il suo sacrificio).

Pedro

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21/02/2012 17:45
 
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Quindi, ciò dimostra come Gesù Cristo voglia usare questi elementi (il pane e il vino) semplicemente per simboleggiare la sua Santa ed espiatrice dipartita, e non per ultimo, come un modo perfetto per entrare in comunione con Lui individualmente e collettivamente.

(La simbologia di tali elementi [il pane e il vino] viene, inoltre, a rendersi ancor più evidente in virtù del fatto che Cristo se ne serve per far vivere anticipatamente e spiritualmente, dentro la mente e i cuori degli apostoli, ancora prima che avvenga il suo sacrificio, la fede nella sua opera redentrice per mezzo della sua morte. Ciò spiegherebbe, anche il motivo per il quale, alla Santa Cena [circostanza nella quale essa venne istituita dalla presenza fisica di Gesù], quella sera non erano invitati altri discepoli del Signore, ma solo gli apostoli perché essi solo, in quanto vicini al Signore sin dagli inizi del suo ministero, e in quanto scelti direttamente e fisicamente da Cristo, potevano e dovevano essere [escluso Giuda] i testimoni oculari, anticipatori in fede e in Spirito, di quanto Gesù proferiva riguardo a sé e alla sua opera di sacrificio, e non per ultimo, dell’istituzione del sacramento, per poterlo poi, quest’ultimo, inserire come tale, nella Chiesa di Cristo. Del resto, sin dall’inizio del suo ministero con la scelta degli apostoli Gesù riserva loro gli insegnamenti più diretti, le spiegazioni delle parabole, la sua continua presenza fisica, e altro ancora, destinandoli, con e per tutto ciò, ad essere in futuro le “fondamenta dottrinali”, [in quanto testimoni oculari], nella Chiesa, poiché avrebbero per mezzo della potenza dello Spirito Santo tramandato letteralmente gli insegnamenti di Gesù una volta e per sempre).

Ciò che rende santa questa commemorazione è la fede individuale e collettiva nell’opera divina di Cristo riguardo al peccato (con la conseguente presenza dello Spirito Santo) e non l’elemento in se stesso, questo non ha alcun valore al di fuori del contesto della Santa Cena, ma in esso può diventare e diventa “uno strumento, in fede, di comunicazione per entrare in comunione”, mediante l’opera dello Spirito Santo (e della fede), con l’opera attuata da Cristo in passato, ma ancora vivente nell’efficacia per salvare dalla condanna del peccato.

Il nostro Dio è un Dio di Spirito e, in quanto tale, noi dobbiamo essere spirituali, non confidanti in qualche elemento o materia con la pretesa iniqua di essere consacrati, ma confidanti per fede con canali sempre spirituali: Giov.4:23-24; Ebrei 9:9-10.

1Corinzi 11:23-26: “<...Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me>. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: ”.

1Corinzi 10:16-22 “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è forse la comunione con il corpo di Cristo? Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane....”.

1Corinzi 11:20-21: “Quando poi vi riunite insieme, quello che fate non è mangiare la cena del Signore; poiché, al pasto comune, ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco”.

Pedro

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21/02/2012 17:45
 
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Atti 20:7: “Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane...”.

Atti 2:42: “Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere”.

Atti 2:46: “E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme...”.

“Mangiare la sua carne e bere il suo sangue” significa nutrirsi per fede della sua Persona offerta in sacrificio per noi sulla croce.

“Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue”, il nuovo patto istituito da Cristo è un patto sancito col sangue (come il vecchio patto), ovvero col suo sangue.

Per sancire l’antico patto tra Dio ed Israele sul monte Sinai, dopo che Dio ebbe posto le sue condizioni ed il popolo le ebbe accettate, Mosè prese un bacino pieno del sangue del sacrificio e ne sparse una parte sull’altare stabilendo così che Dio era legato alla sua parte del patto; poi sparse il resto del sangue sul popolo legandolo al rispetto della sua parte del contratto o patto (Esodo 24:3-8).

In Atti 2:42 leggiamo che i primi cristiani perseveravano “nel rompere il pane”. Queste ultime parole si riferiscono ad un pasto ordinario o alla celebrazione della Cena del Signore? Forse ad entrambi. Ecco ciò che deve essersi verificato: in principio la comunione dei discepoli era così intima e sentita che spesso consumavano i pasti insieme. Mentre circondavano la tavola per chiedere la benedizione sul cibo a Dio, il ricordo dell’ultima cena di Cristo si riformulava nelle loro menti e la richiesta della benedizione per il cibo e il ringraziamento al Signore sfociava in un vero e proprio culto di adorazione al Cristo, cosicché a poco a poco sarebbe diventato difficile stabilire precisamente se i discepoli consumavano un pasto comune o partecipavano alla Santa Cena o ad entrambi.

La vita e l’adorazione in quei tempi era ben altra cosa rispetto ad oggi. Assai presto “il rompere il pane” e la Santa Cena vennero distinti in modo preciso, cosicché l’ordine del culto divenne il seguente: in un giorno stabilito i cristiani si radunavano insieme per consumare un pasto nella comunione fraterna (il banchetto dell’Amore, o Agape) caratterizzato dalla gioia che scaturiva dall’amore fraterno; tutti portavano provviste per tale pasto e queste dovevano essere distribuite in parti uguali fra tutti i credenti.

In 1Corinzi 11:20-22 Paolo biasima coloro che in tali circostanze si ubriacavano e quelli che mangiavano il loro cibo senza condividerlo con i poveri.

Alla fine dell’Agape veniva celebrata la Santa Cena.

Pedro

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21/02/2012 17:46
 
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Più tardi nel I sec. la Santa Cena fu separata dall’Agape e veniva celebrata la domenica mattina. Probabilmente l’Agape voleva ricordare la cena che precedette l’istituzione della Santa Cena, ovvero il pasto che vi fu tra Gesù e i suoi discepoli prima che Egli stesso istituisse il sacramento.

Riflessione: Mi chiedo se il sacramento è la Santa Cena, come possono esserlo anche il pane e il vino? Ciò è impossibile. Sarebbe come dire, ad esempio, che il battesimo è un sacramento (e questo è vero), ma che lo è anche l’acqua o l’uomo che vi partecipa. Impossibile anche questo.

La Santa Cena è un sacramento istituito da Cristo (assieme al battesimo), il pane ed il vino sono gli elementi che usiamo assieme alla fede e alla comunione fraterna e dello Spirito Santo per entrare in comunione con Cristo e quindi con Dio. La Chiesa Cattolica ha finito per definire il pane ed il vino: “il sacramento”, ha dimenticato che questi sono solo elementi e che il sacramento è solo la Santa Cena, ovvero l’ordine di riunirsi nel ringraziamento e nel ricordo dell’opera salvifica di Cristo sulla croce per la redenzione dell’uomo.

1Corinzi 11:23-26 (questo passo spiega bene quanto detto finora ); gli elementi: il pane ed il vino, l’adunanza dei credenti, la fede e la comunione fraterna formulano, in definitiva il sacramento, della Santa Cena, senza dimenticare poi l’opera dello Spirito Santo. Tutte queste cose connesse fra di loro rientrano e danno vita al sacramento ordinato da Dio, come pure per il battesimo, l’acqua, la fede e l’uomo, che viene battezzato, sono gli elementi che formulano il sacramento.

Nessuno di questi elementi è un sacramento, poiché esso prende esclusivamente vita dalla comunione fra di loro (fra questi elementi). Ovvero l’utilizzo di questi elementi per un unico fine dà vita alla realizzazione del sacramento e dell’ordine divino.

L’acqua non è il sacramento del battesimo, come non lo è neanche l’uomo, ma combinati tra di loro e per mezzo della fede questi formano il sacramento del battesimo.

Così, il pane ed il vino non sono la Santa Cena, ma elementi che connessi con la comunione fraterna, la fede e l’opera dello Spirito Santo danno vita al sacramento della Santa Cena.

Nessuno di questi elementi è un sacramento, ma la comunione e l’unione fra di loro lo è.

Al punto 1330 del Catechismo cattolico si legge: “....Si parla anche del Santissimo Sacramento, in questo costituisce il sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo”.

Ecco che la Chiesa Cattolica finisce per chiamare “Santissimo Sacramento” gli elementi (il pane il vino) che invece sono e rimangono tali. I cattolici offrono un culto di adorazione a del semplice pane (ostia) e a del vino; ciò è idolatria. Il clero e il popolo cattolico chiamano o denominano l’ostia (e il vino) come il Santissimo Sacramento, l’adorano, vi si prostrano davanti come se Dio fosse incarnato davanti a loro.

Pedro

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21/02/2012 17:46
 
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Questa è idolatria pura. Dio è Spirito e Verità e in spirito e verità va adorato: Giov. 4:23-24.

Il “Santissimo Sacramento” invece non è l’ostia (o il vino), ma la celebrazione della Santa Cena.

Il “Santissimo Sacramento” è l’unione, l’insieme degli elementi coinvolti in comunione tra di loro.

Cristo Gesù è asceso al cielo col suo corpo glorificato (Marco 16:19; Luca 24:51; Atti 1:9-11) e lì vi deve rimanere (Atti 3:21) fino al giorno in cui dovrà tornare fisicamente. Egli non può manifestarsi fisicamente (ma in Spirito sì) sulla terra (Marco 13:21-23) se non quando verrà in gloria e sarà visibile a tutti (Matt. 24:27; Ap. 19:11-21). Quindi, Egli fisicamente non può essere nell’ostia, o meglio, l’ostia non può essere il corpo di Gesù, ciò (oltre a quanto detto finora) va contro l’insegnamento della Bibbia e di quanto viene detto riguardo alla Persona visibile, fisica e gloriosa di Gesù che adesso è in cielo alla destra del Padre; Egli tramite lo Spirito Santo governa la sua Chiesa universale sulla terra in modo invisibile e spirituale e non fisico come invece avverrà dalla sua venuta gloriosa in poi. Gesù stesso avvertì i suoi: Matt. 24:23-27 “.....eccolo è nelle stanze interne...” di non andare dove si sarebbe sostenuto che Egli fosse fisicamente presente, ad esempio “nelle stanze interne” (un esempio lo sono i luoghi di culto della Chiesa Cattolica durante la messa) perché Egli verrà fisicamente solo nel suo giorno glorioso e non in miliardi di posti e momenti prima (“eccolo è nelle stanze interne”).

Gesù usa, anche in altri casi, parole riferite a se stesso in senso allegorico: “Io sono la porta”,“Io sono la vite”, ecc.. Si dovrebbe forse prendere alla lettera quanto Gesù dice in taluni casi? Certo che no!

Egli non è una “porta”, o un “portone”, o una “vite”, ma le parole “porta” e “vite”, Gesù le usa in senso allegorico. Così è anche per le parole usate riguardo agli elementi: pane e vino. Elementi questi rappresentativi nella Santa Cena del corpo e del sangue di Gesù (non sono però il corpo, la divinità, l’anima e il sangue di Gesù), ovvero del suo sacrificio unico e completo offerto sulla croce una volta per sempre.

Il dogma della Transustanziazione fu decretato da Papa Innocenzo III nell’anno 1215. Nel 1220 l’adorazione dell’ostia fu sancita da Papa Onorio III, e nel 1414, al Concilio di Costanza, la Chiesa Romana proibì il calice ai fedeli. Per secoli la Santa Cena fu celebrata dalla Chiesa Cattolica in ambedue le specie (pane e vino); così è celebrata tutt’ora dalla Chiesa Ortodossa Greca. Sulla Chiesa Romana dunque grava anche la colpa e il sacrilegio di aver mutilato ed alterato il sacramento della Santa Cena e di aver negato il calice ai fedeli fin dall’anno 1414.

In conclusione, per tanti altri motivi, oltre a questo, la Santa Cena che istituì Gesù non è riscontrabile nella Chiesa Romana.

Pedro

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21/02/2012 17:46
 
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Nella Chiesa Romana si è voluto togliere il calice del vino al popolo, però Gesù disse: “bevetene tutti” (Cristo voleva che tutti partecipassero alla commemorazione della sua morte, non come un atto magico in sé, ma come espressione esteriore dell’amore e della fede interiori nei confronti della sua Persona, del suo sacrificio e del suo ritorno). Che cosa ha più valore: la Parola di Cristo, il Signore, o il capriccio della Chiesa Romana? Solo il sacerdote beve il vino dal calice, il popolo si accontenta di prendere solo l’ostia. Il vero scopo di Cristo era quello di ravvivare la fede in Lui, attraverso la celebrazione della Santa Cena come un occasione particolare dove i suoi figlioli sarebbero stati maggiormente uniti nel ricordo dell’opera sua salvifica, alimentando così in loro una fede sempre più viva nella sua opera e nel suo ritorno; quindi uno degli scopi della Cena del Signore è la collettività, la comunione fraterna stretta nell’ardore e nell’amore per il loro Re e Salvatore. Ma con dolore noto, anzi ho avuto modo di notare personalmente, partecipando in passato al “sacramento dell’Eucaristia cattolico” (lungi dall’essere il comando di Dio) che nelle varie chiese cattoliche si ha solo un rapporto solitario con se stessi; la persona si appresta a ricevere l’ostia in modo assolutamente solitario, non vi è la comunione commemorativa fraterna e amorevole voluta dal nostro Signore Gesù Cristo. Questo è un inganno, si fa della Chiesa un organo meccanico e morto, molto diverso dalla Chiesa di Cristo Gesù che era ed è sinonimo di assemblea di credenti. La Chiesa era ed è l’adunanza e fratellanza dei credenti, non un edificio o un ordine gerarchico (clero) diviso dal popolo (laici). Colossesi 4:15: “Salutate i fratelli che sono a Laodicea, Ninfa e la chiesa (cioè i credenti) che è in casa tua”.

Il sacrificio cattolico della messa equivale a “crocifiggere” e a “far sacrificare” Gesù continuamente.

È far “ripetere sempre lo stesso sacrificio a Gesù”, il quale invece si è offerto una volta soltanto e per sempre; oggi bisogna e si deve solo commemorare tale evento: “fate questo in memoria di me” Luca 22:19; 1Corinzi 11:24-26.

Ecco quanto dice il Catechismo di Pio X riguardo alla Santa Cena: “< La Santa messa è il sacrificio del corpo e del sangue di Gesù Cristo, che sotto le specie del pane e del vino, si offre dal sacerdote a Dio sull’altare, in memoria e rinnovazione del sacrificio della croce >. < Tra il sacrificio della croce e quello della messa c’è questa differenza, che Gesù Cristo sulla croce si sacrificò dando volontariamente il proprio sangue, e meritò ogni grazia per noi; invece sull’altare senza spargere sangue, si sacrifica e si annienta misticamente per il ministero del sacerdote, e ci applica i meriti del sacrificio della croce >”.

È fuori di dubbio che la Chiesa Romana sia in completo errore. Perché quest’annientamento mistico, ripetuto miliardi e miliardi di volte in tutto il mondo nei secoli, per applicare ancora i meriti della croce? Forse Cristo non riconciliò completamente l’umanità peccatrice con il Padre, con il suo Unico e Santo sacrificio sulla croce? Questo continuo “sacrificare” Gesù assomiglia nei modi e nei tempi molto alle usanze riguardo al sacrificio continuo dell’antico patto. La riconciliazione, invece, con la morte di Gesù è stata totale, e i sacrifici nel loro scopo dell’antico patto non sussistono più: Colossesi 1:19-20. Unicità del sacrificio di Gesù: Ebrei 10:1; Ebrei 9:25; Ebrei 7:27.

Pedro

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21/02/2012 17:47
 
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La celebrazione della Santa Cena serve a commemorare il sacrificio unico di Gesù, non a farne dei nuovi, ovvero “a far sacrificare” Gesù nuovamente anche se pur in modo mistico.

Al punto 1088 del Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: “ ....È presente (Cristo) nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro, , sia soprattutto sotto le specie eucaristiche....”.

Al punto 1365 si legge: “In quanto memoriale della pasqua di Cristo, l’Eucaristia è anche un sacrificio. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell’istituzione: e: < Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue che viene versato per voi > (Luca 22,19-20). Nell’Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha < versato per molti, in remissione dei peccati > (Matt. 26,28)”.

Al punto 1393 si legge: “ ... < Ogni volta che lo riceviamo, annunziamo la morte del Signore. Se annunziamo la morte, annunziamo la remissione dei peccati. Se, ogni volta che il suo sangue viene sparso, viene sparso per la remissione dei peccati, devo riceverlo sempre, perché sempre mi rimetta i peccati. Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina >”.

Questo vuol dire “crocifiggere e far sacrificare” Cristo miliardi di volte ripetutamente nel tempo. È “far ripetere sempre lo stesso sacrificio” a Gesù che invece si è offerto una volta soltanto e per sempre; oggi bisogna solo commemorare tale evento “fate questo in memoria di me”, in memoria del suo sacrificio, commemorando, appunto, solo tale evento. La pretesa della ripetizione del sacrificio di Cristo sul calvario, nella messa, nella quale Gesù discenderebbe dal cielo nell’ostia (e nel vino), sarebbe crocifisso di nuovo (misticamente) e poi mangiato vivo dal prete e dal popolo ogni giorno, è ripugnante al senso comune ed è contrario all’insegnamento della Bibbia e alle parole di Gesù. L’unico mistero è questo: che vi siano ancora delle persone che ci credono.

Chiedo ai teologi cattolici: potete provare che la messa sia un sacrificio e la ripetizione giornaliera del sacrificio di Cristo sulla croce? Ebrei 7:27; c.9:25-28; c.10:10-14,18.

Potete provare che la messa possa dare riposo o suffragio alle anime dei morti che si suppongono tormentate nelle fiamme del purgatorio? Leggere Luca 23:43 e Ebrei 10:14: “Infatti con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati”.

Perfino la Pasqua ebraica era solo una commemorazione in ricordo del passaggio degli israeliti dall’Egitto nel deserto: “Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione e lo celebrerete come una festa in onore del SIGNORE...” Esodo 12:14.

Pedro

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21/02/2012 17:47
 
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La Santa Cena commemora invece il sacrificio unico di Cristo finché Egli venga.

La Chiesa Cattolica, con il termine “Transustanziazione”, sostiene che Gesù è realmente presente nell’ostia e nel vino, in corpo, sangue, anima e divinità. Ciò è assolutamente falso per i motivi che abbiamo detto prima. Gesù era ancora in vita (era fisicamente presente, con la sua anima, il suo corpo, il suo sangue e la sua divinità) quando istituì la Santa Cena (inoltre doveva ancora compiersi il suo sacrificio sulla croce) e non poté essere nel pane e nel vino tutto intero come, invece, affermano i teologi cattolici.

Nel 1220 Papa Onorio III sancì l’adorazione dell’ostia; così la Chiesa Romana adora un Dio fatto dalle mani di uomini. Gesù ci insegna ad adorare Dio in spirito e verità perché Egli è Spirito: Giov. 4:23-24.

La messa come sacrificio fu sviluppata gradualmente e la frequenza ad essa resa obbligatoria nel XI secolo. La Chiesa Cattolica per “sacrificio” intende la mistica immolazione di Gesù Cristo nella messa, nella quale il sacerdote offre a Dio il corpo e il sangue di Gesù sotto le specie del pane e del vino.

Il vangelo insegna che Cristo si offrì in sacrificio per noi completamente ed unicamente una sola volta, e ciò non può essere in alcun modo ripetuto, ma solo commemorato nella Santa Cena: Ebrei 7:27; Ebrei 9:25-28; Ebrei 10:10-14,18. La dottrina cattolica sostiene che il sacerdote “crei” Gesù Cristo ogni giorno tutto intero nell’ostia e nel vino (con il suo corpo, la sua anima, il suo sangue e la sua divinità tutta) e poi lo mangia e lo beve in presenza del popolo durante la messa. Ciò è un’assurdità pazzesca! Gesù è spiritualmente presente nella funzione della vera celebrazione della Santa Cena, non fisicamente, ma in Spirito e non comunque fisicamente nel pane e nel vino, pronto per essere mangiato e bevuto dopo essere stato nuovamente “in modo mistico” sacrificato per i peccati da un iniquo sacerdote cattolico. Il sacrificio di Gesù è avvenuto invece una sola volta e per sempre sulla croce. La Santa Cena serve per commemorare tale avvenimento non a riprodurlo. 1Corinzi 11:23-26: “....Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga”. Annunciare, commemorare, non riprodurre il sacrificio: v.24 “...fate questo in memoria di me”; v.25 “.....fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me”; Luca 22:19: “.....fate questo in memoria di me”.

Pedro

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21/02/2012 17:48
 
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Capitolo 5

Sacramento cattolico della penitenza

(o confessione).

La Bibbia non accenna affatto ad un potere di perdono a nome di Dio dato dal Signore a una particolare categoria di cristiani (sacerdoti, i quali sono inesistenti nel N.T.); tutti i credenti hanno responsabilità verso i loro fratelli, che devono aiutare se colpevoli di qualcosa, con la preghiera e l’incoraggiamento personale. I colpevoli possono (non devono) confessare i propri peccati alla comunità o a qualche fratello più maturo, del quale si ha una particolare fiducia (oltre a confessarsi con il fratello offeso, chiaramente se c’è un offeso oltre a Dio) e non ad una speciale categoria di cristiani “creata” apposta da Gesù con poteri superiori agli altri fedeli. Ci si può confessare non per ottenere l’assoluzione (fino al 1215 nemmeno nella Chiesa Romana vi era l’assoluzione sacerdotale) o il perdono dei peccati a nome di Dio (solo Dio può dare definitivamente e in modo determinato il suo perdono), ma solo per chiedere conforto e ottenere preghiere e incoraggiamento. Anche nel caso ci si confessi (come è giusto che sia) all’offeso per ricevere il perdono dell’offesa fatta, mai si potrà avere però l’assoluzione a nome di Dio. Ci si deve confessare particolarmente al fratello offeso (anzi sarebbe buona cosa che fosse l’offeso stesso a ricercare l’offensore per riconciliarlo con Dio e la sua Chiesa e tentare di “legarlo” nuovamente al Signore inducendolo al pentimento) e costui ha il dovere di perdonare sempre. L’unica condizione per ottenere il perdono dei peccati è il pentimento e il ravvedimento congiunti con la conversione e il ricorso all’Avvocato Divino, Cristo Gesù, che ci perdona da ogni colpa, sempre però dietro un vero pentimento. Nel N.T. oltre alla confessione reciproca si parla anche di confessione pubblica che deve essere anch’essa rigorosamente congiunta con il pentimento, senza il quale la confessione a nulla vale.

La confessione pubblica era quella che attuarono i discepoli di Giovanni il Battista al tempo del loro battesimo: Matt. 3:6; Marco 1:5; quella compiuta dai cristiani di Efeso quando distrussero i loro libri di magia, descritta nel libro degli Atti 19:18-19.

Si può confessare anche ad altri fratelli il proprio problema e non solo all’offeso (quando ce ne fosse uno), magari a uomini di fede spiritualmente più maturi, per avere un consiglio, ottenere preghiera, un aiuto spirituale, ma mai l’assoluzione. La vera Chiesa di Cristo è una grande famiglia di credenti che si amano reciprocamente. Quando uno è nel peccato tutti soffrono e dovrebbero tentare ogni mezzo per ricondurre il colpevole (per “legarlo”) sulla via della verità.

Pedro

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21/02/2012 17:48
 
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Facciamo un po’ di storia:Accanto alla confessione pubblica nel corso dei secoli si collocò la penitenza personale da subire individualmente (mentre nel N.T. è detto solo che il colpevole di un peccato, che avesse scandalizzato il buon nome della locale comunità cristiana e della Chiesa intera, veniva espulso temporaneamente dalla chiesa locale o a volte semplicemente dalla comunione della Santa Cena con gli altri fratelli finché non fosse arrivato ad un vero pentimento e ravvedimento), e si arrivò ad istituire delle vere e proprie penitenze per chi avesse commesso un peccato. Per quelli gravi rimaneva in vigore (come nel N.T.) l’espulsione dalla Chiesa o la privazione dalla comunione della Santa Cena, ma con delle penitenze personali da fare se si voleva rientrare in seguito nella comunità cristiana o ritornare alla comunione della Santa Cena.

Inizialmente si poteva fare nel corso della propria vita una sola penitenza dopo il battesimo; se si peccava nuovamente in modo grave si era dichiarati condannati all’inferno e mai più ammessi nella Chiesa. Alcuni proprio per questo motivo una volta che avevano “peccato”, decidevano di attuare la penitenza nella vecchiaia (perché avevano paura di peccare nuovamente e non essere più ammessi nella Chiesa) nel frattempo erano fuori dalla Chiesa (o dal servizio della Santa Cena).

Niente di più stupido e malizioso. La colpa è della gerarchia ecclesiastica romana con le sue inique dottrine. La penitenza non poteva essere compiuta che una sola volta nella vita; in caso di recidiva il peccatore o il colpevole non aveva più alcun mezzo di riconciliazione con la Chiesa nemmeno in punto di morte.

Inizialmente per alcuni peccati (come l’omicidio, l’apostasia e l’adulterio) non vi era alcuna possibilità di fare penitenza e di essere riammessi nella Chiesa. Poi man mano le cose cambiarono e la penitenza fu proposta anche per questi tipi di peccato, e non più per una sola volta nella vita, ma per tutte le volte che sarebbe stato necessario. Inizialmente tali penitenze erano pesantissime, non solo includevano le opere da fare e quelle da non fare, ma anche il tempo per il quale attuarle (giorni, settimane, mesi ed anni). Queste penitenze in seguito si andarono evolvendo nel corso dei secoli attraverso continui alleggerimenti. Alcune penitenze inizialmente erano davvero criminose e pericolose. In seguito si arrivò a renderle meno gravose (inutile dire che tutto ciò mette in ombra il sacrificio unico di Gesù e la vera via per avere il perdono presso Dio: il pentimento e il ravvedimento e non la forza dei sacrifici corporali e temporali personali).

Le penitenze nel Medioevo consistevano in digiuni, veglie, lunghe preghiere in ginocchio o anche in piedi, astensione dall’atto coniugale, arrotolarsi nudi in mezzo alle ortiche, dormire con un cadavere, (a decidere la penitenza da fare per ogni individuo era la gerarchia ecclesiastica) la tortura del proprio corpo, giacere nell’acqua fredda (come avveniva specialmente in Irlanda), flagellazioni, ecc..
Pedro

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21/02/2012 17:49
 
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Dal VI secolo qualche scrittore ecclesiastico iniziò a suggerire di riferire le proprie colpe al sacerdote (o anche ad un credente maturo e quindi non solo all’offeso) per avere la medicina conveniente; non lo si doveva fare per obbligazione e per ricevere un’assoluzione (tale iniquità non esisteva ancora, ma nacque nel 1215), ma perché in tale modo il peccatore sapesse da una persona più esperta e matura se le colpe da lui commesse erano “veniali” e quindi non sottoponibili ad alcuna penitenza pubblica e rimossi con la semplice preghiera, o se invece erano “gravi” e tali da dover sottostare alla penitenza pubblica da compiersi obbligatoriamente (inizialmente una sola volta nella vita). I peccati gravi, sottoposti alla penitenza fissata dal sacerdote, da mortali diventano veniali. È su queste basi, sul fatto di confessare al sacerdote o ad un maturo credente il proprio peccato per sapere quale penitenza si dovesse avere e se era un peccato veniale o mortale per venire a conoscenza se era il caso di fare penitenza pubblica o meno, che sorge la dottrina della confessione auricolare con assoluzione.

Da premettere che per molti secoli, fino al 1200 circa, tale confessione era fatta solo allo scopo di conoscere la gravità del peccato e la relativa penitenza da attuare; mai, però, per avere un’assoluzione. Ma le cose dal 1215, in questo senso, cambiano radicalmente.

Come vedete, nella storia della Chiesa Cattolica vi sono stati tantissimi cambiamenti, passi indietro a volte e in avanti altre volte, a prova del fatto che la Chiesa Romana è sempre stata soggetta alle epoche e all’influenza degli uomini di ogni tempo, anziché all’immutabile Parola di Dio. La penitenza pubblica e quella privata (per i peccati veniali) si fecero concorrenza a lungo, e le troviamo ancora affiancate fino al secolo XI, quando la privata, assai più facile da attuare, finì totalmente per soppiantare l’altra. Nel Medioevo la penitenza poteva essere sostituita con del denaro; le penitenze si trasformarono spesso in offerte di denaro, così un giorno di digiuno si poteva scambiare con “tre denari” e un anno di digiuno con “22 soldi” dati ai poveri.

Poi si arrivò persino a poter pagare un altro perché sostituisse il peccatore nelle penitenze, perfino se a pagare non fosse il peccatore ma un’altra persona.

La penitenza pubblica consisteva (ed era data per peccati “gravi”, “mortali”) nel mostrare agli altri le proprie torture fisiche (flagellazioni, torture sul corpo, confessione pubblica, esclusione dalla Santa Cena o completamente dalla Chiesa) fino al completamento della penitenza che a volte durava mesi ed anni. La penitenza privata consisteva invece nella pena per i peccati veniali, in digiuni e preghiere e non si necessitava farli conoscere alla pubblica comunità cristiana.

Pedro

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21/02/2012 17:49
 
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Il sacerdote aveva un ruolo fondamentale perché era colui che decideva la relativa penitenza e quindi nel tempo si venne a creare la strada per la confessione fatta esclusivamente al sacerdote (fino al 1215 non per avere l’assoluzione) per sapere quale condanna o pena ricevere. Anche se uno si confessava ad un altro credente, in caso di peccati gravi, era invitato ad andare dal sacerdote perché era colui che doveva decidere in ultima analisi la pena. Esistevano dei veri tariffari che stabilivano per ogni peccato la pena da subire che poteva durare per alcuni giorni, mesi o anni. In seguito, la scelta della penitenza fu lasciata esclusivamente al sacerdote senza doversi basare a dei tariffari già decisi, e ridotta ad elemosine o preghiere come: rosari, numerosi Ave Maria, Padre Nostro, ecc..

In questo fenomeno penitenziale si inseriscono le indulgenze costituite da interventi della gerarchia ecclesiastica, la quale “attingendo dal tesoro della Chiesa” rimette in parte o del tutto dinanzi a Dio la pena temporale dei peccati già cancellati in quanto a colpa. L’indulgenza si divide in “plenaria” (totale) che rimette tutte le colpe e le pene temporali dovute al peccato e in “parziale” che ne condona una parte più o meno grande. Essa (l’indulgenza), conferita a modo di assoluzione per i viventi e di suffragio per i defunti, è data al di fuori del sacramento della penitenza (confessione), vale a dire in foro esterno, non interno. Per i primi mille anni circa del cristianesimo le indulgenze sono ignote. Un esempio di indulgenza nella Chiesa Romana è quella di Urbano II (durante il Concilio di Clermont-Ferrand del 1095), il quale dichiarò che i crociati “ricevevano il pieno perdono dei loro peccati e il frutto della ricompensa nell’aldilà”. È l’inizio dell’indulgenza “plenaria”. Gregorio VIII applicò tale indulgenza anche a colui, che non potendo partecipare personalmente alla Crociata, avesse pagato un’altra persona perché vi prendesse parte in sua vece.

Celestino III assicurava: “I crociati sia che sopravvivano, sia che muoiano, per la misericordia di Dio, per l’autorità degli apostoli Pietro e Paolo e la nostra, siano sicuri di ottenere il perdono della riparazione imposta per quei peccati di cui abbiano fatto una buona confessione”.

Nel XIII secolo, specialmente dopo che il Concilio Lateranense IV nel 1215 ne ebbe parlato sia pure per limitarne la distribuzione da parte dei vescovi, sorse il concetto del “tesoro della Chiesa” costituito dai meriti di Gesù, di Maria e di tutti gli altri “santi”. Da esso il Papa e i vescovi potevano attingere a piene mani in virtù del loro potere giurisdizionale e distribuirne la parte che volevano ai credenti, in modo da ridurre autoritativamente la loro espiazione dei peccati. Agostino di Trionfo, che scrisse una Summa Teologica per ordine di Papa Giovanni XXII, assicurava che anche il purgatorio stava sotto il controllo papale, e che, volendo, il Santo Padre avrebbe potuto liberare le anime quivi detenute, ma consigliava il Papa di non interessarsene. Tuttavia, Callisto III, in una sua bolla inviata nel 1457 al re Enrico di Castiglia, promise un’indulgenza applicabile anche ai defunti per chiunque avesse pagato “200 maravedi” a favore della Crociata. Gli abusi della Chiesa Romana nelle indulgenze furono devastanti e innumerevoli, servirebbe uno studio approfondito solo per l’elencazione di questi. Il Concilio di Trento (4 dicembre 1563), dopo aver scomunicato chiunque negasse il potere della Chiesa nel dare le indulgenze, oppure sostenesse la loro inutilità, ne regolò la concessione e ne proibì la questua; stabilì che i preti potevano ricevere elemosine dai fedeli, non però come pagamento delle indulgenze, fino ad arrivare agli odierni cambiamenti nell’ambito cattolico riguardo sempre a queste (indulgenze).

Pedro

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