In seguito a quest'ultima «lotta» tra Dio e un uomo compare tuttavia il pericolo mortale rappresentato da un incontro di questo tipo: «Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel ["volto di El"], "Perché - disse - ho visto in faccia Dio [Elohim] eppure la mia vita è rimasta salva"» (Genesi 32,31).
Proprio l'impossibilità, per l'uomo, di vedere il volto di Dio senza morire, è all' origine del gesto di Mosè che si vela il viso, durante l'incontro con Dio vicino al roveto in fiamme (Esodo 3,6). Anche se «il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro» (Esodo 33,11), Mosè potrà vedere Dio solo di schiena. «Gli disse: "Mostrami la tua Gloria!". Rispose: "Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te [...]. Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo. [...] Toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere"» (Esodo 33,18-23).
Vedere il volto di Dio è temibile e mortale (Esodo 19,21; Levitico 16,2; Numeri 4,20), ma, nonostante il timore del popolo ebraico (Esodo 20,19), è sorprendente che l'uomo possa anche solo sentire la voce di Dio senza morire (Deuteronomio 5,24-25).
Dopo aver vissuto senza un timore eccessivo la presenza di Dio al tempo dei Patriarchi, nella percezione dell' assoluto di Dio da parte dell'uomo si introduce una separazione terribile, che nemmeno il fedele osa superare. Quando, nel salmo, l'ebreo esprime il desiderio di vedere il volto di Dio, si tratta in realtà di andare a consultare Dio nel suo santuario, e quindi di cercare di conoscerlo e di vivere in sua presenza. (13) Il sentimento dell'infinita grandezza di Dio, l'Essere unico, prevale sul ricordo del primo incontro originario con Abramo, Isacco e Giacobbe.
Lo stesso atteggiamento del fedele si ritrova nei musulmani, nella loro interpretazione del Corano, come nella sura 92, con i famosi versetti: «Non per ottenere ricompensa da alcuno avrà fatto favori, ma per pia brama del volto del Signore suo altissimo: ed egli sarà in pace» (XCII, 19, 21). li volto di Allah indica l'obbedienza alla volontà di Allah, che l'uomo deve mettere in pratica per entrare in Paradiso, rifiutando addirittura di immaginare che Allah abbia un volto umano. (14)
In questa prospettiva diventa necessario, per la sopravvivenza dell'uomo, che non si trovi in presenza immediata dell'Essere unico. Diventano quindi necessari esseri spirituali intermediari, che permettano l'incontro tra «Colui che è al di là di tutto» e l'essere umano, limitato dalla materia. In tutta la cultura semita, questi esseri spirituali, messaggeri di Dio, compongono la moltitudine degli angeli di vari livelli, e anche quelli che sono più vicini a Dio, i serafini, si coprono il volto per non vedere (Isaia 6,2).
Si ritiene che quegli angeli abbiano accompagnato Dio nell'incontro alle Querce di Mamre (Genesi 19,1); la vita di Isacco si svolge senza il loro intervento e gli angeli «riprendono servizio» nelle relazioni tra Dio e Giacobbe (Genesi 28,12).
L'invio, da parte di Dio, di un angelo al popolo ebraico durante la traversata del deserto risponde a un duplice obiettivo: da una parte, proteggere e guidare il popolo (Esodo 23,20) e, dall' altra, evitare che Dio stermini il popolo a causa della sua dura cervice (Esodo 33,2 - 3). A cominciare dall'invio di un angelo presso il popolo ebraico, queste creature celesti diventano in seguito i messaggeri della presenza divina, al punto da venire talvolta confusi con Dio stesso. (15)
Questi angeli, però, grazie alloro intervento, permettono anche di collegare a Dio alcune azioni che riguardano le realtà umane. All' epoca di Gesù, gli ebrei affermano che la Torah è stata trasmessa a Mosè grazie agli angeli (16); non è più Dio stesso che è apparso a Mosè al roveto in fiamme, ma un angelo. (17) Un serafino viene a purificare le labbra del profeta Isaia con una brace (Isaia 6,6-7).